Una panoramica della fiera Tempo di Libri

Un libro per scaldare il freddo dell’inverno

Libri

di Redazione

Classici, saggi, fiabe, romanzi, riflessioni sull’identità ebraica. Tutte le novità

«Vedrò passare primavere, estati, autunni; e quando arriverà, con le sue nevi monotone, l’inverno, serrerò porte e finestre, fabbricherò nella notte i miei palazzi stregati». E se non siamo capaci di costruire, come Charles Baudelaire, “palazzi stregati”, possiamo però avvicinarci a castelli di parole e, nelle nostre case, dietro porte e finestre chiuse sul buio dei brevi giorni, leggere un libro che sappia parlarci di noi, delle nostre passioni, dei sogni, delle idee che ci catturano. Ecco le nostre proposte tra le novità fresche di stampa.

La grande filosofa francese allieva di Levinas ci prende per mano alla scoperta del lascito d’amore dell’ebraismo e polemizza con il mind-set cristiano – e la sua tradizione – che ha occultato e sottratto la dimensione dell’amore all’ebraismo inchiodandolo a uno sterile legalismo fatto di cavilli giuridici o di presunte vendette divine. Catherine Chalier disegna così, in modo divulgativo e immediato, la mappatura del pensiero ebraico sull’amore restituendo a “Cesare quel che è di Cesare”. E ripercorre il pensiero negativo che da Paolo di Tarso a Sant’Agostino, da Kant a Simone Weil, sottrae l’idea dell’amore al mondo ebraico costruendo una lettura che oppone «una supposta universalità dell’amore di tutti gli esseri umani da parte dei cristiani, all’amore particolare degli ebrei riservato “ai loro”, un amore che ignora la generosità. I primi aperti a tutti, pagani compresi, i secondi che avrebbero preferito la loro esclusività». Un libro che smonta pezzo per pezzo le infamie, le dicerie manipolatorie e la diffidenza che hanno permesso l’abisso della disumanizzazione dell’ebreo nel XX secolo e quindi la Shoah. Ma anche un testo che è una moderna guida per chi è perplesso, «un cammino verso l’interiorità umana e verso la bontà che vive in quell’interiorità, ostruita dall’imprigionamento in sé e nelle sue passioni». Quanti tipi di amore esistono, allora? Amore fisico, mistico, intellettuale…? Qual è l’approccio ebraico – dal Midrash a Maimonide fino a oggi -, all’idea del chesed (misericordia), alla devequt (devozione), o ancora al basico desiderio dell’eros? Un libro che ci aiuta a rispondere a pregiudizi e ai detrattori di ieri e di oggi ma soprattutto a conoscere la grandezza e la profondità millenaria del pensiero ebraico sulle passioni. (Fiona Diwan)
Catherine Chalier, L’amore nell’ebraismo. Filosofia e spiritualità ebraiche, trad. Vanna Lucattini Vogelmann, Giuntina, pp. 247, 18,00 euro.

Dialogare significa “sporgersi verso l’altro”, uscire da Sé, mettersi in gioco; dialogare è reciprocità, ebraicamente sinonimo di ascolto (Shemà Israel, Ascolta Israele…) e non soltanto lotta per la verità come invece propose Platone, dialogo come conflitto così come lo intende la tradizione greca.
La dimensione dialogica è sempre stata una pietra angolare su cui poggia l’ebraismo – biblico, talmudico, medievale, contemporaneo, con Martin Buber e Levinas -. Sebbene la pratica del dialogo spesso risulti conflittuale e violenta, conserva una valenza etica che implica non tanto il conoscere qualcosa quanto il rispettare l’Altro. C’è ovviamente il dialogo mancato tra Adamo ed Eva, tra Caino e Abele e le perniciose conseguenze di questo non parlarsi: perché quando il dialogo fallisce, c’è a monte un fallimento della dimensione etica. Attraverso la rilettura di alcuni episodi biblici cruciali, Volli e Bendaud ci raccontano magistralmente – in un testo divulgativo e accessibile a tutti – come si dispiega l’idea del dialogo tra uomo e uomo, tra uomo e Dio, tra fratelli, tra genitori e figli… Ma anche dialogo tra studiosi (la celebre Machloqet talmudica), o quello con le altre genti e religioni; c’è infine la storia millenaria del dialogo tra ebrei, cristiani, islamici e di come si sia sviluppato nei secoli questo confrontarsi, disputare, convenire… Un testo formativo e essenziale. (F.D.)
Vittorio Robiati Bendaud e Ugo Volli, Discutere in nome del cielo. Dialogo e dissenso
nella tradizione ebraica, Guerini e Associati, pp. 225, 20,00 euro.

