Da sinistra, Naftali Bennett e Al-Sisi

ISRAELE e il nuovo governo: Bennett alla prova del fuoco

Israele

di Avi Shalom

Quella di Naftali Bennett è una premiership all’insegna del pragmatismo, che punta
sulla strategia del “fare squadra”, molto diversa da quella accentratrice di Bibi Netanyahu.
Benny Gantz e Yair Lapid lo affiancano negli impegni diplomatici internazionali

A meno di 50 anni, Naftali Bennett si trova per circostanze fortuite – dovute a sorprendenti sommovimenti nella politica interna – a ricoprire la carica di Primo ministro di Israele. Guida un partito (Yemina) forte di soli sei deputati sui 120 della Knesset. La sua coalizione è composta da otto liste politiche: di destra, di centro e di sinistra, fra cui quella del Movimento islamico. Ma anche così la sua maggioranza in Parlamento, nei giorni favorevoli, è di 61 deputati. Per completare i quattro anni di legislatura dovrà non solo beneficiare di una dose notevole di fortuna, ma anche dimostrare grande maestria.
Dalla sua parte c’è una biografia di tutto rispetto: dagli studi a San Francisco alla guida di una unità di elite nell’esercito israeliano, da una avventura nel mondo del High tech che gli ha fruttato 145 milioni di dollari, alla guida idealista del movimento dei coloni. Poi ancora l’apprendistato nell’ufficio di Netanyahu, la conquista dell’invecchiato Partito-Nazional religioso e la sua trasformazione in una forza politica militante e ambiziosa. Quindi incarichi di Ministro dell’Istruzione e poi Ministro della Difesa. Ed infine, in prima linea nella lotta al Covid, con la pubblicazione di una sorta di “manuale” sul contenimento della pandemia.
Ciononostante, per lui gli inizi sono stati tutti in salita: perché il suo predecessore Benyamin Netanyahu ha cercato di mettergli i bastoni fra le ruote (fra cui una marcia di ebrei nazionalisti a Gerusalemme est e un avamposto illegale in Cisgiordania), nella speranza di vederlo cadere al più presto, e perché i nemici di Israele hanno approfittato della sua inesperienza internazionale per lanciare continui attacchi da Gaza, dal Libano, in Cisgiordania. Inoltre navi israeliane si sono trovate sotto attacco in acque internazionali, su iniziativa dell’Iran. Bennett, insomma, non ha certo beneficiato dei tradizionali cento giorni di grazia. Nemmeno di una misera manciata di giorni per ambientarsi.
Dalla metà di giugno, da quando è entrato in carica, non ha avuto un solo momento di respiro. Le crisi si sono presentate sul suo tavolo in rapida successione, i momenti di soddisfazione sono stati molto rari. Eppure Bennett ostenta una calma interiore. è il primo ebreo osservante a essere diventato Premier di Israele: ricarica le batterie nei week-end che trascorre lontano dai media e dalla rissa politica, assieme alla moglie e ai quattro figli, nella casa privata di Raanana. Per il momento non ha alcuna intenzione di trasferirsi nella residenza ufficiale dei Premier d’Israele, nella celebre Rehov Balfour di Gerusalemme, in quello che era diventato il simbolo del potere della famiglia Netanyahu.
Costretto a continui compromessi con i compagni di strada della coalizione, in questi mesi Bennett ha perso buona parte del sostegno della lista di destra-religiosa Yemina. Sulla carta, sembrerebbe un colpo severo alle sue ambizioni politiche. In realtà è la liberazione da una “zavorra” di impegni elettorali divenuti nel frattempo ingombranti. «Per lui un vero miracolo», sostiene l’analista politico di Maariv Ben Caspit. Era già accaduto, all’inizio degli anni Duemila, ad Ariel Sharon con la spaccatura del Likud, il ritiro da Gaza e la formazione del partito centrista Kadima. Finalmente – prosegue Caspit – Sharon era libero di fare quello di cui il Paese aveva bisogno senza dover rispondere ai quadri di partito. Ma per Sharon quell’interludio durò poco, perché fu stroncato da un ictus. Bennett conta di mantenere una linea fondamentale di pragmatismo per almeno i prossimi due anni, nella fiducia di sapersi costruire, gradualmente, consensi sempre maggiori. Al suo fianco ha il leader centrista Yair Lapid, Ministro degli Esteri e fra due anni Premier “alternato”. Per il momento il binomio ha funzionato, senza scricchiolare.
Da luglio, molto attivamente assiste ai loro sforzi, dall’esterno, anche il nuovo Capo di Stato Isaac Herzog, ex leader del Partito Laburista.
Sul piano internazionale il nuovo governo ha agito a tutto campo. Bennett – in piena crisi afghana – è stato ricevuto a Washington con grandi onori dal presidente Joe Biden. È stato accolto ad Amman da re Abdallah (che di fatto aveva troncato i rapporti con Netanyahu) e nel Sinai dal presidente Abdel Fatah al-Sisi (prima visita pubblica di un premier israeliano in terra egiziana dal 2011). Il suo Ministro della Difesa, Benny Gantz, ha intanto riattivato il dialogo e la cooperazione di sicurezza con Abu Mazen e con l’Autorità Nazionale Palestinese. Lapid ha compiuto visite ufficiali negli Emirati e in Marocco, oltre che in Russia e alla Nato. Ovunque il nuovo governo ha raccolto espressioni preliminari di fiducia.
Sui contenuti tuttavia non c’è grande divergenza dalla politica di Netanyahu: Israele continua a opporsi alla formula dei due Stati e continua a sostenere il massiccio progetto di insediamento ebraico in Cisgiordania. Ai palestinesi non offre prospettive d’indipendenza, ma prospetta investimenti economici (anche internazionali) e un miglioramento delle condizioni di vita a Gaza e in Cisgiordania.

