Ebrei in Sardegna, una storia antica ora in un libro

Libri

di Nathan Greppi

ebrei-in-sadegna-libro“Noi sardi abbiamo tutti una goccia di sangue ebreo”: così dichiarò l’artista e pastore evangelico Elio Moncelsi nel 2013 in un’intervista al quotidiano La Nuova Sardegna relativa al suo libro Ebrei in Sardegna: segni e disegni (Nuova Stampa, 166 pagg.), che Giovedì 7 Aprile è stato presentato a Milano con il contributo dell’associazione ADEI Wizo.

Alla presentazione Moncelsi ha raccontato di come si sia interessato all’argomento in relazione ai suoi studi biblici e di conseguenza anche sul Popolo del Libro. La sua ricerca, presentata in parte l’11 Settembre 2001, è stata lunga e impegnativa. Molte persone gli chiedevano perché si interessasse agli ebrei se lui non lo era: a loro Moncelsi rispondeva che “uno può interessarsi degli indiani d’America senza esserlo per forza”.

E infatti quella degli ebrei sardi è una storia poco conosciuta ma che meriterebbe molta più attenzione, poiché per molti secoli fu uno dei pochi casi nel mondo cristiano in cui gli ebrei riuscirono a integrarsi perfettamente nella società ospitante.

I sardi, come ha raccontato Moncelsi, sono un popolo ospitale che nel corso dei millenni si è mescolato con altri popoli che si affacciavano nel Mediterraneo, quali gli Ebrei, i Fenici, i Greci e i Romani. Questi ultimi, dopo aver conquistato l’isola, per sfruttare al massimo le sue risorse agricole e minerarie, inviarono un gran numero di schiavi, tra cui tanti ebrei. Nell’anno 19 dell’Era Volgare l’imperatore Tiberio vi inviò anche un contingente di 4000 soldati ebrei arruolati a forza nella comunità israelita di Roma, che stava diventando sempre più numerosa. In questo modo sperava di eliminare il problema ebraico nella capitale e allo stesso tempo fare in modo che ebrei e sardi si massacrassero a vicenda.

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Elio Moncelsi

La grande e diffusa presenza di ebrei in Sardegna è testimoniata da un gran numero di reperti archeologici, tra cui sigilli, anelli, lucerne ebraiche e lapidi funerarie recanti il simbolo di una Menorah. Dopo la dissoluzione dell’Impero romano gli ebrei sardi continuarono ad espandersi e ad avere le loro comunità e le loro sinagoghe, come confermano anche le lettere di papa Gregorio Magno il quale al clero locale dava disposizioni intorno all’atteggiamento da assumere in relazione agli ebrei di Cagliari, esortandolo a rispettare il culto praticato nella loro sinagoga.

Nel medioevo, al tempo dell’imperversare della peste, quando nel resto d’Europa gli ebrei venivano perseguitati, perché considerati “untori” e responsabili del contagio, in Sardegna non vi fu persecuzione, in un clima di tolleranza che proseguì sotto il dominio iberico fino alla seconda metà del xv secolo. Gli ebrei ebbero un ruolo economico fondamentale come finanziatori delle guerre di conquista della Sardegna da parte dei sovrani iberici, dai quali ottennero protezione e benefici fiscali. Questo ebbe l’effetto di attirare un gran numero di ebrei, alcuni dei quali arrivarono a ricoprire posizioni ed incarichi importanti nella società delle principali città sarde; l’espansione delle loro comunità, le Aljamas, arrivò a tal punto che nei primi anni del 1400 gli ebrei a Cagliari rappresentavano circa il 10% dell’intera popolazione.

ebrei-sardegnaMa tutto questo ebbe fine nel 1492 quando si concluse in Spagna la Reconquista portata avanti dalla regina Isabella e dal marito Ferdinando il Cattolico che emanarono l’editto di espulsione degli ebrei da tutto il territorio del loro regno. L’editto mise gli ebrei di fronte a due alternative: o convertirsi al cattolicesimo o partire, perdendo così tutti i loro beni. Di fronte a questa scelta molti ebrei sardi optarono per l’esilio, ma altri, i conversos, accettarono la conversione divenendo Marranos: fu su questi che l’Inquisizione rivolse le sue attenzioni per smascherare chi di loro continuasse a praticare di nascosto l’ebraismo.

Alla vigilia del secondo conflitto mondiale, il censimento del 1938 quantificò in 67 il numero degli ebrei nelle tre province sarde e su di loro si applicarono le restrizioni previste dalle “leggi razziali”, ma non vi furono deportazioni durante la guerra.

Ma cosa è rimasto dell’ebraismo sardo? Ancora oggi è possibile riconoscere moltissimi cognomi ebraici di origine sefardita e poi ci sono usanze e riti che si riportano alla cultura ebraica diffusa capillarmente nell’isola. A differenza di altri paesi, dove esistono già associazioni di marrani che richiedono il riconoscimento della loro origine ebraica, in Sardegna non vi è una consapevolezza di questo: il che se da una parte è un peccato, d’altra parte sta ad indicare quanto gli ebrei, come tutti gli altri gruppi etnici emigrati in Sardegna, siano riusciti a convivere e ad integrarsi anche nei periodi più bui della storia.