di Fiona Diwan
Un documento straordinario. La spietata fotografia dello spirito del tempo, da cui scaturì il feroce antisemitismo del XIX secolo. Da Lord Balfour a Mommsen a Daudet…, le interviste ai grandi personaggi europei della politica e della cultura, raccolte dal giornalista-scrittore Hermann Bahr, oggi pubblicate da Giuntina
“L’antisemitismo vuole solo se stesso. Non è un mezzo per ottenere un fine. L’unico fine dell’antisemitismo è l’antisemitismo… La soave estasi che un tempo le masse traevano dalla fede e dagli ideali perduti deve essere rimpiazzata. I ricchi si sorreggono con la morfina e l’hashish. Chi non se li può permettere diventa antisemita. L’antisemitismo è la morfinomania della gentucola… E poiché alla gente manca la voluttà dell’amore, si affida alla voluttà dell’odio”. Siamo nel 1893 e con queste parole introduttive Herman Bahr presentava le sue Interviste internazionali, un viaggio per l’Europa per ascoltare le voci di accademici, uomini politici, giornalisti, scrittori e artisti su un tema all’epoca incandescente e divisivo, quello dell’antisemitismo. “Un documento credibile su come la pensino al riguardo le persone istruite…”, scriveva, e per cogliere il senso di un sentimento che si stava diffondendo a macchia d’olio.
Un affondo nello spirito del tempo per capire un’avversione che si fa veleno. “Io dunque non confuterò in alcun modo l’antisemitismo, cosa che è stata fatta mille volte ed è sempre vana. Chiedo semplicemente con quali sentimenti le persone istruite delle diverse nazioni si pongono nei confronti di questo spettro che si aggira tra i popoli, e che risposte ne traggano. Forse in futuro questo risulterà essere un curioso documento sulla condizione dello spirito umano nel 1893”. Così ripeteva Bahr, scrittore austriaco, commediografo, pensatore, nato a Linz nel 1863 e morto a Monaco di Baviera nel 1934.
Eseguite per la Deutsche Zeitung, le interviste sono state pubblicate nel 1894 per l’editore S. Fischer in volume (e oggi in italiano da Giuntina nella magistrale traduzione di Erik Battaglia). Bahr era perfettamente consapevole del valore di testimonianza delle sue interviste, che conservano fino a oggi una freschezza e una attualità sorprendenti. Con notevole arte della descrizione, Bahr ci restituisce i ritratti dei vari personaggi intervistati, pennellate fulminanti, flash capaci di fotografarne i tratti peculiari in poche righe: e così, ecco emergere dalle varie personalità i motivi della presunta inferiorità (o superiorità) ebraica (“L’intelligenza media degli ebrei è decisamente superiore a quella dei germani. Ma le vette della scienza e delle arti restano a loro negate. Heine?, non raggiunge le vette di Goethe e Schiller… Spinoza? Un’eccezione che non conferma la regola”, dichiara ad esempio il letterato Friederich Spielhagen nell’intervista a Bahr).
Immancabile, ovviamente, qualche voce dissonante: “L’antisemitismo è il socialismo degli imbecilli”, dichiara August Bebel. O ancora, nella splendida intervista a Theodor Mommsen, monumento dell’intellighentzia tedesca: “…l’antisemitismo è il modo di pensare delle canaglie. È come una orribile epidemia, come il colera – non la si può spiegare né curare. Bisogna aspettare con pazienza fino a che il bacillo si sfoga e perde forza… è la malattia più vergognosa del nostro tempo”.
Non mancano alcune aperte dichiarazioni di simpatia, come quella dell’aristocratico principe Heinrich Schoenaich-Carolath (“I figli della stessa patria non devono combattersi… combatterò l’antisemitismo come grande pericolo per la nostra intera cultura..”). Ma lo stesso principe non esita a sperare che “vadano sfumandosi talune peculiarità degli ebrei… Quanto più la radice ebraica si assimilerà a quella tedesca, tanto prima essa perderà quelle caratteristiche che talvolta feriscono i nostri sentimenti”.
Tuttavia, la maggior parte delle interviste sconvolge e lascia senza fiato: Adolf Wagner, leader politico, afferma di non sopportare l’indole ebraica, la maleducazione ebraica e pensa che gli ebrei “mettano a rischio i costumi tedeschi”; Ernst Hackel considera “come merito dell’antisemitismo il fatto che risvegli nei tedeschi e negli ebrei questa convinzione: gli ebrei devono abbandonare le loro stranezze e diventare pienamente tedeschi negli usi, nei costumi e nei sentimenti…”. Magnifica è l’intervista a Francis Magnard, editore del quotidiano francese Le Figaro, in cui lo stesso Magnard spiega l’antisemitismo francese di Drumont, o ancora quella a Séverine, gran dama e star del giornalismo francese fin de siècle, che tenta di spiegare, condannandolo, l’antisemitismo del popolino, quello dei socialisti (“amici del caos”), o ancora quello della nobiltà francese, pura invidia sociale (“la nobiltà vorrebbe il denaro che gli ebrei hanno e che lei non ha più…”).
Con un talento descrittivo unico e una prosa che cattura, Bahr ci guida tra i personaggi e le differenze tra i vari antisemitismi, quello inglese, tedesco, irlandese, spagnolo, francese (manca l’italiano)… Se quello tedesco resta fondamentalmente reazionario, una rivolta piccolo borghese contro lo sviluppo industriale, quello francese assume una connotazione rivoluzionaria e anticapitalistica, contro l’accumulo di denaro e il predominio dei ricchi, ebrei come comodo emblema del capitalismo.
Nella bella introduzione al libro firmata da Ezio Mauro, il giornalista ci ricorda come nel 1888 si raccolsero in Germania ben 265 mila firme per la Petizione degli antisemiti contro l’emancipazione degli ebrei: in quegli anni, durante l’età di Bismark, si costituì un vero e proprio Movimento antisemita cui aderì una larga fetta dell’opinione pubblica e intellettuale tedesca, declinando l’antica giudeofobia teologico-religiosa in versione socialista e anticapitalistica e poi ancora razziale e nazionalistica (fino all’accusa di mondialismo e all’antisionismo radicale di oggi, fa notare Mauro). “… una continua metamorfosi dell’odio, dovuta alla forte carica mitica, al fondamento teologico, alla capacità di adattamento a culture diverse”, scrive Ezio Mauro, ebreo come “avversario metafisico”. La cornice di civiltà non ci preserva mai, ieri come oggi, scrive Ezio Mauro: siamo incapaci di cogliere le metamorfosi del male, semplicemente non reggiamo il peso del reale, rifuggiamo dalla potenza della realtà illudendoci di essere al riparo dal nuovo disordine globale che ci minaccia.
Notevole anche la postfazione di Konstanze Fliedl che riassume la parabola intellettuale di Herman Bahr, la sua amicizia con Theodor Herzl, il suo atteggiamento altalenante e contraddittorio nei confronti della presenza ebraica in Germania.
Un libro fondamentale sulla questione ebraica, una lettura illuminante e sconvolgente.
Hermann Bahr, Antisemitismo. Un’intervista internazionale (1893), a cura di Erik Battaglia, Giuntina, pp. 236, euro 20,00.