La questione iraniana
In primo piano – per Bennett come per Netanyahu – è la questione Iran. Teheran ha compiuto sensibili progressi nei suoi programmi nucleari e fra breve potrebbe disporre della quantità di uranio arricchito necessaria alla confezione di una prima atomica. Prosegue inoltre la sua sistematica penetrazione fra i vicini di Israele (fra cui Siria, Libano, Gaza) e il suo sostegno alla produzione di missili precisi con cui tenere sotto costante minaccia le retrovie di Israele. Da Biden, Bennett ha ottenuto l’impegno che gli Stati Uniti non consentiranno all’Iran di dotarsi di un’atomica, ma ancora le posizioni dei due Paesi non sono identiche. Israele vorrebbe vedere negli Usa una chiara disponibilità al ricorso alla forza, in caso di necessità. Ma finora Bennett non l’ha ricevuta. Anche con Hamas a Gaza Bennett prosegue di fatto la politica di Netanyahu. Si sintetizza nella formula: “La calma in cambio della calma”. E se da Gaza partono razzi, nelle ore successive l’aviazione di Israele colpisce postazioni deserte di Hamas.
Nei mesi passati i maggiori successi (peraltro parziali) registrati dal governo Bennett si sono avuti nella programmazione economica (affidata a Avigdor Lieberman) e nella lotta al Covid (sotto la direzione del Ministro di sinistra Nitzan Horowitz). Negli ultimi tre anni, per ragioni di convenienza politica di breve termine, Netanyahu si era astenuto dal far votare alla Knesset la Legge Finanziaria, ossia il bilancio per l’anno venturo. I ministeri hanno dovuto barcamenarsi con bilanci definiti nel 2018 e da allora rinnovati ad hoc, anno per anno, anche di fronte a una situazione economica molto alterata dalle profonde conseguenze del Covid sul mercato. La finanziaria per gli anni 2021-22 è stato il primo obiettivo che Bennett ha scelto per il suo governo ed è riuscito a raggiungerlo, almeno in prima lettura. Il voto definitivo sarà a novembre.
Il secondo fronte su cui il governo ha agito con grande determinazione è stato la lotta al Covid. A luglio, fra molte titubanze degli stessi esperti di sanità, Bennett ha deciso che Israele sarebbe stato il primo Paese al mondo nella somministrazione di massa della terza dose di vaccino Pfizer, in quanto in 5-6 mesi l’effetto delle prime due si era molto affievolito. La campagna ha avuto un successo insperato: in un mese e mezzo quasi tre milioni di israeliani di età superiore ai 12 anni si sono immunizzati. Ma nel frattempo, nel Paese dilagava la aggressiva variante Delta, con tassi di contagio fino al 7-8 per cento al giorno. La distribuzione massiccia della terza dose è servita ad assorbire in parte e ad allentare la pandemia. Ma anche così nel mese di agosto si sono avuti quasi 1000 decessi. Gli appelli martellanti di Bennett a due milioni di israeliani non vaccinati di andare a ricevere le loro iniezioni sono rimasti inascoltati. Ma in diversi Paesi “l’esperimento Israele” sulla terza dose è stato un punto di riferimento importante per le decisioni nazionali da adottare.
Sul piano interno, infine, l’effetto del governo Bennett-Lapid si è fatto sentire nettamente nelle reti sociali e nei media. Il tono costantemente aggressivo mantenuto da Netanyahu e dai suoi collaboratori contro chiunque dissentisse dalla sua linea (fossero essi singoli o istituzioni) è stato sostituito da Bennett con messaggi dai toni concilianti. A differenza di Netanyahu (che amava presentarsi come l’artefice unico di ogni successo), Bennett appare invece come uomo di squadra e non esita a elargire complimenti, nel caso, ad altri membri del governo. La sensazione maturata fra molti israeliani è dunque che Bennett stia radicalmente invertendo la marcia intrapresa da Netanyahu verso una premiership accentratrice e autoritaria. Se così fosse, sarebbe forse questo l’aspetto più significativo del governo Bennett-Lapid.