Una menzogna ripetuta molte volte diventa verità

Opinioni

di Angelo Pezzana

Una menzogna ripetuta molte volte diventa verità.
Perché Israele ha sottovalutato la pericolosità del movimento BDS e del suo odioso lessico?

BDS manifestazione

Israele ha impiegato anni prima di valutare appieno il significato del movimento BDS, Boicottaggio/Disinvestimento/Sanzioni. Può essere utile capire il perché di questo ritardo. Da un lato, come e più di ogni altra vera democrazia, Israele ha sempre coltivato una forte attenzione affinché non venisse mai meno il rispetto verso i diritti delle opposizioni interne; dall’altro, aveva cara la propria immagine internazionale, fino al punto di sostituire la parola hasbarà – da sempre usata nel suo significato grammaticale di ‘informazione’- con ‘diplomazia pubblica’, nella convinzione che fosse più presentabile, che non si potesse confondere con propaganda. A questo, si accompagnavano pressanti suggerimenti per dare risalto a tutti gli aspetti del Paese che potessero avere connotazioni positive: cultura, ambiente, turismo, ricerca scientifica, sistema sanitario e scolastico, insomma tutto ciò che si poteva riassumere nel motto Israel hayafà, la bella Israele. Per cui niente analisi troppo politiche, guerre, conflitti il meno possibile, nemmeno troppe accuse ai nemici, accuse peraltro indispensabili da citare per difendere un Paese da sempre sotto attacco. I buoni propositi hanno perciò contribuito a rinviare l’esatta comprensione del passaggio dall’antisemitismo all’antisionismo, il veleno si è esteso a macchia d’olio, e oggi ha addirittura una bandiera da sventolare, con uno stemma: BDS, appunto.

Fuori da Israele, la compagnia degli odiatori, ingrossata, è sempre la stessa: università dove vengono messi al bando i rapporti culturali con quelle israeliane e nei campus universitari, abbondantemente finanziati dai ricchi paesi musulmani, è l’estremismo islamico a stabilire chi ha il diritto di parola e chi no. In Italia i media – l’elenco sarebbe interminabile – che usano le parole del BDS, quali apartheid, colonialismo, brutalità dell’esercito, ecc. per raccontare la vita quotidiana in Israele, sono la norma, talk show tv dove non mancano mai gli odiatori di professione, mentre a “difesa” le voci sono poche; in ambito cattolico la parola Israele, impronunciabile, viene sostituita con Terra Santa, mentre la vita quotidiana a Gaza o nei territori palestinesi viene evocata se serve per criticare l’occupazione israeliana – persino a Gaza! –, ma la vera “occupazione”, quella di Hamas, nessuno la racconta, perché cancellerebbe il mito della ‘riserva indiana’ palestinese, costruito con indubbia abilità in questi decenni. Come dicevamo prima, Israele ha sottovalutato quanto non avrebbe mai dovuto dimenticare: una menzogna ripetuta molte volte diventa verità, firmato Goebbels.
Combattere il movimento BDS in tutte le sue frange è diventato obbligatorio, di questo ha finalmente preso atto anche il governo israeliano, liberandosi dall’illusione che potesse rimanere circoscritto entro i confini di una critica ‘legittima’, lecita e dovuta, perché la solidità di una democrazia si giudica dalla libertà nella quale operano gli oppositori del governo.
Negli ultimi decenni, accanto alla delegittimazione esterna, Israele ne ha sviluppato però anche una interna, che, in modo parallelo, mette a rischio la stessa esistenza dello Stato. Sono molte le Ong, spesso finanziate da privati o istituzioni straniere, le cui azioni, di fatto, presentano Israele come un Paese che merita tutte le accuse del BDS, con in più l’aggravante che a sottoscriverle – e quindi a renderle credibili – sono organizzazioni israeliane. Se lo dicono loro, sarà vero…
Non vanno dimenticati i partiti d’opposizione, come in tutte le democrazie impegnati a demolire la coalizione di governo per affrettare nuove elezioni, con l’uso di un linguaggio così estremo da chiedersi se non si sia superato ogni limite, come è avvenuto di recente quando Avigdor Liberman e Yair Lapid, entrambi leader dell’opposizione, hanno accusato Netanyahu in un dibattito alla Knesset di “aver messo in pericolo la sicurezza del paese come non era mai avvenuto dal 1948”. O le dichiarazioni di un ex capo dello Shin Bet – il servizio di sicurezza interno -, Carmi Gillon, che ha affermato “Israele procura ogni giorno insopportabili sofferenze a milioni di palestinesi”: una menzogna plateale, paragonabile a quella di un altro ex Shin Bet, Avraham Shalom, “l’occupazione israeliana di Giudea e Samaria è simile a quella nazista della Polonia nella Seconda guerra mondiale”. Dichiarazioni dalla chiara origine polemica dettata dalla retorica iperbolica della lotta politica, ma a quale prezzo di fronte all’uso che ne viene poi fatto fuori da Israele? Ancora una volta, se lo dicono loro…
Ma Israele sa difendersi dai nemici e dal terrorismo e, a differenza dell’Occidente, è una democrazia forte, che ha capito la lezione della storia.
E la domanda scomoda ? Eccola: mi piacerebbe sapere la differenza che esiste in realtà tra “islam politico” e “islam e basta”. Me lo chiedo perché non esiste nessuno stato arabo-musulmano con la separazione fra religione e Stato, per cui di islam ce n’è uno solo, quello che si propone la conquista del mondo, che invoca Allah huAkbar, sia quando prega che quando compie stragi di infedeli. È vero che non tutti i musulmani la pensano allo stesso modo, ma è altrettanto vero che tutti hanno il dovere della sottomissione, che è poi la traduzione della parola islam.