Il mondo ebraico e il divieto del burkini, una discussione aperta

Opinioni

di Anna Lesnevskaya

Burkini-NizzaPer la giurisprudenza francese il caso burkini è chiuso. Il divieto di portare la tenuta coprente in spiaggia costituisce “una violazione grave e palesemente illegale alle libertà fondamentali quali la libertà di circolazione, di coscienza e la libertà personale”. Lo dice il verdetto del Consiglio di Stato francese del 26 agosto che sospende il provvedimento del sindaco del comune Villeneuve-Loubet nel dipartimento delle Alpi Marittime e costituisce un precedente per tutti gli altri comuni, circa una trentina, che hanno adottato le ordinanze anti-burkini.

Il dibattito intorno al burkini però non si esaurisce qui, come ha sottolineato lo stesso premier francese Manuel Valls, strenuo difensore del provvedimento. Il tema continua a dividere praticamente tutti : il capo del governo francese e alcune sue ministre, i due candidati alle primarie di destra, Nicolas Sarkozy e Alain Juppé, le stesse donne musulmane. Non c’è uno schieramento che tenga.

E anche dal mondo ebraico arrivano messaggi diversi. In più hanno notato le somiglianze tra il burkini e il costume da bagno delle donne ebree ortodosse. Le donne harediot osservano infatti il concetto di tzniut, modestia religiosa, e portano in spiaggia un costume che copre le braccia fino al gomito e le gambe fino al ginocchio, indossando anche una sciarpa in testa che può lontanamente assomigliare il hijab musulmano. Quindi verrebbe da pensare che il divieto del burkini danneggia anche la comunità ebraica.

Non è così per il rav Moshe Sebbag, il rabbino della Grande Synagogue di Parigi. I sindaci francesi “hanno capito che non si tratta della libertà delle donne di vestirsi modestamente, ma di un’affermazione riguardo a chi governerà qua domani”, ha detto il rabbino capo di Parigi, esprimendo il suo sostegno al divieto del burkni in un’intervista alla Jewish Telegraphic Agency (JTA). Secondo rav Sebbag, le donne ebree in Francia “troveranno altre soluzioni”. Infatti, come spiega JTA, le comunità ebraiche in Francia, e soprattutto a Parigi, si mettono d’accordo con le piscine per avere le fasce orarie di nuoto femminile, durante le quali indossano i loro costumi.

Gli ebrei francesi scelgono insomma il profilo basso all’insegna della tanta acclamata laicità repubblicana. “Non ci sono mai stati casi di utilizzo del tzniut come una sfida politica o pubblica alla legge”, ha detto a JTA Robert Ejnes, direttore esecutivo del CRIF (Consiglio Rappresentativo delle Istituzioni Ebraiche Francesi). Piuttosto che provocare un conflitto, gli ebrei francesi preferiscono tenersi lontani dai posti dove le loro usanze possono dare fastidio agli altri, ha sostenuto il rappresentante del CRIF.

Al di fuori della Francia, però, la posizione del rabbino capo di Parigi ha scatenato una pioggia di critiche. Molto criticata è stata anche la dichiarazione di rav Yosef Pinson, rabbino capo Chabad della riviera francese, che ha consigliato a tutti gli oppositori del provvedimento anti-burkini “di tornarsene nei loro paesi, dove tutti si vestono in questo modo”.

“Non essere in grado di fare la differenza tra l’adattamento di legittime misure di sicurezza e la strumentalizzazione delle paure irrazionali create dal terrorismo è un colpo ai valori fondamentali della rivoluzione francese, che ha permesso non solo la libertà dalle religioni, ma anche la libertà di religione”, scrive su Haaretz rav Michael Melchior, commentando le prese di posizione degli ebrei francesi.

Mentre Sisterhood, blog femminile dello storico giornale degli ebrei americani, Forward, titola Vive L’Hypocrisie (“Evviva l’ipocrisia”), sostenendo che “schierandosi coi bigotti e xenofobi ed equiparando un capo di abbigliamento religioso al terrorismo, Sebbag e Pinson stanno danneggiando gravemente e pericolosamente se stessi e le proprie comunità, mettendo a rischio la loro libertà religiosa”.  Secondo il blog, quindi, si tratta di un clamoroso autogol.

Sembrano invece univoci gli ebrei britannici, che per bocca della loro principale organizzazione, il Board of Deputies of British Jews, hanno condannato il divieto del burkini, parlando di “molestie poliziesche” in seguito alla diffusione delle foto di una donna musulmana costretta a spogliarsi su una spiaggia di Nizza.

