«La Russia mi ha costretto a fuggire. Non è un posto dove vivere per gli ebrei. Prego per la Comunità». Parla Pinchas Goldschmidt, ex capo rabbino di Mosca

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di Marina Gersony

Putin afferma di combattere i nazisti in Ucraina mentre il suo regime intimidisce gli ebrei in Russia. Parla Pinchas Goldschmidt, Presidente della Conferenza dei rabbini europei ed ex rabbino capo di Mosca dal 1993 al 2022

«Sono giunto in Russia sovietica nel 1989, durante il periodo della perestrojka e della glasnost, al fine di contribuire alla ricostruzione della comunità ebraica distrutta dal regime comunista durato 70 anni. In un giorno d’inverno del 2003, un funzionario del Servizio di sicurezza federale (FSB) assegnato alla sinagoga corale di Mosca, che chiamerò Oleg (un nome fittizio), mi invitò a recarmi presso una stazione di polizia situata in via Sadovnichevskaya 40. Oleg e il suo collega iniziarono ad accusarmi di aver utilizzato un visto di ingresso di lavoro illegale, nonostante fossi cittadino svizzero. Tuttavia, erano disposti a trascurare la questione se avessi iniziato a fornire loro delle informazioni. Mi hanno spinto a firmare un documento, ma ho categoricamente rifiutato, sostenendo che informare gli altri era contrario alla legge ebraica».

Sono parole di Rav Pinchas Goldschmidt, classe 1963, studioso e leader della comunità ebraica di fama internazionale nato in Svizzera. Presidente della Conferenza dei rabbini europei ed ex rabbino capo di Mosca dal 1993 al 2022, con l’inasprimento della repressione socio-politica in Russia, il religioso ha richiamato l’attenzione dei media quando ha raccomandato a tutti gli ebrei residenti in Russia di lasciare il Paese per la propria sicurezza.

Goldschmidt aveva lasciato la Russia nel marzo 2022 per andare in Spagna, dopo essersi rifiutato di sostenere l’invasione dell’Ucraina. La notizia della sua fuga era stata diffusa dai media quando la giornalista newyorkese Avital Chizhik-Goldschmidt, moglie di uno dei figli del rabbino, aveva raccontato che il rabbino e sua moglie Dara se ne era andati rifiutandosi di cedere alle pressioni dalle autorità russe.

A distanza di un anno, l’esponente religioso ripercorre l’intera vicenda arricchendola di dettagli sul sito di Foreign Policy, autorevole rivista statunitense specializzata in relazioni internazionali. Una ricostruzione che potrebbe essere la trama di un film.

«Dopo avermi assillato per più di un’ora – scrive il rabbino –, alla fine mi hanno lasciato andare. Ero scosso nel profondo del mio essere. Oleg è tornato due volte per cercare di convincermi. Una volta ha persino fermato la mia macchina per strada, da quel momento ho capito che anche l’autista poteva lavorare per l’FSB (Servizio federale per la sicurezza della Federazione Russa). Due anni dopo, nel 2005, sono stato espulso dalla Russia, forse a causa del mio rifiuto di collaborare con le agenzie di intelligence. Alla fine sono riuscito a tornare solo dopo l’intervento dell’allora Primo Ministro italiano, Silvio Berlusconi. Negli anni successivi, so di molteplici tentativi di reclutare i miei colleghi nella comunità ebraica. Inoltre, gli agenti dell’FSB monitoravano, visitavano e intimidivano regolarmente i capi delle organizzazioni religiose, assicurandosi che tutti fossero a conoscenza della loro presenza. Alcuni leader studenteschi ebrei sono stati invitati negli uffici dell’FSB in piazza Lubjanka».

Un j’accuse senza mezzi termini quello di Goldschmidt, il quale racconta di come nel 2000, il Cremlino abbia stretto una partnership con la Federazione delle comunità ebraiche della Russia (FEOR) per diversi scopi: da un lato, la FEOR ha fornito un alibi a Putin per dimostrare di non essere antisemita, mentre contemporaneamente distruggeva gli oligarchi, molti dei quali di origine ebraica. Dall’altro, i leader della FEOR venivano inviati in Occidente per trasmettere un messaggio: per quanto Putin fosse cattivo, qualsiasi alternativa sarebbe stata peggiore e gli ebrei sarebbero stati perseguitati. La FEOR ha anche chiesto ai fedeli di Mosca di non partecipare alle proteste nel 2012, in linea con gli sforzi del governo di depoliticizzare la società civile. Successivamente, quando la Russia ha conquistato la Crimea, la FEOR ha spinto la linea sui social media per evitare che gli ebrei russi si unissero alle proteste: “ebrei, non fatevi coinvolgere, questa non è la nostra battaglia”.

In breve, Goldschmidt spiega come la religione e la propaganda narrativa russa sono state usate per giustificare l’invasione dell’Ucraina, con la Chiesa ortodossa russa che ha giocato un ruolo importante in questo conflitto. Il Museo della Tolleranza, costruito dalla FEOR, è stato utilizzato come strumento di propaganda per promuovere l’idea che la guerra contro l’Ucraina sia una guerra contro il risorgere del nazismo (Lo scorso 27 gennaio, nel Giorno della Memoria, il presidente Putin è tornato ad accusare l’Ucraina di compiere «crimini neonazisti»). Il rabbino Alexander Boroda, presidente della FEOR, ha sostenuto questa linea. Allo stesso tempo, l’FSB ha esiliato molti rabbini che non seguivano la linea del partito e che non erano allineati con la Chiesa ortodossa russa, utilizzata come strumento per giustificare i crimini contro l’umanità. «Quando guardiamo alla storia russa – ha affermato più volte Goldschmidt – ogni volta che il sistema politico si è trovato in difficoltà, il governo ha cercato di reindirizzare la rabbia e lo scontento delle masse verso le comunità ebraiche».

VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=Buvuf_JjsYM&t=63s

Intervista, 17 febbraio 2023. Pinchas Goldschmidt condivide la sua preoccupazione per il futuro della vita ebraica in Russia sotto la guida di Putin.
In un’intervista del 7 settembre 2022 con l’emittente internazionale Deutsche Welle, Goldschmidt aveva già espresso la sua preoccupazione riguardo al fatto che la Russia si stia isolando sempre di più, creando una nuova «cortina di ferro» tra le regioni, una scelta che considera moralmente ripugnante. Ha raccomandato a tutti gli ebrei che vivono in Russia di partire per la propria sicurezza e protezione. Riflettendo sulla situazione, ha osservato che le «linee rosse» tra autoritarismo, democrazia e totalitarismo possono essere poco chiare, ma esistono. In quanto portavoce della comunità ebraica, Goldschmidt ha riferito di essere diventato una calamita per le minacce personali di violenza da parte di estremisti antisemiti.

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