Gli ebrei caraiti di Crimea, da un réportage del 1855

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La notizia non è recentissima, la leggiamo su una rivista francese del 1855, Le magazin pittoresque. Allora, alla vigilia della guerra di Crimea, molti viaggiatori (o esploratori?) si avventuravano da Odessa verso sud, per impervie strade verso località storiche come Balakhalva o il fiume Cernaia, e l’autore di questo servizio consiglia di deviare da Bakchisaray (che è la località più importante, a nord di Sebastopoli) per una visita al borgo degli ebrei caraiti che ha il nome di Chifut-Kale (Rocca degli ebrei). Ma vediamo cosa dice il viaggiatore: chifout, corruzione della parola djehoud, è il nome che il popolino in Turchia dà agli israeliti; kalè in turco significa rocca, fortezza.

La fortezza, di costruzione genovese, è circondata da mura che hanno alle due estremità due porte basse e massicce. Gli abitanti, per lo più mercanti o sarti, tutti i giorni tranne il sabato si recano a Bakchisaray per i loro commerci e rientrano la sera quando si chiudono le porte della città. Che ora conta 1109 abitanti, tutti ebrei della setta caraita, e 212 case. La rocca si trova sulla sommità di una roccia brulla, che ricorda un po’ le Meteore della Tessaglia, e una delle sue caratteristiche è il mausoleo eretto in onore di una principessa figlia del khan. Nel 15° secolo infatti questa località era la residenza dei khan di Crimea.

I caraiti giunsero in Crimea al seguito dei tartari mongoli nel 13° secolo. I talmudisti, che sono nemici giurati dei caraiti, ne fanno risalire l’origine all’ottavo secolo dell’era cristiana, ma loro si attribuiscono un’antichità molto maggiore e situano l’inizio del loro scisma assai prima della distruzione del Primo Tempio. Sembra che l’origine del nome derivi da ‘kara’, scrittura. Quello che nell’ambito della fede li differenzia dagli ortodossi, è il fatto che essi rifiutano in toto il Talmud e ogni specie di tradizione e spiegazione rabbinica, per restare fedeli alla lettera semplice della Legge, quale fu dettata da Mosè.

I caraiti sono poco numerosi, ancora più dispersi che il resto della nazione ebraica: li si trova soprattutto in Egitto, in Volinia e in Lituania, e financo in Olanda. A Costantinopoli vivono una quarantina di famiglie, con una sinagoga particolare, nel sobborgo di Khas-Keni, lungo il Corno d’oro. Il loro numero, nella Russia meridionale, non sembra superare i 2000 individui, comprese le famiglie che vivono a Odessa e nei dintorni di Kherson.

Una caratteristica su cui tutti i viaggiatori concordano è l’onestà e la probità proverbiali dei caraiti. In tutto il paese la loro parola equivale a una garanzia scritta. In un altro diario di viaggio, si dice che hanno una bella figura, calma e dignità nel contegno e non hanno per nulla l’aria abietta che in genere caratterizza la nazione ebraica. Si distinguono inoltre dal resto dei loro correligionari per il costante senso di pulizia. Le loro case, semplici ma comode e ben tenute, sono divise come le case musulmane in due parti: l’una interna, riservata alle donne, l’altra esterna e meno importante, che costituisce l’appartamento del padrone di casa, il ‘selamik’ turco, dove egli dorme, fuma e riceve gli ospiti. Anche il modo di vestire si differenzia poco da quello dei tartari, di cui hanno adottato il berretto di feltro guarnito di lana.

