Un 25 novembre contro la violenza sulle donne, ma non sulle israeliane: la rabbia e il disagio del mondo ebraico italiano

Italia

di Redazione
“Ci uniamo in un abbraccio che esprime speranza, anche di pace, al silenzioso grido di tutte le israeliane che il 7 ottobre hanno subito crimini di guerra, violentate e stuprate in quanto donne, israeliane, ebree. Non una israeliana di meno. Questo a loro devo”.

Si conclude con questo chiaro appello a ricordare anche le donne israeliane vittime di stupro da parte dei terroristi di Hamas la lettera della presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (Ucei) Noemi Di Segni pubblicata su Repubblica sabato 25 novembre, giorno della lotta contro la violenza sulle donne.

Una lettera di denuncia, la sua, nei confronti di un silenzio assordante da parte dell’opinione pubblica e di molte organizzazioni, prime fra tutte quelle femministe, davanti agli stupri e alle indicibili violenze subite dalle donne israeliane il 7 ottobre, dopo l’attacco dei terroristi di Hamas, di cui stiamo venendo a conoscenza grazie alle testimonianze di alcune donne sopravvissute e ai video filmati dagli stessi terroristi durante la barbarie. Sui media italiani se ne sta parlando solo in questi giorni in modo molto timido: l’abbiamo fatto noi di Mosaico e Repubblica, con un articolo molto illuminante di Tamar Herzig, a cui ne sono seguiti altri (ma in realtà non molti).

“Se sono assassinate barbaramente, ridotte ostaggi, stuprate a causa del loro essere Israeliane, mamme o ragazze ebree, mi sento violentata assieme a loro – scrive Di Segni -.  Se ci sono donne che inneggiano alla violenza perpetrata su altre, per me sono venute meno alla nostra vocazione di generare la vita e preservarla ad ogni costo.

Se questi delitti sono perpetrati nella medesima mattinata, da centinaia di terroristi, e le istituzioni preposte o protese alla tutela dei diritti delle donne sono mute o propagandano una menzognera realtà, trasformando chi esercita la violenza in vittima è mio dovere gridare e chiedere a voce alta che la legittimazione a rappresentare qualsiasi istanza sia ritirata e rivista.

Qualsiasi sostegno istituzionale, politico, finanziario, qualsiasi partecipazione a queste organizzazioni che evidentemente perseguono un’agenda politica tutta diversa dalla loro tradita missione e che per me diventano così complici del crimine”.

Ma la lettera è anche un appello accorato alla solidarietà fra donne, che non deve vedere distinguo di nessun tipo: una solidarietà nei confronti di “ogni donna palestinese che possa aver subito qualsiasi violenza di genere e se davvero sta a cuore il valore delle loro vite e ci si vuole adoperare per la loro salvezza non lo si fa con la diffamazione di tutta Israele quale Stato occupante, nazificando la narrazione, generalizzando una visionaria violenza senza poter precisare nessun nome e nessun atto. Lo si fa invece denunciando i veri criminali, i veri mandanti — Hamas e altre organizzazioni terroristiche”. Solidarietà anche verso “le donne — di qualsiasi fede — che subiscono violenza all’interno delle mura domestiche nei confronti delle quali si usa quella ‘ragione’ religiosa a giustificazione delle limitazioni delle proprie libertà e diritti basilari (lavoro, studio, anche svago, privacy), asservendole ai propri desiderata sessuali o perpetrando su di loro violenze psicologiche, fisiche, ribadisco il mio impegno all’interno del mondo ebraico e nel dialogo con altre religioni a difendere e definire percorsi di educazione, di formazione dell’identità specialmente nell’età evolutiva, che salvaguardino quei valori religiosi di vita, di dignità”.

È insomma un appello “non selettivo” quello della presidente dell’Ucei, contrario a quello che è invece avvenuto ieri nelle città italiane: manifestazioni di associazioni per la difesa delle donne, tranne che per quelle israeliane.

Qui la campagna israeliana (video di finzione) contro la negazione delle violenze subite dalle donna israeliane dal 7 ottobre 2023.

ADEI-Wizo Italia: “Perché per donne e bambini ebrei non si fa rumore?”

Anche l’Associazione Donne Ebree Italiane ADEI-Wizo ha denunciato con forza il silenzio sulle violenze alle donne israeliane.

“Ho apprezzato le parole di Elena Cecchettin nel ricordo della sorella Giulia, vittima dell’ennesimo femminicidio: non un minuto di silenzio, ma fate rumoredichiara la presidente Susanna Sciaky in una nota -.  Non posso fare a meno di pensare al rumore che in questo momento devono fare le donne ebree. Vivere a capo chino e in silenzio il nostro dolore evidentemente non è bastato per attirare l’attenzione sul dramma vissuto, e che ancora oggi stanno vivendo, altre donne ebree: uccise, stuprate, sequestrate. Nella recente giornata mondiale dei diritti dell’infanzia e in quella contro la violenza di Genere di Sabato 25 novembre, nessuno ha voluto ascoltare la nostra voce. I nostri bambini e le nostre donne sono state dimenticate dalla quasi totalità delle manifestazioni e dei discorsi di istituzioni, organizzazioni umanitarie, dei movimenti femministi e femminili e celebrities. Ecco l’amnesia del mondo scendere ancora una volta sulle 1500 vittime del 7 ottobre e gli ostaggi ancora prigionieri a Gaza”.

