Pesach: salta e sarai libero

di Rav Alfonso Arbib

La Torà dice di ricordare che Dio ci ha fatto uscire dall’Egitto con “mano forte”. Perché sottolineare la mano forte? Per capirlo dobbiamo far riferimento a un commento di Rashì (Shemòt 3, 11). È il momento in cui Dio incarica Moshè di andare a liberare il popolo ebraico. Moshè tenta in vari modi di rifiutare questa missione, dichiara sostanzialmente di essere inadeguato al compito. Ma dice anche qualcosa che non riguarda se stesso ma il popolo che deve essere liberato. Secondo Rashì, Moshè si chiede quali meriti abbia il popolo per cui sia degno di ottenere la liberazione dall’Egitto. L’uscita dall’Egitto è un miracolo straordinario (secondo il midràsh mai nessun schiavo è riuscito a liberarsi dalla schiavitù egizia) e i miracoli bisogna meritarseli. L’idea dell’inadeguatezza del popolo ebraico la troviamo anche in un altro midràsh riguardante l’apertura del Mar Rosso. Secondo il midràsh, quando Dio si accinge a salvare il popolo ebraico con l’apertura delle acque e a punire gli egiziani, il “Sar shel Mitzràim” (l’angelo che rappresenta in cielo l’Egitto) chiede se ciò che sta per succedere sia giusto. Dice che in realtà non c’è differenza tra ebrei ed egiziani perché sia gli ebrei che gli egiziani si sono macchiati della colpa dell’idolatria. L’angelo cita un verso in cui si dice che Dio venne a prendere “un popolo che stava in mezzo a un altro popolo”. Il verso non distingue tra i due popoli e li chiama allo stesso modo. Quindi perché preferire uno all’altro? Questi due midrashìm rappresentano bene l’atteggiamento dei profeti d’Israele e della tradizione ebraica in genere verso i difetti del popolo ebraico. C’è un’analisi puntigliosa, quasi spietata, di questi difetti. Si sottolinea continuamente le proprie colpe. Questo atteggiamento caratterizza i veri profeti. In un passo del profeta Geremia si riporta la profezia di quest’ultimo e quella di un falso profeta. Il falso profeta risulta paradossalmente molto più simpatico di Geremia perché sottolinea solo i pregi del suo popolo e prevede un futuro radioso. Questo atteggiamento della tradizione ebraica rappresenta la grande capacità del popolo ebraico di mettersi in discussione.

Nonostante l’assenza di meriti però Dio ribadisce sia a Moshè che all’angelo che il popolo ebraico sarà liberato dall’Egitto. Perché? Un grande Maestro contemporaneo Rav Itzchak Hutner spiega che, per capire la liberazione dall’Egitto, dobbiamo capire il significato della parola Pèsach. Pèsach significa letteralmente “salto” e viene usata per indicare che l’angelo della morte salta le case degli ebrei quando colpisce i primogeniti egiziani. Ma secondo Rav Hutner ci sono vari salti nella liberazione dall’Egitto.

L’uscita dall’Egitto è un salto nel processo storico, non segue l’andamento normale della storia; ma è anche un salto da un altro punto di vista. Per poter liberare gli ebrei dall’Egitto, Dio decide di non guardare la loro situazione attuale e di fare un doppio salto, un salto all’indietro, ai patriarchi e al patto stipulato con essi.

Dio ricorda quel patto e i meriti dei padri. Il popolo ebraico in Egitto, pur essendo sceso secondo un famoso midràsh nelle 49 porte dell’impurità, ha mantenuto il rapporto con i patriarchi e con le proprie radici. Ma c’è anche un secondo salto. A Moshè Dio risponde che, quando farà uscire il popolo dall’Egitto, “serviranno Dio su questo monte”. È un chiaro riferimento al momento del Mattàn Torà, della rivelazione sul Sinai. Il secondo salto è verso il futuro, verso il momento straordinario in cui il popolo ebraico dirà “faremo e ascolteremo” sotto il Monte Sinai ed è questo il significato, secondo Rav Hutner, della “mano forte” che dobbiamo ricordare. La mano forte è la capacità di superare la situazione contingente collegandosi al passato e al futuro. Ricordare tutto ciò è anche un modello per la nostra identità. Dobbiamo essere capaci di recuperare il rapporto con le radici che ci proietti verso il futuro. Per fare questo ci vuole forza ma Pèsach è la dimostrazione che il popolo ebraico ha questa forza.