Rav Sacks: “In memoria del Rabbino Eitam e di sua moglie Naama Nemkin”

Opinioni

di Roberto Zadik

henkinGiovedì scorso, due civili israeliani, il Rabbino Eitam e Naama Henkin, marito e moglie sono stati freddati a colpi di pistola in Cisgiordania davanti ai loro quattro figli da un gruppo di terroristi. Successivamente all’omicidio il sito Times of Israel riporta il toccante intervento di Rav Jonathan Sachs.  L’ex rabbino capo di Gran Bretagna, famoso per la sua abilità oratoria e per il suo importante ruolo spirituale, filosofico e politico, ha rilasciato al sito alcune importanti dichiarazioni in merito a questo gravissimo episodio. Qui sotto il suo discorso.

“Il brutale omicidio del Rabbino Eitam e di sua moglie, Naama, ha sconvolto tutti noi. E’ davvero complesso entrare nello spirito gioioso delle feste, dopo quello che è accaduto. I nostri pensieri vanno ai figli di questa coppia e ai loro parenti, Chanon e Hila Armony e a Rabbi Yehudah e a sua moglie Chana, due fra I grandi modelli ebraici dei nostril tempi. Alcuni di noi potrebbero domandarsi se sia questa la Torah e la sua ricompensa ,ma sappiamo che è meglio attendere per poter rispondere a questo complesso interrogativo e quello che possiamo fare è unirci nella preghiera. Dedico queste mie parole alla memoria di coloro che sono stati uccisi.

Al termine della sua vita, Mosè ci ha messo davanti a una grande scelta da affrontare non solo per il popolo ebraico ma anche per l’intera umanità. Egli ha detto di invocare il cielo e la terra per testimoniare, vostro malgrado, che vi  ho inviato la vita e la morte,la benedizione e la maledizione. Scegliete dunque la vita così che voi e i vostri figli possiate vivere. Ma perché Mosè doveva dire una cosa del genere? Non sapevamo anche senza bisogno di ricordarcelo, di dover scegliere la vita e non era ovvio forse che, data una scelta, avremmo preferito la benedizione alla maledizione? La risposta viene fornita nel libro che leggeremo in questi giorni, l’Ecclesiaste,il Kohelet è uno dei testi più profondi fra tutte le riflessioni sulla vita e la morte.

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Rav Jonathan Sacks

La parola chiave di questo libro è “hevel” che significa futilità, elemento privo di valore. Questo termine, detto anche vanità appare non meno di 38 volte, cinque delle quali in una sola frase. “Vanità delle vanità, vanità delle vanità, tutto è vanità. Il termine hevel è stato tradotto in varie maniere come insensato, privo di importanza e nessuna di queste traduzioni ne racchiude l’essenza. Prima di tutto la parola Hevel significa “un vuoto respiro”. La parola ebraica per anima è nefesh, ruach, neshama, e tutte hanno a che fare con l’azione del respiro. Hevel allude a un soffio corto e di breve durata. L’ossessione di questo testo è la fragilità e la vulnerabilità della vita umana. Siamo organismi biologici di incredibile complessità anche se quello che separa l’essere dal non essere, la vita dalla morte non è affatto complicato perché è solamente il nostro respiro.

Quando leggo le pagine dell’Ecclesiaste,penso a un’opera di William Shakespeare come il Re Lear dove alla fine egli stringendo a sé il corpo della figlia morta Cornelia, piangendo grida “perché un cane,un cavallo,un topo dovrebbero vivere e tu invece non respiri affatto?”.  Kohelet è fra le altre cose,un midrash, sui primi due bambini umani, la cui storia è diventata di tremenda attualità con quanto accaduto nei nostri tempi. Non a caso la vittima del primo omicidio si chiama Hevel, tradotto come Abele e rappresenta la fragilità della vita. Tutto quello che ci separa dalla tomba è il respiro, il soffio che Dio ha inserito dentro di noi: “Così Dio ha creato l’uomo dalla polvere della terra e ha soffiato nelle nostre narici il soffio della vita e l’uomo è divenuto un essere umano”. Tutto quello che noi siamo è dunque un hevel, un mero respiro. Ma è il respiro Divino. Chi ha improvvisamente ucciso Abele è stato Kayin, Cain.