Comicità e tenerezza, arte di sopravvivere e teatralità delle passioni. Il capolavoro del primo grande scrittore classico della letteratura yiddish (scritto nel 1869) è la storia di Fishke, un clochard che entra a far parte della corte dei miracoli della città di Glupsk, il nome di fantasia della città di Berdichev dove viveva Sfurim. Una gangster-novel popolata da accattoni e schnorrer, ladri, stolti ruffiani e bande rivali che si disputano il controllo del contrabbando: amore e malavita, sentimento e immoralità, tentazione e pentimento. Miseria e splendore di un ebraismo ashkenazita la cui rievocazione non smette di sorprendere. (F. D.)
Mendele Moicher Sfurim, Fishke
lo zoppo, Marietti, pp. 237, 16,00 euro.

Anche la tenebra più fitta è messa in crisi da una piccola luce. Così il primo lume di Chanukkà illumina il buio dell’inverno, prima fiocamente e poi nel divampare trionfale della luce di otto candele. Chanukkà celebra il miracoloso e il soprannaturale ma anche una vittoria concreta e reale sul nemico, un trionfo sia materiale sia spirituale. La voce di Rav Laras rivive in queste bellissime riflessioni, una per ciascuna sera della festa e per ogni candelina accesa. (F. D)
Rav Giuseppe Laras, Pensieri per le sere di Chanukkà, con le Halachot di Rav David E. Sciunnach, Belforte, pp. 149, 20,00 euro.

Isaac B. Singer adorava scrivere storie per l’infanzia, «perché i bambini non fanno critica letteraria ma si lasciano facilmente traghettare verso mondi fantastici, non leggono per cercare un’identità, né per liberarsi da sensi di colpa, non sanno che farsene della psicologia, credono ancora in Dio, nella famiglia, negli angeli e demoni, nella chiarezza, nella logica, nella punteggiatura e altri simili vecchiumi», e soprattutto non sono così infantili da pensare che i libri possano redimere l’umanità,
scriveva Singer. Ecco quindi sette autentici gioielli riproposti oggi con le splendide illustrazioni di Maurice Sendak: tra la favola e la parabola, Bashevis incanta ancora con sette storie narrate con commozione, amore, umorismo e pietas per tutte le creature viventi, animali, alberi, persino per diavolesse e folletti a cui viene bruciata la coda. Perché solo le storie hanno il potere di fermare il tempo e ciò che è successo ieri o mille anni fa, resterà per sempre presente. (F. D.)
Isaac Bashevis Singer, Zlateh la Capra e altre storie, illustrazioni di Maurice Sendak, Adelphi, traduz. E. Zevi, pp. 102, 18,00 euro.

Un classico del pensiero politico contemporaneo – scritto negli anni Sessanta ma attualissimo -, del grande filosofo e storico delle idee nato a Bagdad e fuggito alle persecuzioni antiebraiche, poi approdato alla London School of Economics dove ha insegnato dal 1953 al 1990. Fondamentale il suo contributo agli studi Mediorientali; dobbiamo alla pregevole curatela di Alberto Mingardi se oggi esce in italiano una delle opere più importanti di Kedourie: un testo prezioso per capire l’architettura ideologica del nazionalismo, la sua storia, le sue ripercussioni e radici culturali, il perché del suo riemergere odierno. (F. D.).
Elie Kedourie (cura e traduzione di Alberto Mingardi), Nazionalismo, LiberiLibri, pp. 324, 20,00 euro.

