“Liberateli tutti, ora!”: l’appello degli ostaggi israeliani liberati

Israele

di Pietro Baragiola
Sono 100 gli ostaggi israeliani che sono stati liberati dalla striscia di Gaza durante la tregua tra Hamas e Israele. Questo cessate il fuoco temporaneo sarebbe dovuto durare solo 4 giorni ma, grazie alla mediazione del Qatar e degli Stati Uniti, si è esteso ad un’intera settimana: dal 24 novembre fino al 1° dicembre.

Donne e bambini sono stati i primi a venire rilasciati e ad essere presi in carico dalla Croce Rossa e dall’IDF per ricevere le cure adeguate. Denutriti, maltrattati e torturati durante le 7 settimane di prigionia, per molti di loro era troppo doloroso raccontare la propria esperienza. Alcuni però hanno deciso di lasciarsi intervistare per lanciare un accorato appello ai capi di stato che possono intervenire sul rilascio dei loro familiari, ancora rinchiusi a Gaza: “riportateli a casa ora!”

L’organizzazione Hostage and Missing Families Forum è stata creata dalle famiglie dei rapiti meno di 24 ore dopo l’orribile attacco terroristico del 7 ottobre per offrire supporto emotivo ai sopravvissuti e raccogliere fondi per la campagna #BringThemHomeNow, volta alla liberazione degli ostaggi. Negli ultimi giorni il sito dell’organizzazione ha pubblicato le testimonianze registrate di alcuni degli ostaggi liberati, raccontando le loro esperienze e ciò che hanno dovuto affrontare rinchiusi nei tunnel di Gaza. Ogni video si conclude con il conto degli ostaggi ancora imprigionati (136) e con la scritta “ogni minuto è un inferno”, per ricordare le terribili condizioni in cui si trovano.

Queste sono le testimonianze di chi è uscito da questo incubo. 

Ditza Heiman e la lotta per la sopravvivenza

“Le scorte di cibo erano scarse sin da subito e col passare del tempo sono diminuite ancora di più, fino al limite della fame.” Sono queste le parole toccanti dell’84enne Ditza Heiman, una dei 10 ostaggi israeliani liberati martedì 28 novembre, dopo 53 giorni di prigionia.

Madre di quattro figli, matrigna di tre, nonna di 20 nipoti e bisnonna di cinque, Ditza si trovava nella camera di sicurezza della sua casa del Kibbutz Nir Oz, uno dei luoghi più colpiti dall’ondata di massacri di Hamas, quando venne catturata dai terroristi.

L’ultima volta che qualcuno ha avuto sue notizie è stato intorno alle 10 del mattino del 7 ottobre, poi verso le 16 al suo telefono rispondevano solo persone che parlavano in arabo. “È stato allora che abbiamo capito che doveva essere successo qualcosa di terribile” ha spiegato Amichai Shdaimah, figlio del defunto marito di Ditza, che ha spiegato in un’intervista a The Times of Israel come la donna si fosse sempre comportata da madre per lui e da buona “savta” (“nonna” in ebraico) per i suoi bambini.

Solamente il 9 ottobre i membri della famiglia Heiman hanno visto un video pubblicato sui social di Hamas con immagini della casa di Ditza e una ripresa che mostrava alcuni terroristi mentre facevano salire l’anziana su un’auto per portarla a Gaza.

“Mia madre è stata tenuta in condizioni talmente gravi che nemmeno una persona giovane sarebbe sopravvissuta” ha affermato il figlio Gideo, dopo la liberazione di Ditza.

Oltre alla sofferenza fisica, c’era anche quella mentale” ha spiegato la donna che, per tutti i 53 giorni di prigionia, aveva paura di non poter mai più riabbracciare la sua grande famiglia.

Danielle Aloni e i traumi dei bambini

Alcuni ostaggi sono stati rapiti insieme ai loro famigliari. Questa è la storia di Danielle Aloni, 45 anni, e di sua figlia Emilia di 6 che sono state tra le prime persone liberate all’inizio della tregua, venerdì 24 novembre, dopo ben 49 giorni di prigionia.

Madre e figlia erano in visita a Nir Oz dalla sorella di Danielle, Sharon Aloni Konio, per celebrare tutti insieme la festa di Simchat Torah quando, improvvisamente, furono attaccate dai terroristi di Hamas. Nel corso di quella tragica mattinata anche Sharon, suo marito David, e le figlie gemelle di appena 3 anni, Yuli ed Ema, furono rapiti e portati a Gaza.

Il destino di Danielle e della sua famiglia è rimasto sconosciuto per diversi giorni finché la donna non è comparsa in un video di propaganda, pubblicato da Hamas, che mostrava lei ed altre due prigioniere, Rimon Buchshtab Kirsht e Lena Trupanov. Nel filmato le tre donne rimproveravano (con parole dettate dai rapitori) il Primo Ministro Benjamin Netanyahu per non essere riuscito ad impedire l’attacco del 7 ottobre.

