La grande epopea di Israele e le implicazioni storiche della “post-nostalgia” di Assaf Imbari

Libri

di Ugo Volli

[Scintille. Letture e riletture] L’edificazione dello Stato di Israele e dell’Yishuv (insediamento) che ne costituì la premessa e la preparazione fu certamente un processo straordinario. A partire dagli ultimi decenni dell’Ottocento e soprattutto dai primi del Novecento, centinaia e poi migliaia e decine di migliaia di ragazzi ebrei partirono dall’Europa, principalmente dalle terre dell’impero zarista, senza appoggi politici, senza fondi, senza organizzazione – se non quelli decisamente esili che l’organizzazione sionista riusciva a raccogliere.

 

Vennero in una terra che allora era sterile, desertica nell’interno e paludosa sulle coste e provarono a farla fruttare, non avendo quasi competenze tecniche e professionali. Animati da un’ideologia socialista radicale e piuttosto semplificata, si inventarono forme di organizzazione e di convivenza che a noi sembrano assai difficili, dalla proprietà collettiva di tutti i beni inclusi gli abiti e addirittura ai figli alla discussione assembleare di ogni decisione.

Presto dovettero affrontare quasi a mani nude la violenza armata degli arabi, che crebbe dai pogrom degli anni Venti del Novecento all’aggressione di sei eserciti che determinò la guerra di Indipendenza e a quelle successive. Ma riuscirono a resistere e a costruire le basi dello Stato di Israele. È inevitabile che una vicenda così straordinaria abbia prodotto oltre che una storiografia anche una letteratura epica, che ne metteva soprattutto in evidenza l’eroismo e la determinazione. Agnon, Appelfeld, Amichai, Tammuz ne furono fra gli esponenti più noti. Gli scrittori ebraici delle generazioni successive più popolari oggi, come Oz, Yehoshua, Grossman, si occuparono soprattutto di altri temi, come i dilemmi della società israeliana contemporanea, con solo un interesse limitato per quella memoria, su cui oggi però si sta tornando.

 

È molto interessante leggere un autore come Assaf Imbari, che nel clima culturale che egli chiama “post-nostalgia” si concentra proprio sui tempi dell’Yishuv e in particolare sulla vita del kibbutz. Giuntina ha tradotto due sue romanzi, Verso Casa (pubblicato nel 2020) e Il carro armato (2023). Il primo racconta la storia di un kibbutz della valle del Giordano per tre generazioni dall’arrivo dei primi immigrati dalla Russia fino alla privatizzazione contemporanea; il secondo descrive la storia di cinque personaggi legati al kibbutz Dagania Aleph, il primo in assoluto, di cui ciascuno pretende di essere l’eroe che ha fermato un tank siriano alle soglie dell’insediamento. Sono testi molto interessanti per scrittura e organizzazione del racconto, ma quel che mi interessa qui è sottolinearne l’implicazione storica.

 

I personaggi prendono parte alle vicende decisive della costituzione dello Stato, ma non riescono mai a vedere il grande quadro politico e strategico. Ognuno agisce solo sulla base della comprensione limitata che ha del suo ambiente, è dominato dall’ideologia o dall’interesse, dal senso del dovere o dal risentimento, dalle ferite della Shoah o dall’utopia socialista. I fatti che accadono sembrano spesso isolati, senza perché; le morti sono tragedie quasi sempre casuali, gli amori nascono e finiscono come le amicizie e le vite senza ragioni precise; i grandi risultati che si ottengono sono il frutto di una spinta collettiva quasi inconsapevole. Forse la storia funziona davvero sempre così; ma vedere la grande epopea di Israele come il frutto di sforzi di persone che agiscono nei limiti ristretti della loro visione, spesso sbagliando e confondendosi, è certamente uno sguardo sulla nascita di Israele che dà da pensare.