Un romanzo breve, l’ultimo di A. B. Yehoshua, che si legge in un fiato, cercandone il senso. Ambientato in Italia, la figlia unica del titolo è una bella ragazzina dai capelli ricci che, nei giorni che portano a Natale, si trova nel bel mezzo di un dilemma identitario. Si sta preparando al Bat Mitzvà, mentre a scuola vorrebbero che impersonasse Maria nella recita; ma il padre non vuole. La famiglia allargata se la contende, costringendola a una personale “erranza” tra case diverse e diverse abitudini, fedi e non fedi. Un romanzo che cerca di riempirsi di metafore e raccontare gli ebrei italiani, ma lascia l’amaro in bocca per incongruenze e superficialità che perpetuano pregiudizi piuttosto che smascherarli. E poi: un rabbino che si traveste da prete, entra in chiesa; ebrei che si chiedono se sciando a Natale festeggiano Gesù… (E. M.)
Abraham B. Yehoshua, La figlia unica, Einaudi, trad. di Alessandra Shomroni, pp. 168, 18,00 euro.

Il più antico commento rabbinico alla Torà si chiama Sifrè de be-Rav, e risuona qui, potente, la voce di Rabbì Aqivà e la sua esegesi. Il focus del saggio è posto su Devarim, il Deuteronomio, e sull’ultimo discorso di Mosè, considerato il suo testamento spirituale, pronunciato il giorno della morte. I temi raccolti in questa straordinaria antologia sono molti: che cos’è davvero l’idolatria? Che cosa significa che siamo creati a immagine di Dio? Quale il confine tra giustizia e misericordia, tra Middat-ha-Din e Middat-ha-Rachamim? Cos’è la preghiera: dialogo interiore, interrogazione, meditazione, un affidarsi? Lo sappiamo: nell’ebraismo l’interpretazione è antica quanto il testo e l’esegesi aggiorna e inventa significati sempre nuovi a ogni generazione. Halachà e Aggadà si rincorrono e il curatore Alberto Mello riesce a restituirne la formidabile dialettica nelle pagine che sceglie di sottoporci. Devarim vuol dire Parole: al centro del libro c’è anche lo Shemà Israel, ossia le parole che quotidianamente l’ebreo pronuncia due volte al giorno. Si avverte, forte, anche l’eco del contributo filosofico di un altro gigante del pensiero ebraico, Abraham Joshua Heschel, che nel suo capolavoro, Torà min ha-shamaim, recupera nel XX secolo il senso mistico di Aqivà. E sentire la voce di Rabbì Aqivà che risuona fino a noi, in italiano, attraversando i millenni, è davvero una rara emozione. (F.D.)
Alberto Mello (a cura di), Il testamento di Mosè. Antologia del Sifrè Devarim, Giuntina, pp. 182, 16,00 euro.

Quattro racconti pieni di ironia, realismo, calore; quattro gioielli di uno dei padri fondatori della letteratura yiddish: sono i celebri Racconti ferroviari di Sholem Aleichem, in forma di formidabili monologhi, che evocano i fumosi vagoni in cui si ammassavano gli ebrei dell’Est Europa, un microcosmo in cui si passavano ore interminabili e dove si chiacchierava molto. Tradurre questi testi mantenendo la freschezza e la capacità evocativa di quello yiddish così ricco non è facile, ci fa notare Haim Burstin nella prefazione. Quell’universo scomparso, “vos iz nishto mer”, quel mondo che non c’è più, rivive fulgido qui: storie di spilorci gabbati e “alleggeriti” di qualche soldo, storie di tallet, pendole e violini intorno a cui ruota un’umanità piena di humour e di sconsolata arte di vivere. Imperdibile. (F.D.)
Sholem Aleichem, Buon Anno!,
(a cura di Anna Linda Callow, Franco Bezza, Haim Burstin), Garzanti, pp. 94, 4,90 euro.