La Torah spiega chiaramente perché egli si chiama così. Chavah, disse: “Ho acquistato (kaniti) un uomo con Dio. Kayin significa “acquistare, possedere, avere” e alla fine,inevitabilmente,questo provoca un conflitto. La proprietà è un gioco perdente. Più tu hai, meno io possiedo. Dal momento che tutti vogliamo di più e non di meno ,il risultato sicuramente sarà la violenza, quella che il filosofo inglese Thomas Hobbes ha definito “la  guerra di ogni uomo contro ogni suo simile” nella quale la vita diventa “solitaria, tremenda, brutale e corta”. Questo scenario viene oggi attualmente espresso dalla Siria, dall’Iraq, dall’Afghanistan, dalla Nigeria, dalla Libia e dalla Somalia e da altre aree sanguinose del mondo. Proprio a causa di una tale situazione  Dio prima del diluvio ha espresso il suo  rammarico di aver creato l’uomo sulla terra ed Egli ne era addolorato nel profondo. Nella Torah uno dei principi fondamentali è che noi non possediamo niente. Ogni cosa, la terra, i suoi prodotti, il potere, la sovranità, i figli e la vita stessa, appartengono solo a Dio. Noi siamo solo semplici amministratori, guardiani a suo nome. Noi possediamo i beni ma non ne abbiamo la proprietà e questa è a base della struttura della giustizia sociale che ha reso la Torah unica nella sua epoca e ancora oggi estremamente attuale. Kayin significa: Sono quello che possiedo e quello che possiedo mi dà potere. Cain fu il primo superuomo secondo la definizione del filosofo tedesco Nietzsche. La sua religione era la volontà di potenza e per questo motivo Dio ha rifiutato la sua offerta. Il sacrificio che Dio accetta è invece quello di suo fratello Abele(Hevel) che viene dall’umile condizione della mortalità. “Ribonò Shel Olam, Maestro del mondo” egli dice “sono solo un semplice respiro ma io respiro il tuo soffio e non il mio”. Quando la religione diventa ricerca del potere, il risultato è lo spargimento di sangue. A questo Dio risponde “il sangue di tuo fratello sta piangendo verso di me dalla terra”. Anche il grande autore del Kohelet, Salomone, il cui nome Shlomo significa pace, in un primo momento cercava la felicità in ciò che possedeva: palazzi, giardini, servitori e ricchezze. Nessuna di queste cose portò quello che egli sperava ,dal momento che nessuno ci rende immortali né sconfigge la morte. Noi tutti restiamo, dunque,un semplice respiro.Questo è il motivo per il quale il Kohelet,alla fine trova il suo significato nella vita in sé stessa. E così Shlomo ritrova la gioia nelle cose semplici della vita: mangiare, bere, lavorare e vivere la vita con la donna che ami. Come egli dice nel testo “la gioia deriva non da quello che abbiamo ma da quello che siamo. Essa viene dal fatto che siamo vivi. Noi serviamo Dio celebrando la vita e santificandola, scegliendo la vita. Per questo la festa di Sukkot segue immediatamente i  giorni in cui preghiamo di essere iscritti nel libro della vita. La capanna (Sukkà) esposta agli elementi naturali della pioggia, del vento, del freddo e delle tempeste, è il simbolo della precarietà della vita e dove celebriamo una festività gioiosa. La grande scelta affrontata dall’umanità in ogni epoca è fra la volontà di potenza e la voglia di vivere. Nessuna nazione nel mondo dello Stato d’Israele è un testimone più eloquente del desiderio di vivere ed esso rappresenta la collettiva affermazione di questa volontà di tutto il popolo ebraico dopo l’Olocausto. Non morirò ma vivo. Quasi ogni campo in cui Israele ha raggiunto i massimi livelli, dall’agricoltura alla medicina alle tecnologie è stato dedicato alla protezione, al miglioramento e alla difesa della vita.Ci sono però, attorno a Israele, paesi e culture che sacrificano la loro vita per la brama di potere. Il risultato è stato nientemeno che la devastazione di tutti quelli che sono stati risucchiati da questo vortice che fossero ebrei, cristiani musulmani, yazidi, curdi e altri esseri umani innocenti. Il risultato finale sarà quello descritto da Shakespeare: “Così ogni cosa include in sé stessa il potere, ed esso è nella volontà e nell’appetito. Un lupo universale che assieme alla volontà e al potere deve cercare per forza prede universali ma finirà per mangiare anche sé stesso. Quelli che adorano l’altare del potere, finiranno per autodistruggersi”.  Sukkot ci comunica, dunque, che la vita è vulnerabile, anche se è tutto quello che abbiamo. Noi possiamo essere solo un banale soffio ma è il respiro di Dio ed esso è sacro. Verrà il giorno quando il mondo vedrà che la volontà di vivere sconfiggerà la volontà di potenza se sopravviveremo assieme alla nostra umanità intatta. Solo quando questo accadrà ci sarà la pace nel Medio Oriente. Solo quando questo avverrà i bambini del mondo avranno un futuro di speranza.  Fino a quel momento rendiamo omaggio alla memoria di due splendidi esseri umani che hanno vissuto e insegnato la santità della vita. Che possa il loro esempio vivere in tutti i nostri cuori”.