Hineni: una missione di solidarietà svolta in Israele

Israele

di Redazione

“’Hineni in ebraico significa ‘eccomi, sono qui’”. È un’affermazione, un impegno che promette: “Sono qui, dove e come mi avete trovato, attento, concentrato, con tutto me stesso, con tutto ciò che sono e che posso essere”. Questo è lo spirito e il nome della missione di solidarietà svolta in Israele dal 5 all’8 febbraio scorsi da ECJC, European Council of Jewish Communities, in collaborazione con JDC, American Jewish Joint Distribution Committee, Zehud School e la Divisione delle imprese sioniste della WZO. Una missione di solidarietà e amore per il popolo ebraico che ha visto riunirsi in Israele 33 rappresentanti di comunità ebraiche provenienti da nove paesi europei, che hanno condiviso un viaggio denso di incontri e visite con lo sguardo rivolto a quanto il Paese sta passando in questo difficile e drammatico periodo iniziato il 7 ottobre 2023.

“Le perdite di quel giorno e da allora sono state devastanti: 1.200 israeliani uccisi e 240 presi in ostaggio, di cui 136 sono ancora trattenuti a Gaza – scrive ECJC, European Council of Jewish Communities -. Lo Stato di Israele è ora in una guerra su vasta scala contro Hamas a Gaza, mentre difende i suoi confini a nord contro Hezbollah. Circa 200.000 persone sono state sfollate dalle loro case in Israele e alcune stanno ancora affrontando questa terribile e incerta situazione, mentre le famiglie ferite, traumatizzate e colpite cercano di gestire la loro vita quotidiana in quella che sembra una realtà impossibile. Contemporaneamente, in tutto il mondo, sono aumentate le reazioni antisemite […], così le comunità ebraiche si trovano di fronte a tempi complicati e difficili che possono essere affrontati solo attraverso l’unità e la costruzione di nuovi modi per collegare le nostre vite e agire insieme”. All’insegna della solidarietà, del dialogo e dell’impegno a favore del futuro di Am Israel, il viaggio di ECJC ha toccato diverse tappe fra cui Il Ministero degli Affari Esteri, il Kotel e l’ospedale Hadassah a Gerusalemme, il Kotel, il kibbutz Kfar Aza colpito dagli attacchi del 7 ottobre, la località di Reim per un incontro con dei sopravvissuti al terrorismo e ai rapimenti al Nova Festival, Kikar Hachatufim, la piazza di Tel Aviv con la tavola apparecchiata e le foto dei rapiti, il centro accoglienza di Shefayim per i sopravvissuti del kibbutz Kfar Aza e il moshav Mazor, per assaporare contatto diretto con la terra di Israele e i suoi frutti.

 

La testimonianza di Angela Castigli sulla visita in Israele

Alla missione in Israele di ECJC ha partecipato anche una delegazione italiana, con Dalia Gubbay, Massimiliano Tedeschi, Daniele Schwarz, Raffaele Besso, Valeria Biazzi e Angela Castigli, sostenitrice della nostra Comunità. “Volendo fare qualcosa per il popolo ebraico in questo particolare momento storico, ho contattato la Comunità Ebraica di Milano e conosciuto alcuni suoi esponenti – spiega a Bet Magazine Angela Castigli -. Sono stata accolta con grande umanità e simpatia. Ho conosciuto Milo Hasbani, il preside della scuola ebraica Marco Camerini e Paola Hazan, a cui ho potuto spiegare le mie motivazioni. Milo Hasbani mi ha poi chiesto se fossi interessata a partecipare a questo viaggio, organizzato a livello europeo. Io non ero mai stata in Israele, ma ho intuito che sarebbe stata un’esperienza eccezionale”.

