La via (ebraica) alla gioia di vivere. A qualunque età

2022

In copertina:  Lia Koenig (credits foto: Adi Barkan e Raphael Mizrahi, Onlife.co.il)

 

n° 11 - Novembre 2022 - Scarica il PDF
n° 11 – Novembre 2022 – Scarica il PDF

Longevità: come coltivare la difficile arte di invecchiare bene? Qual è il segreto di una senioritas appagante? Esiste una ricetta ebraica per prolungare gioia, energia e vitalità? Sì, rispondono i Maestri dell’ebraismo. E anche  le neuroscienze. Come? Tenendo aperti i canali dell’ottimismo. Coltivando lo studio, la curiosità,  il contatto con la gente, la capacità di emozionarsi,  di divertirsi e di ridere. Perché non importa quanto si vive a lungo, ma come. Lo ribadisce in un’intervista Lia Koenig, diva e first lady del teatro israeliano, mostro sacro  del palcoscenico

 

 

 

 

Caro lettore, cara lettrice,

“il passato è una terra straniera, fanno le cose in modo diverso laggiù”. Dalla sfera esistenziale a cui allude – quando rivanghiamo le circostanze della nostra giovinezza -, la celebre citazione di Leslie P. Hartley potrebbe essere estesa anche alla sfera della storia di ieri, a eventi di epoche remote che solo l’analisi storica può permettere di capire. Senza lo sguardo rivolto al pozzo profondo del passato, il presente può assumere tonalità enigmatiche e in alcuni casi inquietanti. È appena trascorso il centenario della Marcia su Roma e adesso, il 9 novembre, ecco il ricordo della Kristallnacht, la Notte dei Cristalli avvenuta nel 1938.

L’ombra lunga del fascismo sembra ancora proiettarsi sul nostro presente, è ancora un tema di attualità e di lotta politica, eppure oggi, per noi, si tratta forse di vedere come uscirne, come storicizzare finalmente un periodo della storia italiana che «se non va assolutamente rivendicato, non deve essere neppure coperto dall’oblio», scrivono gli storici Alessandro Campi e Sergio Rizzo ne L’ombra lunga del fascismo (Solferino), uno dei numerosi saggi oggi usciti in occasione del centenario della Marcia su Roma. Si dice spesso che, a differenza della Germania, l’Italia non si è mai veramente misurata con quel retaggio, nessun tikkun collettivo è davvero avvenuto, nessuna Norimberga, l’immagine edulcorata e fuorviante del regime che ancora si aggira tra noi con i suoi luoghi comuni benevoli verso la dittatura, in un’amnistia della memoria impensabile, ad esempio, nella Germania di oggi. Mancando così un vero vaccino contro le sirene del totalitarismo ecco allora prodursi l’effetto collaterale di democrazie volatili, ulteriormente fragilizzate dalla mancata verifica con le loro genealogie. Molte le domande (se le pone anche il film appena uscito Marcia su Roma di Mark Cousins). Perché il fascismo fu, nel suo manifestarsi genesiaco, un fenomeno esclusivamente made in Italy? Perché nacque in Italia per poi essere esportato altrove – nel rispetto delle debite varianti antropologiche -? Come si arrivò al collasso di una democrazia debole e a quello che gli storici Marcello Flores e Giovanni Gozzini chiamano «lo sfarinamento della capacità di governo e di rappresentanza»? E infine: similmente a molti italiani, anche molti ebrei furono esultanti fascisti. Perché allora non si riesce a parlarne con dovizia e sono davvero pochissimi i racconti e libri in merito? Perché questa riluttanza a guardare in faccia, con realismo e spirito laico, un passato oscuro e fascista di nonni e prozii di molte famiglie ebraiche di oggi, ebrei fascisti come la maggioranza degli italiani, gli stessi che poi furono traumatizzati dalle Leggi razziali del ’38, o di quelli che si barcamenarono, nascondendosi, fino all’8 settembre, o cercarono riparo in Svizzera quando ahimè ormai era troppo tardi e “la barca era piena”? Certo, forse per un senso di ritegno ereditato da figli e nipoti che perdura fino a oggi, per la vergogna di essere rimasti in vita dopo aver saputo della Shoah. Tuttavia, i tempi sarebbero maturi perché si affrontasse questo tabù e, non a caso, si annunciano in uscita per il prossimo gennaio numerosi volumi e memoir in proposito.

Allo stesso modo, inoltre, si torna a parlare di un Museo del fascismo: farlo? Non farlo? In che modo? Come evitare che la memoria si rigeneri in forma mitologica dando vita a nuove forme emulatorie? Un Museo del fascismo potrebbe davvero contribuire a storicizzare una memoria neofascista che non è stata realmente rielaborata, venire a patti con i fantasmi del passato e consegnare ai posteri la memoria controversa del Ventennio? Saprà essere imparziale e laico, saprà parlare al vecchietto nostalgico come al liceale ignaro di storia? Il dibattito è ai suoi inizi, ci riguarda da vicino

Fiona Diwan