di Giovanni Panzeri
Già vicepresidente della Comunità Ebraica Milanese dal 2010 al 2012 e consigliere comunale del Partito Democratico dal 2021, Daniele Nahum è stato in questi anni un importante nesso di connessione tra la comunità, il partito e la giunta Sala, che continua a sostenere, in quella che ha descritto come “la città più importante d’Italia”.
Lo scorso lunedì 11 Marzo tuttavia Nahum ha dichiarato la sua uscita dal Partito Democratico, non dal consiglio comunale, a seguito della crescita delle divisioni interne al partito riguardo alla questione israelo-palestinese.
Quali sono le ragioni dietro il suo addio al Partito Democratico? È stata una decisione maturata negli scorsi mesi o legata ad un evento particolare?
La mia decisione è stata presa in seguito alla deriva che si è creata dopo il 7 ottobre. Non ho nulla contro chi manifesta per la causa palestinese, ma se in quelle manifestazioni si grida “morte agli ebrei” o s’inneggia alla distruzione di Israele con lo slogan “Palestina libera dal fiume al mare”, la cosa diventa un problema. Il Pd chiaramente non ha aderito a queste manifestazioni ma non ha detto assolutamente nulla ai membri del partito che, a livello locale, hanno voluto partecipare. Mi sarei aspettato dal nazionale una strigliata pubblica, o anche un’alzata di telefono, per dire che pur essendo senza dubbio a favore della causa palestinese, della creazione di due stati e della pace in medio-oriente, non si può partecipare a manifestazioni in cui si sentono questi slogan. C’è stata troppa timidezza politica sulla questione.
Inoltre mi è capitato di sentire anche in aula il termine genocidio associato alla situazione a Gaza. Questo è un termine assolutamente erroneo per quanto riguarda ciò che sta succedendo, perché da parte dell’esercito israeliano non c’è alcuna volontà di cancellare un popolo, in tutto o in parte, o di sostituirlo etnicamente. L’utilizzo improprio di questo termine sta scatenando un’ondata di antisemitismo perché consciamente o inconsciamente si vogliono far passare le vittime di ieri per i carnefici di oggi, comparare gli ebrei ai nazisti. Io stesso ho sollevato più volte la questione in aula e ho impedito ai Giovani Democratici di tenere un convegno intitolato “Apartheid e colonialismo in Palestina” in un circolo del Pd. Alla fine l’hanno fatto comunque ma in un’altra sede. Questa timidezza nella risposta del nazionale sulle azioni portate avanti a livello locale in quella che, dal mio punto di vista, è la città più importante d’Italia mi ha fatto dire basta e riconsegnare la tessera del Partito Democratico.
Tuttavia Israele è coinvolto in un processo per genocidio presso la Corte Internazionale di Giustizia…
La Corte non ha parlato di genocidio, ha richiesto ad Israele di usare determinate pratiche nelle azioni militari affinché non si arrivi a compiere un genocidio. Ad oggi tuttavia le azioni militari Israeliane, che possono essere assolutamente criticabili, non vanno in quella direzione. È legittimo criticare l’operazione militare israeliana e chiedere il cessate il fuoco. Io personalmente sono per un cessate il fuoco contestuale al rilascio degli ostaggi, sono per i due stati e ho sempre fortemente criticato Netanyahu. Ma questa operazione militare, pur contestabile, non è configurabile come genocidio. La volontà di diversi settori di spingere su questo termine dovrebbe essere preoccupante per tutti.
Il suo collega ed ex compagno di partito Michele Albiani ha reagito alla sua decisione dichiarando che “il ‘sospetto’ di genocidio e il sadismo di Netanyahu sono sotto gli occhi di tutti”. Vuole rispondere?
Albiani non mi pare un esperto di medio-oriente, tutt’altro. Tuttavia è un importante esponente della comunità LGBTQ+ milanese e io noto veramente un cortocircuito sia all’interno di quel mondo che nel movimento femminista. Israele è un paese avanti anni luce sui diritti civili, molto più avanti dell’Italia, visto che garantisce da anni tutti i diritti alle coppie di fatto. Tuttavia noto che in diversi settori della comunità LGBT c’è molta enfasi sul tema del genocidio a Gaza, e sono molto colpito da questa cosa perché da una parte parliamo di un paese democratico che, per quanto criticabile, ha sempre protetto i diritti delle minoranze, dall’altra invece c’è Hamas, un’organizzazione che discrimina le donne e ammazza gli omosessuali. Le femministe di Non Una di Meno poi, dopo il 7 ottobre, sono diventate “Qualcuna di Meno” perché hanno completamente ignorato le donne stuprate e ammazzate il 7 ottobre. Questo cortocircuito a un certo punto dovrà essere affrontato.
Ci sono state delle reazioni ufficiali al suo annuncio da parte del Partito Democratico? O del sindaco Sala?
Non mi ha contatto nessuno a livello ufficiale dalla dirigenza nazionale, tuttavia devo dire che i dirigenti locali del partito si sono dimostrati assolutamente comprensivi, e sono stati molto bravi, in questi mesi, nel riuscire a tenere una posizione equilibrata senza far deragliare il partito. Mi hanno contattato ed espresso solidarietà diversi membri del partito a livello nazionale, tra cui Fassino, Lia Quartapelle, Majorino e molti altri. Emanuele Fiano mi ha chiesto di ripensarci e ha detto che farà di tutto per riportarmi dentro, visto che è importante sostenere la nostra posizione all’interno del partito. Anche il sindaco Sala si è dimostrato molto comprensivo e comunque ho chiarito in aula che non lascerò la maggioranza di centro-sinistra. Mi ha invitato settimana prossima per un confronto approfondito e, in particolare negli ultimi mesi, ha dimostrato sensibilità verso la Comunità Ebraica.
In seguito a questi episodi come giudica lo stato delle relazioni tra la Comunità Ebraica e il Partito Democratico?
Bisognerebbe chiederlo al PD ma certamente vanno sanati i rapporti. Si devono rendere conto dello stato di delusione vissuto da tanti ebrei italiani, me compreso, verso le posizioni poco equilibrate della sinistra e del partito sulla questione israelo-palestinese. Il mio impegno politico sarà comunque sempre rivolto alla pace, alla creazione di due stati e all’avvicinare il centro-sinistra alla comunità, però anche il Pd deve fare il suo.
Quale sarà il suo futuro politico?
Come ho detto rimarrò nel centro-sinistra, magari unendomi al gruppo misto o ai riformisti. Il mio obiettivo è rafforzare l’area riformista, europeista e atlantista all’interno del centro-sinistra, un’area che ha riferimenti come Blair, nel passato, e Starmer nel presente.
Quest’ultimo come leader del partito laburista inglese sta staccando di 20 punti percentuali l’attuale premier conservatore perché sa che per vincere bisogna coinvolgere un pezzo di centro. Per questo non ho mai condiviso i rapporti tra il PD e i Cinque Stelle, un movimento populista, che rischiano di danneggiare il centro-sinistra.