Fu la prima ebrea assunta in Vaticano: Hermine Speier era un’archeologa di Francoforte, nata in una agiata famiglia ebraica (1898-1989) e sfuggita alle Leggi razziali in Germania durante il nazismo: segnò la storia dei Musei Vaticani a Roma, nel Novecento. Elegante, coltissima, salottiera, la chiamavano monsignorina. Ora, la giornalista francese Benedicte Lutaud ricostruisce in un’inchiesta affascinante il ritratto (e il potere) di cinque donne, tra cui la Speier, raffinate intellettuali e navigate diplomatiche che furono amiche, confidenti e consigliere dei Papi del XX e XXI secolo, da Pio XI a Giovanni Paolo II a Papa Francesco. Storie spesso oscurate, censurate, messe a tacere che finalmente entrano nella grande storia. Sorprendente. (F.D.)
Benedicte Lutaud, Le donne dei Papi, Guerini e Associati, pp. 280, 22,00 euro.

Shmuel Zarfati è l’unico di cui lui si fidi: è il suo medico personale e il Papa lo ascolta attentissimo e lo risparmia dalle proverbiali e temibili sfuriate che non lesina a nessuno. Lo tratta con i guanti bianchi. Vuole regnare a lungo questo Papa-Re, pontefice iracondo e temibile: perciò il suo medico ebreo gli serve e la sua scienza gli incute timore e rispetto, e non cerca di farlo cristiano. «I rapporti tra papa Giulio II Della Rovere, e la minoranza ebraica sono stati tradizionalmente buoni, eppure dietro una sostanziale tolleranza, il pontefice persegue l’antica idea della conversione degli ebrei…», scrive Giulio Busi. L’avventura umana, bellica, politica di un pontefice leggendario: il Rinascimento italiano narrato attraverso la figura di uno dei suoi eroi, Giulio II, il papa di Michelangelo e di Raffaello, quello che commissionò loro le Stanze in Vaticano e la volta della Cappella Sistina. Appassionante. (F.D.)
Giulio Busi, Giulio II, il Papa del Rinascimento, Mondadori, pp. 240, 22,00 euro.

Una famiglia americana sgarruppata come poche, in cui moralità, altruismo, onestà intellettuale sono concetti arbitrari, è al centro di questo libro sorprendente, divertente e molto intelligente. Fra Arthur, il padre, professore precario di ingegneria applicata in un’oscura università del Midwest, immerso in problemi economici, la figlia Maggie, che si dedica in maniera ossessiva al volontariato, ostenta disprezzo per il denaro ma non sa comunque separarsene, ed Ethan, il fratello omosessuale ansioso cronico e insoddisfatto della sua vita sentimentale, si creano dinamiche fra il drammatico e il grottesco. Un romanzo di esordio che ha fatto gridare la critica letteraria americana la nascita di un nuovo talento. Da leggere se ci si vuole divertire
(Ilaria Myr)
Andrew Ridker, Gli altruisti, Guanda, pp. 368, 19,00 euro.

La lepre e la tartaruga, i Tre porcellini e Il topino di città e il topino di campagna: sono i tre classici della letteratura per l’infanzia che l’attrice premio Oscar e regista Natalie Portman ha riscritto per il suo primo libro per bambini, con un occhio attento alle tematiche più attuali, come l’ambiente e l’ugualianza di genere, con almeno uno dei protagonisti di genere femminile. Ecco quindi che i tre porcellini sono due maschietti e una femmina – Leo, Roby e Martina – che mandati dalla mamma a scoprire il mondo devono provare a non farsi mangiare dalla Lupa cattiva, e costruirsi una casa e un modo di vita che non sia proprio un “porcile”. Ogni storia, raccontata in rima, porta ai piccoli lettori un insegnamento universale. (I. M.)
Natalie Portman, Fiabe,
Edizioni Sonda, pp. 64, 16,90 euro.