In tutti i tempi e in tutti i luoghi chi è stato costretto all’esilio ha sempre desiderato ricreare attorno a sé il ricordo della patria lontana di cui si conserva la nostalgia nel cuore. Anche i caraiti hanno cercato di ritrovare questa memoria. Discendendo dalla rocca verso sud, alla fine della rampa che porta alla piattaforma arida e caldissima su cui si apre la porta della fortezza, si incontra una piccola zona vuota fra le rocce, ombreggiata da un boschetto di querce secolari, a cui i caraiti hanno dato il nome di ‘valle di Josaphat’: è qui che hanno sistemato il loro cimitero. Tale è il sentimento che li lega a questo luogo e alla sua conservazione, a ricordo della loro antica terra natale, che ogni volta che i vecchi khan volevano estorcere loro denaro o donazioni, bastava che spargessero la voce di un imminente taglio degli alberi di Josaphat con il pretesto che occorreva legname da costruzione o da riscaldamento, che la piccola comunità si spaventava e si precipitava a fare la sua offerta per scongiurare il sacrilegio.

Questo stretto vallone è disseminato di tombe di creta bianca che contrastano col verde scuro del fogliame. La maggior parte delle tombe sono disposte lungo il sentiero, molte altre sono sparpagliate fra il verde della macchia. La forma è quasi sempre la stessa. Le tombe più antiche sono di una semplicità austera; altre sono sormontate da una pietra a forma di torre come nei mausolei greci, ma che qui si ripete alle due estremità: vengono chiamate ‘tombe bicorni’. Altre, che hanno sul davanti una lapide ornata con rosoni, ricordano i cippi dei cimiteri ebraici polacchi. Tutte recano iscrizioni in ebraico a rilievo, e le più antiche hanno la data del 1249 e 1252.

Fin qui il nostro ottocentesco viaggiatore. E oggi?

Le origini. Vi sono molte e diverse teorie: secondo alcuni discenderebbero dai turchi kazari, quelli convertitisi all’ebraismo (celebre il libro “Il re dei Kazari”) nell’8° secolo. Più probabile invece l’origine mediorientale, i caraiti sarebbero infatti una comunità nata a Babilonia sempre nell’8° secolo, quando ‘Anan Ben David fondò una setta (il cui primo nome fu infatti Ananiti) che si atteneva rigidamente alla lettura testuale della Torah col rifiuto della Torah orale.

La storia. Il loro centro sarebbe stato Gerusalemme fino al 1099; quando con la prima crociata la città fu distrutta essi emigrarono verso Costantinopoli e l’Egitto, al seguito delle migrazioni di molti altri popoli, e si stanziarono in Crimea – dove la loro presenza fu testimoniata, appunto, fin dal 13° secolo – concentrandosi nell’ex fortezza di Chufut-Kale.

Nel corso dei secoli vi furono altre migrazioni verso il nord, la Lituania e Mosca. I caraiti erano costretti a vivere come gli altri ebrei nelle zone corrispondenti all’odierna Ucraina, Bielorussia, Polonia e paesi baltici, il cosiddetto “Territorio di residenza”; questo fino al 1852 quando lo zar Nicola I° decretò che i caraiti non erano da considerarsi ebrei, in quanto non si sarebbero macchiati dell’uccisione di Gesù. Con questo decreto vennero, pertanto, concessi loro diritti negati ad altri ebrei.

Questa loro caratteristica li salvaguardò pure dalle persecuzioni naziste e staliniane: furono risparmiati durante l’invasione tedesca della Crimea e neppure dovettero subire la deportazione dopo che ritornarono le forze sovietiche, quando le varie popolazioni locali vennero mandate in esilio.

L’ufficio di Berlino che durante la guerra si occupava delle questioni razziali sancì che i caraiti non erano da considerarsi ebrei perché avevano radici turche. Una curiosità: a questi studi, per appurare la loro appartenenza o meno alla razza ebraica, avevano partecipato addirittura alcuni specialisti italiani che anni prima si erano recati in Lituania per effettuare esami su campioni di sangue.

Secondo alcuni studiosi, oggi nel mondo non sarebbero rimasti più di 30 000 caraiti, pochi a Mosca, Lituania, Crimea, alcuni anche a Venezia, ma i più in Israele, avendo approfittato della ‘legge del ritorno’, anche se loro stessi non si considerano ebrei.