Ungheria: la protesta tenace degli ebrei contro la riscrittura della Storia

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Judit
Una manifestante, dal sito della traduttrice ungherese Andrea Renai

Sit-in, manifestazioni, discorsi e altre forme di resistenza pacifica: è quello che da più di 80 giorni alcuni ebrei ungheresi – sopravvissuti, ma anche figli e nipoti – stanno mettendo in atto a Budapest a Szabadsag (piazza della Libertà) per impedire concretamente l’inaugurazione del Monumento voluto dal governo di Viktor Orban, del partito Fidesz, per commemorare il 70esimo anniversario della Shoah in Ungheria. Un’opera, questa, da subito osteggiata dagli ebrei locali, che criticano la totale de-responsabilizzazione da parte del governo attuale del popolo e del governo ungherese di allora, addebitando la totale colpa alla Germania nazista.

Ma il monumento in questione è solo la punta dell’iceberg di una strategia molto più ampia messa in atto dal governo Fidesz di mettere in piedi eventi di facciata, che «urtano gravemente le sensibilità dei sopravvissuti». Da qui la decisione dell’Associazione delle comunità ebraiche ungheresi (Mazsihisz) di boicottare le celebrazioni volute dal primo ministro Viktor Orban, del partito Fidesz: una formazione politica, questa, che pur non essendo apertamente antisemita, ha sostenuto un culto della memoria di personaggi alleati dei nazisti, come Miklós Horthy, il governatore nazionalista che portò l’Ungheria in guerra a fianco della Germania di Hitler.

memorialIn marzo, poi, in occasione della celebrazione del 70 anniversario, si era svolta a Budapest una grande manifestazione, con migliaia di partecipanti riuniti davanti alla sinagoga centrale di Budapest per ricordare gli oltre 600.000 ebrei uccisi dai nazisti durante la guerra.

Ma quello che sta accadendo oggi da ormai quasi tre mesi a Budapest fa meno notizia: eppure, colpisce la tenacia e la motivazione di un piccolo gruppo, che lotta per una corretta interpretazione della Storia. Come racconta sul suo blog la traduttrice ungherese residente in Italia, Andrea Renyi: “Raccogliendo oggetti, foto e ricordi delle vittime dell’Olocausto, il gruppo di resistenti ha costruito un monumento proprio, chiamato Monumento Vivo”.

Fra gli intervenuti in questi quasi 90 giorni di protesta, numerose celebrità nazionali e internazionali, come, ad esempio, lo scrittore Péter Esterhazy: «Lo scrittore – racconta la traduttrice sul blog – ha letto anche un breve brano tratto dal suo volume “La paura del democratico” pubblicato nel 1988: “Abbiamo ripetuto fino alla noia che essere democratico significa non avere paura. Non significa soltanto non temere il potere, gli avversari, il regime, tutta quella massa anonima. Ne è solo una parte. Significa soprattutto non aver paura di avere pensieri limpidi, di interrogarci, di porre tutte le domande che riguardano noi stessi. Solo dopo dobbiamo accorgerci della pagliuzza o della trave nell’occhio dell’altro. Non dobbiamo avere paura della paura.”

Qualche giorno prima la piazza ha avuto l’onore di cantare l’Inno alla Gioia diretta da un altro illustre sostenitore, il grande direttore d’orchestra Ádám Fischer”».

Inevitabili, però, le conseguenze legali di questa protesta. «Alcuni degli organizzatori e promotori della manifestazione sono stati denunciati e hanno procedimenti penali in corso, perché hanno scritto o disegnato sul telo che copre il monumento in attesa di essere inaugurato – continua Andrea -. qualcuno di loro, come il mio amico Gábor, è stato portato via dalla polizia a forza viva dalla piazza e denunciato a piede libero».

Per saperne di più sulla protesta degli ebrei ungheresi, consultare anche il blog Budapest Beacon e l’articolo sul Foreign Policy del 7 luglio.