Funivia di Stresa: la Comunità in lutto per Amit e la sua famiglia. Un dolore devastante

di Redazione

Il ricordo è quello del suo viso, della sua presenza discreta, e il pensiero va alla festa in sala Consiglio per la nascita del suo piccolo Tom, due anni fa. La tragedia della funivia del Mottarone si è presa la vita di Amit Biran, di sua moglie Tal e del bambino più piccolo. L’altro figlio è nell’ospedale di Torino, in gravi condizioni.

Non ci sono parole, la voglia è solo quella di piangere, da quando si è saputo, dal tam tam della Comunità ebraica di Milano, che tra le quattordici vittime della tragedia di Stresa c’era anche una famiglia israeliana, residente a Pavia. Non c’è voluto molto per capire che si trattava di Amit Biran, 30 anni, di sua moglie  Tal Peleg, 27 anni, e di Tomer, due anni appena. Con loro, Itshak Cohen, 82 anni, e la moglie Barbara Cohen Konisky, 70 anni, i nonni di Tal Peleg. L’altro figlio della coppia, Eitan, 5 anni, versa in condizioni gravi ed è stato operato nel pomeriggio per fratture multiple e traumi.

“Erano rientrati da poco da Israele – dice il presidente della Comunità ebraica di Milano Milo Hasbani. –  Volevano passare una giornata spensierata. È una tragedia che lascia senza parole. Amit studiava medicina a Pavia, un giovane molto gentile, sempre sorridente. Una persona squisita. È veramente un grande dolore”.

Alla scuola della comunità di Milano, Amit lo conoscevano tutti. Un ragazzo d’oro, bellissimo, gentile, misurato, attento, dolcissimo. Mancherà il suo sorriso, la sua gentilezza premurosa. Una famiglia meravigliosa distrutta in un secondo.

Tutto il Consiglio della Comunità, ogni singola persona in Comunità, con il Rabbinato e i colleghi, lo ricorderanno per sempre con grandissimo affetto.

Il pensiero va a tutte le vittime di questa tragedia, tra le quali un’altra giovane coppia, Silvia e Alessandro, di Varese, che hanno condiviso attimi di terrore e una morte atroce.

 

di Roberto Zadik

Il suo sorriso luminoso, nascosto dalla riservatezza e dalla affidabile serietà, quella gentilezza schiva  e lievemente timida  ma sempre schietta e la professionalità sempre e comunque. Questa era la mia impressione su quel simpatico angelo custode della Sinagoga di via Guastalla di nome Amit che ho conosciuto in questi mesi, parlandoci anche se brevemente, ogni venerdì mattina. Ancora non posso crederci e come tanti sono sconvolto dalla scomparsa improvvisa e traumatica del giovane studente di Medicina  Amit Biram deceduto  a soli 30 anni, compiuti lo scorso 2 febbraio, con la moglie Tal Peleg e uno dei suoi due figli, l’altro è ricoverato in gravi condizioni. Lo consideravo una sorta di amico nonostante la differenza di età e i pochi mesi di conoscenza sentivo un feeling fra noi. Ricordo quando mi accoglieva con sobria disponibilità, con quel misto di cortesia e di distacco, il suo impegno nello studio di quella facoltà di medicina in cui si sarebbe laureato a breve e dopo grandi sforzi,  la passione estremamente pronunciata per la musica. Ascoltava sempre i suoi cantanti preferiti, americani e inglesi, mentre non era particolarmente entusiasta della musica israeliana e me ne dispiacevo con lui, scherzando e definendolo “esterofilo” e lui rideva. Ricordo che a ogni richiesta rispondeva con efficienza e concretezza, che non si perdeva d’animo e sapeva fronteggiare le difficoltà con estrema calma e autocontrollo. Due giorni fa, venerdì mattina, stava studiando come sempre e  l’avevo salutato come sempre prima di uscire dal Tempio. Lo chiamavo “l’uomo del venerdì”, nonostante la sua laicità sentiva a modo suo lo Shabbat e mi diceva “Gut Shabes” con perfetto accento ashkenazita secondo le sue origini polacche. Non conoscevo sua moglie né i suoi figli e non raccontava molto di sé, ma sicuramente era un ragazzo estremamente in gamba, molto gentile, discreto e fine. Parlavamo di musica, la nostra passione in comune, di Israele e della situazione Covid, dei vaccini da futuro medico e qualche volta anche di politica.

Che il ricordo sia benedizione