Da qui l’appello “a tutte le associazioni sempre sul campo per i diritti delle donne e dei minori PERCHÉ i nostri bambini e le nostre donne uccisi, brutalizzati e rapiti, NON HANNO AVUTO VOCE. Perché non abbiamo visto per loro le più che legittime mobilitazioni in Italia e nel mondo che in passato sono state fatte, ad esempio, per la Nigeria o per le donne Iraniane anche da noi sottoscritte o a cui anche noi abbiamo preso parte? Vorrei chiedere loro: c’è un distinguo? E il numero? 30 bambini ebrei prigionieri in un sotterraneo, e chissà in quali mani, sono troppo pochi rispetto ai bambini vittime innocenti della guerra? Oppure c’è altro? Perché tutta questa INDIFFERENZA fa pensare che le nostre donne e i nostri bambini valgano di meno in quanto ebrei. Perché è proprio di questo che stiamo parlando: esseri umani barbaramente uccisi o strappati alle loro famiglie esclusivamente perché erano ebree. Vi ricorda qualcosa? E se c’è un insegnamento che ci è arrivato dalla Shoah è questo: se è capitato a me perché ho un determinato cognome, un passaporto di una specifica nazione o, professo una certa fede, allora domani può capitare a chiunque. Di fronte al razzismo nessuno è al sicuro e l’intero mondo dovrebbe mobilitarsi nel nome di chi ha subito questa terribile ingiustizia.

Per cui vi invito ad avere coraggio, sollevare la testa e chiederlo a chi vi volta le spalle, o a chi fa finta di niente o a chi ancora dopo i primi giorni del clamore passa oltre: dove siete oggi? E dove sono i vostri valori? Si fermano davanti all’uscio delle nostre case. Ricordiamo loro che o valgono i diritti di tutti i bambini o di nessun bambino. O valgono i diritti di tutte le donne o di nessuna donna”.

La riflessione di Susanna Sciaky è condivisa anche dalla WIZO, impegnata in questi giorni a scrivere alle associazioni femminili mondiali, sollecitando risposte al silenzio. “Un appello che faremo girare tra tutti le nostre sezioni, e tutte le associazioni femminili con cui in questi anni siamo stati in contatto o abbiamo sostenuto attraverso partnership. Anche per noi è arrivato il momento di fare rumore”.

Il movimento giovanile Hashomer Hatzair: “Ci avete arbitrariamente escluso”

Molto forte anche la lettera inviata dal movimento giovanile ebraico sionista Hashomer Hatzair all’associazione Non una di meno, organizzatrice della grande manifestazione a Roma di sabato 25 novembre.

“Ogni anno partecipiamo attivamente alla giornata del 25 novembre lottando per tutte le donne abusate e oppresse ovunque nel mondo – si legge nella lettera -. Abbiamo sempre aderito alle vostre manifestazioni, lo riteniamo un imperativo categorico per chiunque si definisca femministə. Quest’anno però è diverso: credevamo che voi, come noi, voleste combattere per ogni donna, di ogni nazionalità, religione, etnia, idea politica e condizione sociale, ma sembra non essere così. Neanche una parola è stata spesa da voi per denunciare il massacro di 1400 civili israeliani, il rapimento di 240 persone, tra cui molte donne e bambini. Nulla è stato detto per le donne stuprate, torturate, mutilate e uccise da Hamas, come se quelle donne non meritassero la vostra pena, il vostro cordoglio e il vostro dolore. Non riusciamo a capire come questi crimini possano essere giustificati e cancellati in nome di una sedicente lotta di resistenza”.

La lettera continua denunciando un uso scorretto delle parole, come genocidio e sionismo, e sottolinea la difesa che Israele fa della comunità LGBTQIAPK+ – la più grande (se non l’unica) del Medioriente – “che ha dato rifugio agli omosessuali in fuga da Gaza, Ramallah e Jenin, ai quali, proprio nei Territori palestinesi si impedisce con la violenza di esprimere liberamente la propria sessualità e di seguire i propri sentimenti”.

Infine l’accusa. “Aver scelto di affiancare alla lotta contro la violenza di genere la causa palestinese, senza piangere le vittime di entrambe le parti, rende la vostra decisione divisiva, fa perdere a questa data il suo significato universale e trasmette un messaggio contrario al principio che voi, e noi insieme a voi, ci impegniamo a portare avanti. Ribadiamo che il femminismo deve permeare la vita di tutti gli esseri umani al di là della loro provenienza, del governo a cui sottostanno e soprattutto del loro credo politico, religioso o ideologico.

Il nostro movimento e i nostri giovani sono quindi stati arbitrariamente esclusi dalla possibilità di manifestare insieme contro la violenza sulle donne e di far sentire la nostra voce insieme a quella di coloro che credevamo essere nostrə sorellə”.

(Nella foto la ragazza israelo-tedesca Shani Louk, rapita e mostrata come un trofeo seminuda dai terroristi e poi uccisa)