Deborah, Lia e Rachele, Giuditta: sono solo alcune delle donne della Bibbia che si raccontano in prima persona, facendo emergere i tratti profondamente moderni e attuali che le caratterizzano. Arricchiscono ogni profilo, oltre alle belle illustrazioni, le pagine “Dicono di lei” che raccolgono i segni particolari, i falsi miti e come è stata rappresentata la donna in questione nella storia della letteratura, della musica, dell’arte e del cinema. (I. M.)
Maria Teresa Milano (testo), Valentina Merzi (illustrazioni) Le indomabili donne della Bibbia. Pioniere, regine, avventuriere, seduttrici e guerriere, Sonda,
pp. 160, 19,90 euro.

Una spy story avvincente inserita nell’attualità recente. Il 30 aprile 2018 il premier israeliano Benjamin Netanyahu mostrò in diretta televisiva parte dell’archivio segreto sul nucleare iraniano che agenti del Mossad avevano trafugato a Teheran e portato in Israele. In un’operazione unica nella storia dello spionaggio, furono sottratti oltre 55.000 documenti, cartacei ed elettronici, che avevano un peso totale di cinquecento chilogrammi. Secondo gli esperti dell’Intelligence israeliana e della CIA, che visionarono il materiale in anteprima, quei documenti erano la prova che l’Iran stava ingannando il mondo intero e cercava ancora di creare l’atomica. Israele aveva voluto provare al mondo la malafede iraniana, e lo fece attraverso una vasta operazione d’intelligence. Una spy story tesa e incalzante che ricostruisce le tensioni politiche, diplomatiche e militari, che caratterizzarono il periodo che precedette le rivelazioni di Netanyahu e che, basandosi sui misteri dei documenti recuperati, racconta, sotto il velo della fiction, come potrebbe essersi svolta una delle più grandi e controverse operazioni della storia dello spionaggio. (I. M.)
Michael Sfaradi, Mossad. Una notte a Teheran, La nave di Teseo, pp. 535, 20,00 euro.

Quando si arriva alla soglia dei cinquant’anni, può venire naturale fare un bilancio della propria vita, valutando le delusioni affrontate e le perdite subite. Questo è il caso del protagonista de La luce del Regno, romanzo d’esordio del saggista e opinionista Niram Ferretti. Al centro delle vicende vi è Mattia Almiti, docente di storia dell’arte di origini ebraiche che nel corso della sua vita ha dovuto affrontare molte esperienze dolorose: il fratello maggiore Nathan è morto anni prima in un incidente, ha un rapporto conflittuale con la madre, si è lasciato con sua moglie, e il giovane studente Yannis con il quale aveva una relazione è morto di overdose. Il processo di rielaborazione di tutti questi tragici fatti lo porterà ad intraprendere un viaggio. Fin dall’inizio il romanzo si contraddistingue per uno stile narrativo insolito: alla narrazione in prima persona spesso se ne alterna una in seconda persona, nella quale il protagonista si rivolge a qualcun altro che forse non c’è più, come se tra loro fossero rimasti dei conti in sospeso. Dopo essersi fatto notare come autore di articoli su Israele e il Medio Oriente, Ferretti mette in secondo piano la politica per focalizzarsi su tematiche esistenziali. E lo fa con un approccio inaspettato: non si fa problemi nel trattare temi come le relazioni omosessuali e la tossicodipendenza, con una disinvoltura che si accompagna al rispetto dei personaggi. Non mancano riferimenti alla cultura ebraica, alla quale Mattia si sente legato da un rapporto complicato. (Nathan Greppi)
Niram Ferretti, La luce del Regno, Giuntina, pp. 272, 18 euro.

