Cattelan: “Volevo far dialogare l’opera con la città”

Arte

“Più che ‘provocatoria’ l’aggettivo che mi viene in mente pensando a quell’opera è ‘spirituale’, non c’è volontà di provocare. Nessuna mia opera è mai nata con quell’intento. L’Hitler è stato esposto anche in Svezia, un Paese neutrale durante la Seconda guerra mondiale” afferma  Maurizio Cattelan. In un’intervista rilasciata a Dario Pappalardo per Repubblica, l’artista che ha esposto la statua di un giovane Adolf Hitler inginocchiato alle porte del ghetto di Varsavia, spiega il perchè della sua scelta.
“Mi piaceva l’idea che un’opera del genere dialogasse con la città. Ci sono stato nel 2006 mentre lavoravo alla Biennale di Berlino e poi lo scorso anno. Ho visitato il ghetto, i luoghi storici e tutto questo ha avuto un impatto molto forte sudi me».

Rispetto al scelta del luogo in cui collocare l’opera, Cattelan spiega ancora: “Ho pensato al gesto di Willy Brandt che arrivando a Varsavia 25 anni dopo la guerra andò a inginocchiarsi davanti al monumento dedicato agli ebrei vittime della Shoah. Da qui è nato il mio dialogo con quel posto”.

Alle parole di Efraim Zurofd del Centro Wiesenthal, che ha definito l’esposizione una “provocazione insensata”, Cattelan risponde: “Non c’è alcuna volontà di provocare. Da una mostra mi aspetto che ponga delle domande, più che dare risposte. Una mostra è fatta da opere il cui stesso significato cambia con il tempo. Vent’anni fa non ci ponevamo le domande di oggi. Se un’opera realizzata più di dieci anni fa, come è il caso di Him, continua provocare discussione significa che assolve ancora al suo ruolo”.

“Hitler incarna l’immagine della paura. Mettendolo in scena non ho fatto che impossessarmi di un’icona del XX secolo. Non c’è mai stata alcuna intenzione di offendere nessuno. Semmai c’è la fortuna di continuare a dialogare ancora attraverso le opere. Non tutte sopravvivono ai loro autori, quasi nessuna”.

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Priva di senso e per di più offensiva. Efraim Zuroff, direttore del Simon Wiesenthal Center in Israele,  definisce così l’esposizione a Varvasia di “Him”, una delle opere più controverse di Maurizio Cattelan.
La statua di un giovane Adolf Hitler inginocchiato, come fosse in preghiera, e di altre 13 opere di uno degli artisti più discussi, provocatori e pagati degli ultimi decenni, sono esposte fino a febbraio al Centro di Arte Contemporanea di Varsavia, al Castello di  Ujazdowski, diretto da Fabio Cavallucci – il critico che per molti anni ha promosso l’opera di Cattelan in giro per il mondo.

Cattelan, si sa, dove arriva, crea polemiche. A Milano nel 2004, una delle sue installazioni – quella dei tre manichini di bambini appesi in Piazza XXIV maggio – venne rimossa dopo un giorno da un cittadino offeso e disgustato.
Nel caso di Varvasia, però alla provocazione insita nell’opera si aggiunge anche quella del luogo dell’installazione: alle porte del ghetto dal quale furono deportati migliaia di ebrei polacchi.

Per Zuroff si tratta di “un uso improprio e di cattivo gusto dell’arte”, di “una provocazione priva di senso che insulta la memoria delle vittime del  nazisti ‘vittime”.

Secondo quanto riportato dal sito del Centro di Arte Contemporanea, le 14 opere di Cattelan  scelte per questa mostra polacca dal titolo “Amen”, sono tra le “più significative dell’artista”. Con esse, si legge, Cattelan “si pone domande circa la comprensione contemporanea della morte, il sacrificio, il perdono, la genesi del male nel genere umano, l’identità nazionale, e la memoria storica”.

Cattelan è stato protagonista, tra la fine del 2011 e il 2012 di una grande retrospettiva al Guggenheim Museum di New York, doce con “All” ha esposto la sua “opera omnia”. Proprio in occasione della grande mostra newyorkese,  Cattelan aveva annunciato il suo ritiro dall’arte.