Questo video è stato un bagliore di speranza per il padre di Danielle, Ramos Aloni, che ha annunciato di sentirsi sollevato nel sapere che la figlia fosse ancora viva. Solo dopo la liberazione di Danielle, Ramos ha scoperto l’inferno che la giovane aveva dovuto affrontare.

“È stato come essere in un film dell’orrore. Le nostre figlie hanno visto cose che nessun bambino di quell’età o di qualsiasi età dovrebbe mai vedere” ha raccontato Danielle.

Durante la settimana di tregua anche Sharon e le gemelline sono state liberate ma non prima che una delle piccole venisse allontanata dalle braccia della madre per ben 10 giorni.

Questa era solo una delle diverse torture fisiche e mentali inflitte ai prigionieri. Secondo le testimonianze di Danielle e di Sharon, infatti, gli ostaggi potevano solamente restare seduti o in piedi, senza camminare e con l’obbligo di parlare sottovoce.

“Mio cognato, David, è ancora lì insieme ad altre persone” ha affermato Danielle, sconvolta. “Sono tutti in grave pericolo e noi dobbiamo assolutamente aiutarli.”

Il saluto di pace di Yocheved Lifshitz

Tra le numerose immagini sulla liberazione degli ostaggi che girano in rete in questi giorni, una delle più toccanti rimane quella dell’85enne Yocheved Lifshitz, co-fondatrice del Kibbutz Nir Oz, mentre stringe la mano ad uno dei terroristi di Hamas che l’ha consegnata alla Croce Rossa. “Shalom”, questa è l’unica parola che Lifshitz rivolge timidamente al suo carceriere prima di camminare verso la libertà.

È un’immagine che ha fatto il giro del mondo, diffondendo ovunque il messaggio di pace di Yocheved ma, dopo che negli ultimi giorni sono stati liberati nuovi ostaggi anch’essi considerati “fin troppo calmi e sereni” verso i loro aguzzini, le famiglie delle vittime hanno iniziato ad avere alcuni sospetti su questo insolito comportamento.

Durante la riunione del Comitato sanitario della Knesset di martedì 28 novembre, il capo della divisione medica del Ministero della Salute, Hagar Mizrahi, ha affermato che agli ostaggi liberati sono state somministrate ingenti quantità di clonazepam prima del loro rilascio. Il clonazepam è un farmaco tranquillante utilizzato per trattare disturbi d’ansia, bipolarismo, agitazione associata a psicosi e altri disturbi post-traumatici. Questa droga è stata somministrata dai terroristi con il compito di far apparire gli ostaggi calmi e felici dopo aver subito ogni tipo di abuso fisico e mentale.

Secondo la dottoressa Yael Mozer-Glassberg, direttrice del servizio israeliano di trapianto di fegato pediatrico presso lo Schneider Children’s Medical Center, tutti gli ostaggi hanno perso almeno il 10-15% del loro peso, hanno il corpo pieno di pidocchi ed eruzioni cutanee e riportano diverse ferite infette.

Yocheved è stata una delle prime ad essere liberata da questo inferno il 24 ottobre, dopo 17 giorni di prigionia. “Gli ultimi 4 giorni sono stata male e temevano che avrei causato lo scoppio di un’epidemia” ha affermato la donna, spiegando quali possano essere stati i motivi della sua liberazione e dichiarandosi preoccupata per la sorte del marito, ancora prigioniero nei tunnel di Gaza.

 La resilienza israeliana di Yaffa Adar

Uno dei primi video pubblicati da Hamas il 7 ottobre mostra un’anziana signora israeliana mentre viene portata a Gaza a bordo di una golf car, circondata da terroristi armati. La donna è Yaffa Adar, 85 anni, sopravvissuta all’Olocausto e prigioniera di Hamas.

Molti osservatori, studiando il contegno inflessibile mostrato dal volto di Adar possono arrivare a pensare che l’anziana non stesse capendo bene quello che stava succedendo ma i famigliari della donna hanno subito smentito questa ipotesi: “sapeva esattamente cosa stava accadendo intorno a lei e non si sarebbe mai fatta prendere dal panico. Lei è fatta così: nel video sta prendendo il controllo della situazione e mostrando ai suoi rapitori un briciolo del carattere imbattibile per il quale tutti noi la ammiriamo”

Adar, i cui tre figli le hanno dato otto nipoti e sette pronipoti, è considerata oggi una vera eroina d’Israele e un’icona di dignità contro il terrorismo di Hamas. L’intero paese ha festeggiato il suo rilascio avvenuto il 24 novembre dopo 49 giorni di prigionia.

“È la personificazione della resilienza israeliana e non permetterà a nessun Hamasnik di vederla cedere” ha affermato l’autore Iris Boker sulla sua piattaforma X.

Anche nella sua intervista Yaffa non parla mai come prigioniera ma come nonna del povero Tamir Adar, catturato dai terroristi mentre difendeva il Kibbutz Nir Oz.

“La mia supplica è rivolta a tutti coloro che possono fare qualcosa a riguardo: tirateli fuori tutti da lì, ora! Penso di parlare a nome di tutte le madri e di tutte le nonne nel dire che vogliamo vedere i nostri figli adesso e non quando saremo nelle bare” conclude Yaffa, implorante.