“È una storia singolare quella della poetessa Rachel, mito sionista e simbolo mai scalfito dal tempo del movimento pioneristico ebraico. Il suo volto compare sulle banconote e sui francobolli dello Stato ebraico. La sua tomba, sulle rive dell’amata “Kinneret”, il lago di Tiberiade, è tutt’oggi meta di un incessante pellegrinaggio di turisti, di lettori, di innamorati della poesia. Molte delle sue liriche sono diventate famose canzoni, incise dagli interpreti più celebri del panorama musicale israeliano. Non c’è studente in Israele che non conosca il suo nome, i dettagli della sua esistenza. Non c’è cittadino che non sappia recitare a memoria almeno uno dei suoi versi. (…) La biografia di Rachel – breve e amara, ma illuminata da sogni grandiosi – possiede, infatti, il respiro di un romanzo, il romanzo di un’intera generazione, di una schiera infinita di uomini e donne che hanno saputo costruire uno Stato letteralmente con le proprie mani”. (dalla prefazione di Sara Ferrari).
Una raccolta dei suoi versi, pubblicata grazie alla collaborazione dell’Associazione Italia-Israele di Milano.
Rachel Bluwstein, Poesie, a cura di Sara Ferrari, Internopoesia editore, pp. 180, 13,00 euro.

“Per essere credibili bisogna essere ammazzati in questo paese.” A dirlo fu Giovanni Falcone, ospite del programma televisivo Babele solo quattro mesi prima di finire ucciso. Il senso di questa frase riecheggia nel titolo Sono ancora vivo (Bao Publishing), autobiografia a fumetti del giornalista Roberto Saviano realizzata assieme al disegnatore israeliano Asaf Hanuka. La graphic novel comincia raccontando la sua storia a partire dall’infanzia, per poi alternare in ordine sparso vari flash-back della sua vita: le origini a Casal di Principe, comune nel casertano noto per ospitare alcuni dei più famigerati clan camorristi, la pubblicazione del libro Gomorra dopo la quale gli fu affidata la scorta che lo costringe ancor oggi a non poter vivere una vita normale. Asaf Hanuka disegna i flash-back narrati da Saviano con personaggi in bianco e nero e sfondi colorati, mentre per le scene ambientate in tribunale e nei salotti televisivi utilizza colori vivaci. Tra le pagine del fumetto, emerge un Saviano poco conosciuto anche a chi già lo segue sui social: si parla del rapporto con i genitori e il fratello. Ma non delle sue origini ebraiche. (N. G.)
Roberto Saviano, Sono ancora vivo, illustrazioni di Asaf Hanuka,
Bao Publishing, pp. 144, 18,00 euro.

Che cos’hanno in comune George Byron, John Ruskin, Henry James e Thomas Mann? Sicuramente quello di essere dei grandi scrittori e di avere raccontato Venezia, facendola diventare un mito nel panorama letterario. Ma, tutti, hanno “dimenticato” il Ghetto, una mancanza comune anche ad autori di origini ebraiche come Marcel Proust e Joseph Brodsky. Una lacuna sulla laguna più famosa al mondo, se pensiamo che, prima di loro, nell’opera di un titano come William Shakespeare, Il mercante di Venezia, l’elemento ebraico svolge un ruolo centrale. Il progetto de Il cortile del Mondo – Nuove storie dal Ghetto di Venezia ruota attorno all’anniversario del 2016, anno in cui il Ghetto compì i 500 anni dalla sua fondazione. Dopo ben mezzo millennio è nata l’idea di narrare questo luogo, noto e notevole, attraverso le penne di 18 scrittori, di lingue, paesi e religioni diversi, giunti a Venezia per attingere dal calamaio nuove storie, re-immaginando così il Ghetto. Ne sono usciti degli scritti divisi non per genere ma raggruppati per gruppi tematici. In Paesaggi, si incontra Agata Tuszynska, autrice polacca che con Bambole, rapisce il lettore: «Scacciati, abitarono in un libro. Impararono a vivere da nomadi, alla ricerca della terra promessa»; in Incontri, ad aspettarci c’è Sarah di Doron Rabinovici, scrittore viennese, nativo di Tel Aviv; in Riflessioni, Daniel Mendelsohn aggiunge una considerazione alla parola Ghetto; mentre in Dibattiti, ci aspetta un vivace scambio di lettere tra Laura Forti, ebrea italiana e l’israeliano Motti Lerner. Inoltre, due saggi, rispettivamente di Sara Civai e Lucio De Capitani, s’interrogano sul motivo che ha portato pilastri della letteratura moderna a fuggire dalle recinzioni del Ghetto dove, alle difficili condizioni di vita, gli ebrei seppero far fronte – come spiega Shaul Bassi, il curatore di questo volume – facendo diventare Venezia la capitale della cultura ebraica in Europa. Un vuoto qui colmato, dunque, un punto di continuità e non di arrivo, perché Venezia non sarebbe la stessa senza questa gemma incastonata: il Ghetto. (Michael Soncin)
Autori vari, Il cortile del Mondo – Nuove storie dal Ghetto di Venezia, a cura di Shaul Bassi, Giuntina, pp. 288, euro 18,00.