Nel caso di Nizza però, il dibattito contrappone spesso al concetto della libertà quello della sensibilità e della discrezione. Così, secondo Élisabeth Badinter, filosofa e femminista francese di origine ebraica, intervistata dalla radio svizzera Rts, una legge contro il burkini sarebbe ridicola e anticostituzionale. Tuttavia Badinter comprenderebbe “un divieto puntuale” sulla spiaggia di Nizza, dove, dopo l’attentato del 14 luglio, indossare un capo di abbigliamento islamico è “una provocazione disgustosa”, “il colmo della maleducazione” e “il disprezzo assoluto del dolore altrui”. “Vorrebbero che fossimo invisibili”, obiettava invece una donna musulmana di Cannes, intervistata da Le Monde in seguito al divieto anti-burkini adottato dal sindaco.

Di fronte al concetto della laicità francese messa a dura prova, Israele pensa di poter offrire il suo esempio di convivenza di varie culture. “Svizzera, Germania e Francia impongono varie restrizioni ai Musulmani che non ci sono in Israele, l’ultima di queste è il controverso divieto del burkini”, ha twittato in questi giorni il World Jewish Congress, aggiungendo che “per essere un Paese dell‘apartheid’, Israele sembra avere una mentalità molto più aperta che tante società occidentali”.

Ma veniamo a coloro che indossano i costumi modesti di tradizione ebraica e a quello che pensano del divieto contro il burkini. “Crea un problema per le donne ebree perché produce un clima velenoso per tutti – musulmani, cristiani e tutti coloro che non vogliono che un poliziotto decida per loro le questioni del vestiario”, dice al Times of Israel Yardena, un ebrea ultra ortodossa e proprietaria del brand di costumi modesti, Sea Secret. Lei stessa è nata in Francia, ma ora vive in Israele ed è convinta che il divieto del burkini non farà che aumentare la vendita dei suoi capi . “Non capisco cosa sia successo, ma, come persona che si veste modestamente, so che misure del genere non potranno scoraggiare le donne come me”, ha sostenuto.

Tra il burkini e il costume modesto ebraico c’è, però, una differenza, scrive sul suo blog la scrittrice ed ebrea ortodossa milanese, Gheula Canarutto Nemni, nel post intitolato “Io donna ebrea sto dalla parte del burkini. A una condizione”. Questa differenza, secondo lei, sta nell’ “imposizione”. La scrittrice incoraggia così il mondo occidentale a combattere non contro il burkini, ma “contro le società che il burkini lo impongono”.

Imposizione che si percepisce nei Paesi come il Marocco, dove l’islam è una religione di Stato, sostiene la giurista marocchina Fatiha Daoudi in un intervento sul Huffington Post francese che ha avuto più di 40 mila ‘like’. Nel suo Paese, dice Daoudi, “i diritti femminili sono evoluti verso una maggiore libertà grazie alle donne che si sono battute con le unghie e con i denti perché la loro voce fosse sentita e il loro posto nello spazio pubblico riconosciuto”. Conquiste, dice la giurista, minacciate da una regressione, visto che di questi tempi “la pratica dell’islam è più ostentazione che devozione”.

Eppure l’imposizione dall’alto dei propri valori (eurocentrici) non è una soluzione. Ne è convinta Ravit Hecht, commentatrice su Haaretz, lei stessa allevata in una famiglia laica e inorridita dalla repressione subita dalle donne arabe che vede quotidianamente sulle spiagge ebraiche, completamente coperte e scortate dai mariti. “E’ davvero difficile decidere chi sia più barbaro: coloro che negano alle donne l’aria e il sole o invece chi, per la propria tranquillità, fa generalizzazioni criminali e costringere gli altri a cambiare le proprie usanze”, scrive la giornalista. Il divieto del burkini e la costrizione a portarlo sono quindi due opposti solo all’apparenza, ma in realtà sono due facce della stessa medaglia.

E così, secondo Le Monde, con la sospensione del divieto anti-burkini vince lo Stato di diritto. Scrive il quotidiano francese nell’editoriale pubblicato all’indomani della decisione: “Possiamo essere contrari al burkini o al velo ed essere scioccati dalla violazione che ne consegue alla dignità della donna. Ma l’interdizione non è una soluzione magica. La libertà religiosa resta la regola e la Repubblica ha l’onore di farla rispettare, a condizione che l’ordine pubblico non sia minacciato”.