Tenere vivo il ricordo: i figli dei sopravvissuti alla Shoah raccontano la loro storia all’ADEI WIZO Milano

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di Pietro Baragiola 

“Cosa succederà alla memoria della Shoah, scomparso l’ultimo sopravvissuto? I loro figli saranno lì a testimoniare in loro vece”.

Utilizzando le parole dello scrittore Elie Wiesel, Sylvia Sabbadini e Roberta Vital, presidente e vice della ADEI WIZO Milano, danno il benvenuto ai loro ospiti, portatori di un’eredità gravosa ma fondamentale: quella di tramandare le storie dei propri genitori, sopravvissuti all’inferno dell’Olocausto.

Un’eredità che non è sempre stata trasmessa con facilità e, anzi, più volte celata.

“Papà inizialmente non voleva parlarne con noi” racconta Mario Venezia, presidente della Fondazione Museo della Shoah, enfatizzando il fatto che suo padre tentò fino all’ultimo di risparmiare ai propri figli le crudeltà della guerra.

Shlomo Venezia aveva solo 19 anni quando arrivò al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau dove fu assegnato ai Sonderkommando, il corpo speciale di prigionieri addetti a smaltire i cadaveri delle camere a gas. Intrappolato nel vero epicentro della macchina mortale nazista, Shlomo diventò uno tra i principali portavoce delle tragedie dei campi di sterminio e la sua straordinaria testimonianza aiutò Roberto Benigni nella scrittura del film La vita è bella.

Nel 2022, spinto da Walter Veltroni e dai consiglieri della Fondazione Museo della Shoah, Mario Venezia riportò in vita con fierezza il ricordo di suo padre grazie al documentario Il respiro di Shlomo, diretto da Ruggero Gabbai e proiettato il 23 gennaio 2023 al Teatro dell’Opera di Roma davanti a 1800 persone. Il film, il cui titolo opprimente simboleggia l’aria venefica respirata nei forni crematori, sarà trasmesso in prima serata il 27 gennaio, Giorno della Memoria, su Rai1, per poi essere disponibile in streaming su RaiPlay.

“Anche rimanere civilmente in vita è un segno di grande responsabilità che dà lustro al popolo ebraico” afferma Mario Venezia, mostrando empatia verso coloro che non si sentono ancora pronti a condividere la propria storia.

 

Alcune vicende, infatti, sono troppo dolorose anche solo da ricordare, come quella della madre di Rosanna Bauer, Agata Herskovits Bauer, detta Goti, che, dopo l’emanazione delle leggi razziali, cercò di fuggire in Svizzera ma fu spietatamente tradita e deportata insieme ai genitori nell’oblio di Birkenau. “Sapere che i tuoi nonni sono passati per un camino ti segna per tutta la vita” racconta Bauer con voce straziata, ancora sconvolta dai traumi che sua madre dovette affrontare da sola, rimasta orfana.

Quando Goti diventò madre, suo marito le fece rimuovere il numero dal braccio nella speranza che non avrebbe rivissuto quotidianamente il terrore della prigionia ma, purtroppo, non fu così. Terribilmente segnata da quella tragedia, Goti trascorse la vita mettendo in guardia la sua famiglia dal rivelare le proprie origini ebraiche. Una paura non del tutto immotivata vista la presenza ancora oggi di forti movimenti antisemiti. “Ho letto che il preside del Liceo Carducci di Milano intende dedicare l’intero ultimo anno allo studio del 900. Trovo sia la scelta giusta” afferma con determinazione Rosanna Bauer, convinta che una riforma dell’insegnamento scolastico sia l’unico modo per sensibilizzare le generazioni future.

Quest’opinione è pienamente condivisa da Gadi Schoenheit, consigliere dell’UCEI (Unione Comunità Ebraiche Italiane) che, citando suo padre, sostiene che “il nostro paese non ha ancora fatto i conti con la sua storia”.

Schoenheit descrive con grande amarezza il giorno in cui il padre, Franco, dopo essere sopravvissuto ai campi di sterminio e aver vinto una borsa di studio in Inghilterra, si recò dal capo dell’Ufficio Passaporti per ritirare i propri documenti, finendo per trovarsi davanti il commissario Allegretta, l’uomo che lo aveva deportato. Le parole “Buon Viaggio” del commissario al giovane Franco non fecero che aggiungere sale alla ferita, visto che l’ultima volta che si erano incontrati lo aveva fatto “viaggiare” fino ai campi di sterminio.

Schoenheit usa questo aneddoto per mettere in guardia le nuove generazioni dal dimenticare con facilità il passato, rivelando la sua paura più grande: “se non tramandiamo le lezioni dei padri ai nostri figli, con la morte degli ultimi sopravvissuti la settimana della Shoah rimarrà nella memoria di un paese senza memoria”.

Molti ebrei cercano, dunque, di mantenere vive le storie di quei giorni per evitare che si ripetano. Dalia Habib Ortona ha tratto notevole giovamento dal messaggio di coraggio e forza tramandato dal padre, Giacobbe, deportato come prigioniero inglese e rinchiuso da ebreo nel campo di Bergen-Belsen, dove fu costretto a rubare il cibo dalla spazzatura, lottando contro ogni avversità, per rimanere in vita.

Dai superstiti dobbiamo ereditare la volontà di saperne di più, approfondire e imparare, solo così possiamo mantenere a testa alta una forte identità ebraica” conclude Ortona, orgogliosa delle sue origini e pronta a tramandarle.