Il ricordo di un abbraccio

Taccuino

di Leone Finzi

Mentre Città del Vaticano, Roma e l’intero mondo cattolico celebrano la beatificazione di Papa Giovanni Paolo II (domenica 1 maggio), i giornali si riempiono dei ricordi e dei racconti di coloro che lo conobbero e gli furono accanto negli anni del suo lungo pontificato. Wojtyla oggi, a sei anni dalla morte, sembra voler essere “svelato”, oltre che ricordato.

Wojtyla è stato un papa “diverso”: polacco e non italiano, per prima cosa; e poi sportivo, “allegro” come racconta Joachim Navarro Vals che per 22 anni è stato il suo portavoce; un papa “mediatico” oltre che diplomatico.  Per noi ebrei però Wojtyla rimane innanzitutto il papa del dialogo, anzi di più, il papa dell’abbraccio, se così si può dire: quello con il rabbino capo Elio Toaff alla sinagoga di Roma nel 1986. In quell’abbraccio, in quel gesto, semplice e lontano da ogni solennità, è come se si fosse sciolto uno dei nodi più dolorosi della storia occidentale.
La straordinaria forza del messaggio di fratellanza di Wojtyla – il papa del “disgelo”, dell’epoca di Reagan e Breznev, della Polonia di Solidarnosc e della caduta del muro di Berlino – con gli ebrei si è espressa e concentrata in un gesto, tanto potente quanto simbolico al punto da far apparire oggi il lungo discorso in sinagoga quasi un corollario.

Se e quanto in quel gesto, in quelle parole, hanno contato le origini polacche di Wojtyla, l’essere nato e cresciuto nella terra rimasta segnata dall’immane tragedia di Auschwitz, non è nostro compito ma degli storici ai quali lasciamo ogni interpretazione. Ciò che a noi preme qui è ricordare quell’aspetto del pontificato di Wojtyla, che nessuno meglio di noi, come ebrei e italiani, può comprendere.

Dopo l’enciclica Nostra Aetate del 1965, la visita di Wojtyla alla sinagoga di Roma, l’incontro con il rabbino capo e la comunità ebraica di Roma, il discorso che ha accompagnato quell’incontro – penetrante, privo di qualsiasi retorica e lucido invece nel segnalare le difficoltà del cammino che ancora avevano dinnanzi a sé cristiani ed ebrei – hanno segnato una svolta epocale nei rapporti fra ebraismo e Chiesa.
Come ha detto il rabbino Jack Bemporad al giornale Avvenire, “nessuno prima di lui aveva fatto così tanto”: l’assoluzione dalla millenaria accusa di deicidio, il riconoscimento della fratellanza degli ebrei con i cristiani. Un riconoscimento espresso in quel “voi siete i nostri fratelli prediletti, i nostri fratelli maggiori” a tutti noto; nell’ammissione della “discendenza” del cristianesimo dall’ebraismo: “saremo fedeli ai nostri rispettivi impegni più sacri, ma anche a quel che più profondamente ci unisce e ci raduna: la fede in un solo Dio che ‘ama gli stranieri’ e ‘rende giustizia all’orfano e alla vedova’ (cf. Dt 10, 18), impegnando anche noi ad amarli e a soccorrerli (cf. Lv 19, 18. 34). I cristiani hanno imparato questa volontà del Signore dalla Torah, che voi qui venerate, e da Gesù che ha portato fino alle estreme conseguenze l’amore domandato dalla Torah”.

Sulle pagine dell’ultimo numero di Famiglia Cristiana, il rabbino Elio Toaff, a proposito di papa Wojtyla, ha scritto: “la sua eccezionale statura morale e spirituale… si rivelava in tutta la sua grandezza nella convinta e profonda volontà di portare a un radicale mutamento nei rapporti tra cristiani ed ebrei, ponendo fine a quel secolare insegnamento al disprezzo che tanti lutti e tragedie aveva provocato, culminando nella Shoah. Il ricordo di papa Karol Wojtyla resterà indelebile nella memoria collettiva del popolo ebraico con il suo richiamo alla fratellanza e allo spirito della tolleranza alieno da ogni violenza. Nei rapporti tra le nostre grandi religioni, in questo nuovo secolo già macchiato da guerre cruente e dalla piaga del razzismo, l’eredità di Giovanni Paolo Il rimane una delle poche isole spirituali a garanzia della sopravvivenza e del progresso spirituale dell’uomo”.

Ci sembrano queste le parole migliori per ricordare la figura di un pontefice che ha dato molto alla Storia, che si è offerto esso stesso, con la sua parola e la sua figura, come elemento di raccordo fra mondi lontani e diversi. Fra questi, anche quello degli ebrei e dei cristiani il cui legame, pur con tutte le difficoltà, si è ristabilito anche grazie ad un semplice, umanissimo abbraccio.