Dopo aver conquistato il cuore dei lettori e della critica con la sua opera prima Olocaustico, il regista Alberto Caviglia torna sugli scaffali delle librerie con un nuovo irriverente romanzo dalla natura leggermente autobiografica: Alla fine lui muore. La storia narra le vicende del giovane-vecchio Duccio Contini, che la mattina del suo trentesimo compleanno si sveglia realizzando improvvisamente di essere vecchio. Il protagonista, rappresentante forse dell’intera generazione alla quale appartiene, risulta inizialmente incredulo, poi rassegnato, dopo ancora entusiasta della notizia. Ha così inizio un percorso metapsicologico che porterà Duccio a scrivere persino il proprio epitaffio, convinto di essere ormai giunto a capolinea. Una storia, quella raccontata da Caviglia, dal sapore dolce-amaro, che fa sorridere e al contempo riflettere su quell’intera generazione che non riesce ancora a fare i conti con la propria età anagrafica. (David Zebuloni)
Alberto Caviglia, Alla fine lui muore, Giuntina, pp. 200, 14,00 euro.

Continua a far parlare di sé On the Hummus Route, un libro che vuol essere un sogno di pace, dove arte e cucina camminano parallelamente, dando vita a un viaggio senza confini, lungo nove città del Medio Oriente: Il Cairo e Gerusalemme, Gaza e Tel Aviv, Giaffa, Damasco e altre ancora. Dopo aver vinto il premio come “Miglior Libro al Mondo” e “Miglior Libro per la Pace” ai World Culinary Oscars, è stato presentato al Papa, al Principe Carlo, alla Giornata Internazionale della Pace all’Onu. Tra le diverse presentazioni non si è fatto mancare nemmeno quella alla Alfred Nobel House in Svezia. La copertina è già un’ottima presentazione, quel genere di prima impressione che conta, unificante, simbolo delle diversità che possono dialogare, poiché la parola Hummus è scritta in tre lingue: Ebraico, Arabo e Inglese; oltre a ricordare le tipiche insegne stradali che si trovano in Israele. Questo lavoro è frutto del progetto di oltre 30 persone di ogni provenienza, assieme riunite, ciascuna per offrire il proprio talento: chef, scienziati, illustratori, fotografi e filosofi. Una delle firme è il cuoco israeliano Ariel Rosenthal assieme alla collega Orly Peli-Bronshtein. Sono 70 le ricette presenti, tutte a base di ceci, spaccato della variopinta diversità. Rosenthal ha qui condiviso le sue due ricette più note, l’Hummus Hakosem e il Falafel Hakosem. Hakosem (in ebraico, Il mago) è il nome del suo ristorante di Tel Aviv in cui si possono gustare. (Michael Soncin)
Ariel Rosenthal, Orly Peli-Bronshtein, Dan Alexander e altri, On the Hummus Route. A journey between cities, people, and dreams, Magic, pp. 408, 85,00 euro.

