Nessun accordo tra Israele e Hamas. Netanyahu: «Guerra fino alla vittoria totale». Israele avanza su Rafah nel sud di Gaza

Israele

di Redazione
Il Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, dopo settimane di mediazione, ha affermato mercoledì in una conferenza stampa convocata a Gerusalemme che la vittoria totale a Gaza è a portata di mano, respingendo l’ultima offerta di Hamas per un cessate il fuoco finalizzata a garantire il ritorno degli ostaggi ancora detenuti nell’enclave assediata. Arrendersi alle condizioni «deliranti» di Hamas, ha proseguito il Primo ministro, porterebbe a «un altro massacro che nessuno sarebbe disposto ad accettare». Quanto agli ostaggi, Netanyahu ha confermato che la loro liberazione resta una priorità assoluta ma solo una «maggiore pressione militare» aumenterà le possibilità della loro liberazione. E ha ribadito: «Continueremo fino alla fine. Non c’è altra soluzione oltre alla vittoria completa».

L’annuncio che Israele andrà avanti nella guerra fino alla «distruzione totale» della fazione islamica, con l’esercito che ha avuto l’ordine di avanzare verso Rafah, ha suscitato le reazioni del segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, che ha espresso preoccupazione per il potenziale attacco militare di Israele nella città nel sud di Gaza.

Il coordinatore degli aiuti d’emergenza delle Nazioni Unite, Martin Griffiths, ha dichiarato a sua volta che l’escalation a Rafah rischia di «provocare la morte di ancora più persone» e «ostacolare un’operazione umanitaria già limitata dall’insicurezza».

Nonostante gli sforzi diplomatici e i combattimenti in corso, la situazione attuale nel Medio Oriente rimane quindi molto complessa, instabile e suscettibile a repentini cambiamenti. Le speranze di una tregua rimangono incerte, mentre le cronache della guerra evidenziano un aumento delle proteste tra la popolazione israeliana e palestinese, alimentate dalla prolungata durata del conflitto. L’obiettivo primario rimane il raggiungimento di un accordo tra Hamas e Israele, che includa il rilascio di tutti gli ostaggi ancora detenuti.

Nel frattempo, impegnato nel suo quinto tour diplomatico in Medio Oriente da ottobre, il segretario di Stato americano Antony Blinken ha incontrato Abū Māzen nella sua ultima tappa a Ramallah, dove il presidente palestinese gli ha chiesto di impedire l’espulsione della popolazione da Gaza e nuove violenze in Cisgiordania e che gli Stati Uniti insistano per la nascita di uno Stato palestinese, come già richiesto dall’Arabia Saudita.

Durante il suo colloquio con Netanyahu, Blinken ha messo in guardia il premier israeliano contro qualsiasi azione che possa esacerbare le tensioni: «Troppe vittime civili, Israele deve garantire gli aiuti umanitari», ha affermato dichiarando che pur «essendo scioccato dal 7 ottobre», ossia dagli attacchi condotti quattro mesi fa da Hamas contro Israele, «penserò alle migliaia di bambini uccisi a Gaza per il resto della mia vita» secondo quanto riportato dal canale israeliano Channel 13.  Blinken ha quindi aggiunto che «un’intesa è ancora possibile», osservando «che gli Stati Uniti lavoreranno incessantemente fino a quando non ci arriveremo».

Gli Stati Uniti vedono la tregua come parte di una strategia più ampia per risolvere il conflitto in Medio Oriente e favorire la normalizzazione delle relazioni tra Israele e i paesi arabi. Intanto un nuovo ciclo di colloqui sugli ostaggi inizia oggi in Egitto.

Come riferisce Reuters, le dichiarazioni di Netanyahu riguardo al suo impegno nel mettere fine al movimento islamico palestinese sostenendo che Israele deve perseguire la completa distruzione dell’organizzazione come unica via per garantire la sicurezza del Paese, sono state respinte dai rappresentanti di Hamas che le hanno definite una mera «spavalderia politica», intendendo che le osservazioni del leader israeliano riflettano solo la sua intenzione di prolungare il conflitto nella regione.

Hamas ha anche annunciato che una delegazione guidata da un alto funzionario, Khalil Al-Hayya, si recherà al Cairo per continuare i colloqui con i mediatori dell’Egitto e del Qatar sulla possibilità di una tregua. Tuttavia, Hamas ha mantenuto una posizione ferma, invitando le fazioni armate palestinesi a continuare la lotta.

L’offerta di tregua di Hamas prevedeva una fase di quattro mesi e mezzo, durante la quale tutti gli ostaggi sarebbero stati liberati e Israele avrebbe ritirato le sue truppe dalla Striscia di Gaza, seguita da colloqui per porre fine alla guerra. Tuttavia, Israele ha precedentemente insistito sul fatto che non avrebbe ritirato le sue truppe finché Hamas non fosse stato completamente eliminato.

In questa situazione, L’IDF è rallentato nel suo attacco alle roccaforti di Hamas, mentre le comunità israeliane vicine a Gaza rimangono insicure. In tutto questo, il numero di ostaggi morti è una preoccupazione, ma nonostante le richieste dei sindaci locali, non ci sono garanzie sulla sicurezza. «Smantellare Hamas non può essere fatto in un breve periodo e si può fare un po’ alla volta». Questa la valutazione sulla situazione della guerra del capo dell’esercito israeliano Herzi Halevi, secondo cui tanti più combattenti e comandanti di Hamas verranno uccisi e infrastrutture distrutte, più i militari si avvicineranno al raggiungimento dell’obiettivo importante» di riportare indietro i prigionieri. «Stiamo facendo un grande sforzo per questo. E non accadrà senza pressione militare», ha aggiunto Halevi.

In queste ore, come si legge, l’Idf ha reso noto di aver catturato decine di sospetti terroristi nella parte occidentale di Khan Younis, tra cui due terroristi che hanno partecipato all’assalto del 7 ottobre e un altro membro della forza d’élite Nukhba di Hamas.

Nella ricostruzione degli ultimi eventi, in un lungo articolo, The Times of Israel scrive che Hamas ha risposto a una proposta di tregua con richieste quasi massimaliste, cercando di sfruttare gli ostaggi israeliani per sopravvivere e riaffermare il controllo su Gaza. Ciò ha portato a un conflitto tra Hamas e Israele, con Netanyahu che cerca la «vittoria assoluta» e Hamas che condiziona la restituzione degli ostaggi alla fine della guerra. Nel frattempo, gli Stati Uniti cercano una soluzione diplomatica, ma la situazione è complicata dall’urgente bisogno di assistenza politica e dalla mancanza di coordinamento tra Israele e l’Egitto.

 

(Foto in alto: Government Press Office)