Auschwitz-Birkenau

Polonia valuta stop ai viaggi della Memoria nei lager per gli studenti israeliani e alla restituzione dei beni ebraici confiscati dopo la Shoah

Mondo

di Marina Gersony

A proposito dei viaggi della Memoria nei luoghi simbolo della Shoah in territorio polacco, organizzati in Israele per gli studenti, è intervenuto senza mezzi termini Pawel Jablonski, vice ministro degli Esteri: «A volte, troppe volte, quei viaggi non sono organizzati nei modi giusti, allo scopo di instillare sentimenti e pregiudizi anti-polacchi nei giovani israeliani. E ci vediamo costretti a prendere le contromisure adeguate».

Secondo il politico di Varsavia, si tratta di preconcetti e convinzioni errate che Israele instilla nei suoi giovani in occasione di questi viaggi dal forte significato storico e dal potente impatto emotivo, ossia di un vero e proprio indottrinamento che potrebbe mettere in discussione le visite annuali nei lager nazisti per gli studenti dallo Stato ebraico: «Prenderemo la giusta decisione su questi viaggi – ha ribadito il vice ministro –. Abbiamo a che fare con un sentimento anti-polacco in Israele, e uno dei motivi è il modo in cui i giovani israeliani vengono educati e cresciuti».

Le dichiarazioni attribuite a Jablonski dai media israeliani coincidono con la recente crisi diplomatica polacco-israeliana e la legge sulla restituzione dei beni della Shoah, una vecchia storia che ritorna ciclicamente alla ribalta: proprio nei giorni scorsi il Parlamento polacco ha votato una legge che di fatto vieta ogni risarcimento o restituzione di beni ebraici confiscati dai nazisti durante la Seconda guerra mondiale ostacolando così le future richieste degli ebrei che ne avrebbero diritto.

La risposta di Israele

Immediate le reazioni del ministro degli Esteri israeliano, Yair Lapid, che ha richiamato l’incaricato diplomatico a Varsavia definendo il provvedimento «antisemita e immorale» e sollecitando su Twitter il capo dell’Ambasciata in Polonia «a tornare immediatamente in Israele per consultazioni a tempo indeterminato».

Lapid ha parlato anche di «danno» per «la memoria dell’Olocausto e i diritti civili delle sue vittime» dichiarando che continuerà a opporsi a «qualsiasi tentativo di riscrivere la storia: la Polonia sa cosa fare: cancellare questa legge».

A sua volta il segretario di Stato americano Anthony Blinken ha chiesto al governo di Varsavia di approvare una legge globale sulle riparazioni, come già in vigore in altri Paesi dell’Europa centrale e orientale. 

Polemiche per legge polacca sulle restituzioni ebraiche

La controversa legge che riguarda richiedenti ebrei e non ebrei, in attesa della firma del presidente polacco Andrzej Duda, ha come obiettivo dichiarato di prevenire le richieste di risarcimento fraudolente stabilendo un limite di tempo di 30 anni – ovviamente scaduto da quel lontano 1945  –  per i ricorsi contro le confische delle proprietà. Un obiettivo, come qualcuno ha fatto notare, dal sapore smaccatamente antisemita. 

Duda ha dichiarato di sperare che così la legge ponga fine a «un’era di caos legale» e di «mafie della riprivatizzazione». Per contro, gli oppositori del provvedimento sostengono che a essere penalizzati saranno soprattutto i proprietari ebrei sopravvissuti alla Shoah e i loro discendenti, colpiti in modo sproporzionato rispetto ai non ebrei perché il più delle volte hanno potuto presentare le richieste di risarcimento soltanto dopo la guerra: essi furono costretti ad abbandonare i loro beni, le loro aziende e le loro case, spesso anche di grande valore, confiscate in seguito dalle autorità polacche dell’era comunista; proprietà che non furono mai restituite dopo la caduta del Muro di Berlino nel 1989 e che avrebbero dovuto essere restituite grazie a una legge regolatrice della restituzione o del risarcimento così come fecero in altri Paesi del blocco comunista. 

In breve, le questioni ebraiche, per un verso o per un altro, continuano a restare al centro del dibattito nazionale polacco con un’ambiguità nei confronti degli ebrei che ha ancora radici profonde.

Il caso dei due studiosi della Shoah

Basta ricordare i due accademici, Barbara Engelking, presidente del Consiglio internazionale di Auschwitz della Polonia e il professor Jan Grabowski dell’Università di Ottawa Polonia, citati in giudizio (e ora assolti in appello) per avere documentato casi di integralismo cattolico nell’attuazione del genocidio degli ebrei durante l’occupazione nazista nella Seconda guerra mondiale. (Leggi articolo).  

«La Polonia non è ovviamente responsabile di ciò che la Germania ha fatto durante l’Olocausto», ha precisato la World Jewish Property Return Organization (WJRO) che ha il compito di restituire le proprietà delle vittime del regime nazista. Tuttavia, la Polonia continua a «beneficiare di proprietà acquisite illegalmente».

Non dimentichiamo infine la legge approvata dal Senato di Varsavia nel gennaio del 2018 che vietava di accusare la Polonia di complicità nell’Olocausto e che prevedeva la condanna fino a 3 anni di reclusione a chiunque pronunciasse la frase «i campi di sterminio polacchi» o alludesse a qualunque connivenza del Paese col nazismo. La legge provocò innumerevoli critiche contro il governo polacco tanto che pochi mesi dopo il Parlamento si vide costretto ad approvare un emendamento per correggerla.

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