 

Le corone della Torà. Logica e Midrash nell’ermeneutica ebraica

Da sempre la cultura ebraica è un’interpreting-tradition, è la pluralità conflittuale delle interpretazioni, un cammino che unisce rigore e innovazione in un perenne processo di rilettura, di ars interpretandi. Ecco qui una stupefacente “cavalcata” filosofica che partendo da Hillel e Shammai arriva agli approcci antitetici tra Rabbi Ishmael e Rabbì Aqivà, razionale il primo, mistico il secondo, passando poi per Maimonide e Yehuda HaLevì, dal quesito se la Torà parli la lingua degli uomini o quella degli angeli fino alle considerazioni sul linguaggio, sulla parola come inizio di ogni cosa, che crea il mondo a partire dai nomi e dall’alfabeto. E poi, ancora, le moderne letture di Franz Rosenzweig e Martin Buber, di rav Joseph Soloveitchik e Abraham J. Heschel, l’homo halakhicus e razionale che usa la ragione umana anche nel campo della vita religiosa ebraica contro invece la devequt e l’intensità mistico-soggettiva dell’esperienza religiosa, per Heschel. Lo studioso Massimo Giuliani ci conduce con competenza e rigore – ma anche con entusiasmo e passione -, attraverso la storia del pensiero ebraico srotolando concetti e immagini che corrono paralleli al pensiero occidentale. E pone sul tappeto un grappolo di temi fondamentali: l’ingresso del giudaismo nella modernità, dal Besht a Freud; la questione dei dogmi nell’ebraismo, l’intima dialettica tra fede e dubbio, il rapporto tra sogni, segni e visioni, tra voci notturne da decifrare e messaggi interiori da cogliere, e infine la psicoanalisi come scienza ebraica. Fino allo storytelling come arte del narrare se stessi, forma pedagogica a cui è demandata la trasmissione del giudaismo (negli ultimi due intensi capitoli del libro). Un compendio magistrale, in grado di guidarci nei meandri a volte tortuosi della riflessione filosofica ebraica. (F.D.)
Massimo Giuliani, Le corone della Torà. Logica e Midrash nell’ermeneutica ebraica, Giuntina, pp. 281, 20,00 euro.

 

Il sociologo eretico. Moses Dobruska e la sua Philosophie sociale

Quel giorno del 5 aprile 1794, Moses Dobruska era salito sulla forca assieme a Danton, la ghigliottina decretata per lui da Robespierre, al culmine del Terrore, con l’accusa di connivenza con le potenze straniere. Appena un anno prima, Dobruska aveva dato alle stampe la sua Philosophie Sociale, testo considerato fondativo della moderna sociologia, saccheggiato e plagiato senza citarne l’autore, in seguito, da Saint-Simon e Auguste Comte. L’avventura umana e di pensiero di Dobruska viene oggi ricostruita con grande rigore e altrettanta passione dalla studiosa Silvana Greco, in un saggio esaustivo, dedicato a questo pensatore amato da Kant e dai filosofi della sua generazione. Le sue origini in Boemia e Moravia, la nascita a Brno nel 1753, secondo di 12 figli di un’agiata famiglia di commercianti, poi l’ascesa sociale alla corte asburgica e il successo economico, la vena eversiva e l’adesione all’ebraismo eretico di Shabbatai Zvi e Jakob Frank, e infine l’adesione entusiastica al pensiero giacobino e agli ideali dell’Illuminismo, che gli saranno fatali. Dobruska parla ai savants, ai philosophes, a “les gens de bien”, la gente che ama il bene, ossia a coloro che liberi da superstizioni amano la conoscenza e s’impegnano sulla via della verità. Qui Dobruska rende omaggio a Rousseau e spiega che le ragioni del crollo dell’Ancien Règime sono sia sociali sia culturali: l’intellettuale boemo elabora così una teoria sociale nuova che pesca sia nel pensiero di Rousseau stesso, sia di Montesquieu sia di Giovanbattista Vico. Una lama ne arresterà la promettente parabola speculativa. Silvana Greco ci spiega le tappe della scoperta del pensiero di Dobruska e ci cattura con la sua capacità di ricostruire la vita e il pensiero di questo personaggio da leggenda, eretico e geniale, di cui si interessò anche l’algido Gershom Sholem. Il libro sarà presentato al Teatro Franco Parenti il 14 dicembre. (F. D.)
Silvana Greco, Il sociologo eretico. Moses Dobruska e la sua Philosophie sociale (1793), Giuntina, pp.284, 18,00 euro.