Il MIT ripensa Gerusalemme

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Si parla molto in questi giorni del futuro di Gerusalemme. Dopo le affermazioni rilasciate alla stampa da alcuni esponenti di primo piano del governo israeliano, lo status della città sembra essere di nuovo messo in discussione. Si parla apertamente, anche se lo aveva già fatto l’ex premier Ehud Barak nel 2000, di una divisione della città tra Governo israeliano e Autorità nazionale palestinese, aprendo così la strada alla trasformazione di Gerusalemme in una doppia capitale.
Accanto a queste ipotesi, che per il momento rimangono nel campo ristretto e spesso opaco della diplomazia, il futuro di Gerusalemme è stato posto alla base di un concorso internazionale di idee.
È in pieno svolgimento in queste settimane – la consegna è prevista per il 31 dicembre del 2007 – la Just Jerusalem Competition, che ha già raccolto quasi 1000 iscrizioni, provenienti da oltre 80 paesi.

Obiettivo del concorso è raccogliere immagini al futuro (visions) di Gerusalemme, non tanto per disegnare un nuovo master plan, ma per esplorare la possibilità di costruire una città basata sulla convivenza pacifica e sulla sostenibilità ambientale. La soglia temporale sulla quale i concorrenti sono invitati a riflettere è il 2050, una data assunta “non in maniera arbitraria, ma come un futuro sufficientemente lontano per immaginare una situazione diversa da quella attuale e, al tempo stesso, abbastanza vicina da costringere i progetti a un elevato grado di realismo”.
Il concorso non è aperto solo ad architetti e urbanisti, ma anche ad artisti, storici, politologi, filosofi, economisti, ingegneri. Il bando esprime infatti un chiaro incoraggiamento a formare gruppi di lavoro multidisciplinari, in modo da avere una pluralità di voci e punti di vista.

Promotore del concorso non è, come si potrebbe pensare, la municipalità di Gerusalemme, ma il Centre for International Studies insieme al Department of Urban Studies and Planning del MIT di Boston. Il concorso ha origine da un progetto di ricerca, intitolato Jerusalem 2050, che ha coinvolto a partire dalla primavera del 2005 studenti israeliani e palestinesi, politici, economisti, architetti e urbanisti in una discussione definita “non convenzionale” sulla soluzione del conflitto mediorientale.
Una serie di conferenze preparatorie “visionaries conferences” sono servite a precisare il tema e il bando del concorso, che si propone di estendere la tecnica della vision alla pianificazione di Gerusalemme. Per visions si intendono immagini condivise tra i diversi attori coinvolti nella pianificazione della città (dagli amministratori, ai cittadini, passando per i tecnici), prodotte attraverso un lungo processo di elaborazione.
Quattro sono le aree tematiche su cui i gruppi interdisciplinari sono chiamati a confrontarsi, accomunate per gli organizzatori dal concetto ‘trasversale’ di infrastructure: infrastrutture fisiche, infrastrutture economiche, infrastrutture civiche, infrastrutture simboliche. I confini di queste aree tematiche sono esplicitamente molto labili, per cui i concorrenti potranno sceglierne più d’una.
I risultati del concorso, che verranno resi pubblici entro il mese di aprile 2008, saranno raccolti in un catalogo ed esposti in una mostra itinerante per favorire il confronto su un tema così complesso. La prima tappa di questa esposizione avrà luogo al MIT tra settembre e dicembre del 2008.

La giuria internazionale, composta da studiosi di primo piano come il sociologo spagnolo Manuel Castells o l’architetto olandese Herman Herztberger, sembra costituire una garanzia sul buon esito del concorso. Quello che sorprende purtroppo, è come un’iniziativa di queste dimensioni e di queste potenzialità sia promossa da un’istituzione completamente estranea rispetto alla municipalità di Gerusalemme.
Nel 1968, subito dopo la Guerra dei Sei Giorni, l’allora sindaco dei Gerusalemme, Teddy Kollek, istituì una commissione internazionale per supervisionare il lavoro dei progettisti israeliani, guidati da Arieh Sharon. Quella commissione, composta da alcuni dei più importanti architetti e urbanisti del novecento, tra i quali Louis Kahn, Max Bill, Buckminster Fuller, Luigi Piccinato, Nikolaus Pevsner, Moshe Safdie, espresse forti critiche al piano proposto da Sharon. Critiche che, negli anni successivi contribuirono a modificare e migliorare il progetto iniziale. Così si espresse in proposito Teddy Kollek: “Il vostro giudizio non ci allieta; tutt’altro. Ma se ristrutturare il piano significa evitare errori che potrebbero diventare irrimediabili, è meglio così”.
Ci auguriamo che questo possa avvenire anche oggi. In effetti il bando afferma in maniera chiara che il concorso è uno strumento contraddittorio, che non sarà utilizzato per nascondere le diversità dei punti di vista oppure per rendere omogenee le visions, ma per favorire il confronto e il dialogo.

link al sito internet del concorso