Missili su Israele

I firmatari della lettera ‘Not in our names’ mandano una precisazione

Italia

Riceviamo e pubblichiamo.

Care comunità,

In questo momento in cui una tregua sembra dare a tutti noi un po’ di sollievo, desideriamo tornare sul nostro messaggio e le reazioni ricevute per chiarire alcuni punti e mettere a fuoco alcuni problemi.

1. Avremmo potuto o forse dovuto premettere una cosa che, per quanto considerassimo ovvia, riteniamo importante aggiungere qui. Fra noi c’è chi vive in Israele, chi ci ha vissuto, chi vi ha parenti, chi vi ha cari amici israeliani e palestinesi. Ciascuno con la sua sensibilità e i suoi affetti personali, tutti condividiamo la massima apprensione per quanto i civili israeliani stanno vivendo sotto i missili di Hamas, e la massima solidarietà con le loro sofferenze. Crediamo che in questo siamo assolutamente accomunati al sentire generale delle ebree e degli ebrei italiani.

Allo stesso tempo, abbiamo sentito l’urgenza di distanziarci politicamente da posizioni ufficiali che ignorano, o deflettono interamente, le sofferenze causate da alcune politiche israeliane ai palestinesi – molto prima, subito prima, e durante questo conflitto.

2. Per i sentimenti comuni di cui sopra, comprendiamo benissimo chi è preoccupato in primo luogo per i propri affetti in Israele, e ci dispiace che un testo che per sua natura aveva uno stile più asciuttamente politico possa avere urtato delle sensibilità in questi giorni di tensione.

Altri amici avrebbero preferito leggere un’analisi dettagliata piuttosto che una presa di posizione; riteniamo che l’una e l’altra siano necessarie, e desideriamo senz’altro tornare a discutere insieme a loro con calma e profondità nelle forme e nelle sedi adeguate.

3. Riteniamo che le nostre parole di condanna, tanto dei razzi terroristi di Hamas (esplicitiamo senza esitazioni: ognuno di essi è un crimine di guerra), quanto dell’antisemitismo presente in certe critiche di Israele e in certe piazze, fossero chiarissime e non potessero prestarsi a strumentalizzazioni.
Abbiamo anzi ricevuto messaggi da associazioni che sono state ispirate dal nostro testo a cominciare un discorso al loro interno sul problema dell’antisemitismo; il lavoro che le aspetta è chiaramente profondo, e ci sarà modo di valutarlo nei tempi opportuni.

4. Rivendichiamo la libertà di poterci esprimere anche quando, purtroppo, lo scontro si accende. I nostri organi comunitari prendono pubblica posizione a nome di tutti, i nostri rappresentanti offrono palchi a personaggi e partiti di matrice politica razzista e discriminatoria. Per noi ciò è motivo di grande imbarazzo e sofferenza, e vogliamo poterne dissentire altrettanto pubblicamente, senza pretendere di rappresentare altri che noi stessi. Quanto all’immagine dell’ebraismo italiano, secondo noi può solo giovare che traspaia una polifonia di voci.

“Kol Israel arevim zeh ba-zeh”, tutti gli ebrei sono responsabili l’uno per l’altro (Sanhedrin 27b), è il principio che è stato evocato più spesso e più a sproposito per censurare il nostro messaggio. Riportato invece nella sua completezza, è ciò che ispira molti di noi: “e inciamperanno l’uno sull’altro”, spiega il Talmud, “quando chi ha la possibilità di protestare non protesterà”.

5. Il dibattito seguito alla nostra uscita pubblica ha assunto toni violenti, segnati da attacchi personali e diluvi di insulti, aggravati dalla natura sessista e omofoba. Alcune di noi hanno ricevuto pesanti minacce private che, oltre che estremamente preoccupanti, sono di sicura rilevanza penale. Ci stringiamo attorno a chi le ha subite, che si riserva di agire nelle sedi competenti.
Gli attacchi e le violenze ricevute non sono episodi individuali ma ci riguardano collettivamente: ribadiamo che non accetteremo in silenzio ulteriori minacce, odio, sessismo, omofobia.

6. La cultura dell’insulto e della violenza che traspare da queste reazioni è un gravissimo problema delle nostre comunità. La questione è esacerbata da forum di discussione pubblica privi di vera moderazione, che agiscono da cassa di risonanza per le uscite più turpi. Ne risultano incoraggiati i violenti e silenziate di fatto le voci più pacate e rispettose, che crediamo sarebbero invece la maggioranza.

Apprezziamo le parole di condanna dei dirigenti comunitari e in particolare dei Rabbanim, e ci aspettiamo una netta presa di posizione da tutti gli organi istituzionali. Ben oltre le dichiarazioni, crediamo che la soluzione del problema richiederà un serio ripensamento e un lavoro profondo e sostenuto nel tempo da parte di leader comunitari, Maestri ed educatori.

7. L’intolleranza rispetto alla pluralità di opinioni, il richiamo paternalistico a una linea ritenuta l’unica percorribile, le accuse di tradimento, la delegittimazione della ebraicità degli altri: tutto ciò è desolante, e di ebraico ha ben poco. Sarebbe molto più appropriato, e appassionante, ricordare e ravvivare il millenario confronto ebraico attorno ai significati della nostra identità. E perché no, con la massima umiltà, attorno al nostro ruolo (i nostri ruoli) nella comunità e nel mondo.

Concludiamo augurandoci sentitamente che per israeliani e palestinesi il cessare di questa terribile guerra apra opportunità per soluzioni politiche durature e giuste. Ci auguriamo altrettanto che gli spazi fisici e virtuali delle nostre care comunità possano essere luoghi aperti e sicuri, per un dialogo anche serrato ma rispettoso sui temi che a tutti noi stanno a cuore.

Un cordiale shalom,

I firmatari di “Not in our name”