“Per prima cosa ho conosciuto persone di diverse comunità ebraiche europee e ho capito quanto possa essere complesso anche solo usare l’aggettivo ‘ebraico’, seppur siano tante sono le basi comuni, specialmente in questo difficile periodo di guerra; da un lato gli ebrei sono nel mondo, un punto di forza se dall’altro c’è un punto comune – prosegue Castigli -. L’organizzazione del viaggio è stata perfetta e nell’ottimo hotel dove alloggiavamo a Gerusalemme ho potuto inoltre incontrare famiglie israeliane, con tanti bambini. Mi è stato detto che erano famiglie di sfollati provenienti dal nord di Israele, vicino al confine con il Libano. Da quattro mesi occupavano un piano dell’albergo con tutte le loro cose ed è stato davvero toccante vederle. Per comunicare un po’ con loro ho imparato a dire ‘boker tov’, così una volta una bambina che avrà avuto quattro anni ha voluto darmi una caramellina. Ho scambiato qualche parola in inglese anche con le giovani madri e le donne di quelle famiglie, per conoscerle un po’ e capire meglio le cose. Mi sono sembrate donne fiere, non certo dimesse o ‘nascoste’. La prima impressione che ho ricevuto vedendo queste famiglie è stato il profondo senso di coesione della nazione israeliana – sottolinea -. In seguito, quando da Gerusalemme ci siamo spostati verso sud per raggiungere un centro attrezzato gestito da volontari che distribuivano cibo ai soldati, dai 30.000 ai 35.000 pasti al giorno, ho visto e sperimentato ulteriormente questo senso della coesione e dell’essere insieme in tutti i modi per farcela e per darsi una mano. Questo è stupendo e credo che sia la vera forza di questo popolo oltre che la vera ragione per cui ce la può fare e ce la farà”.

“La domenica, girando per Gerusalemme, mi sono ritrovata in una mini-bottega che vendeva falafel buonissimi e con il mio pur non ottimo inglese ho provato anche lì a comunicare con le persone; sono entrati dei giovani soldati e ho chiesto loro quanti anni avessero: solo diciannove anni! Ho visto anche dei giovani religiosi, così ho chiesto al venditore dei falafel se questi fossero esentati dal servizio militare e lui mi ha svelato un altro aspetto della società israeliana che trovo eccezionale: i religiosi non sono obbligati ad arruolarsi, ma dal 7 di ottobre in poi molti di loro hanno comunque deciso di farlo e sono andati a combattere”.

Ho vissuto un’esperienza davvero ricca e significativa, sotto tanti punti di vista, e ringrazio la Comunità di Milano per questa opportunità. Io non sono religiosa, ma voglio comprendere i valori di riferimento e ho a mia volta dei valori di riferimento, primo fra tutti la libertà. Per esempio, anche i palestinesi hanno lo loro identità, ma non hanno la libertà, la possibilità di valutare e di scegliere. Gli israeliani invece hanno libertà di scelta, anche le donne religiose. Questa è la differenza”.

Fra i momenti più toccanti e di profonda riflessione, nel corso della missione Hineni, ci sono state le visite al kibbutz Kfar Aza devastato dall’attacco del 7 ottobre e al sito dove si era svolto il festival Nova. “È stato terribile – evidenzia -. Siamo anche stati dove si era svolto il rave, il festival di musica attaccato da Hamas. Lì c’è stato un incontro con dei giovani sopravvissuti all’attacco. È stato commovente e coinvolgente per tutti i presenti. Poi abbiamo visitato un centro vicino a Tel Aviv, dove c’erano degli sfollati e dei parenti di vittime degli attacchi e anche là abbiamo avuto un incontro con una persona che era stata partecipe di quella tragedia. Altra tappa molto significativa è stata la visita alla piazza di Tel Aviv dove è allestita una tavola apparecchiata con tutte le foto dei rapiti presidiata 24 ore su 24 dai parenti degli ostaggi, che vi si alternano e chiedendone la liberazione”.

Nell’insieme, la missione ha offerto momenti non solo emotivamente forti, ma significativi al fine della comprensione e dell’analisi della situazione e del da farsi. “Di fronte alla drammatica situazione disegnata dagli attacchi e dalla guerra, il senso di coesione e della capacità di resistenza del popolo ebraico mi ha colpito molto profondamente – ribadisce Angela Castigli -. Io stessa, nel centro che distribuiva i pasti ai soldati, era come se fossi diventata sorella della gente e ho provato l’emozione dell’essere insieme per una causa giusta. Questa coesione è cruciale per l’esistenza del popolo d’Israele. Oggi, rispetto a tanti altri popoli, a storie o situazioni diverse, questa specificità d’Israele, della sua storia, del suo essere, della sua cultura, credo che sia davvero la cosa più importante. La coesione del popolo viene anche dai valori che uniscono e che condivido: al popolo ebraico sono vicina per affinità di valori.  Il senso del viaggio è stato nel cercare di capire il perché e le cause della situazione, anche per poter intraprendere una efficace campagna di informazione. Oggi, su molti media e sui social, Israele sta passando per carnefice. Dietro c’è una macchina distruttiva, finanziata, e tutto questo è assolutamente terribile. Allora, comprendere significa anche saper reagire con una campagna non solo difensiva, ma di critica nei confronti di questa macchina distruttiva. Durante il viaggio ho compreso che non solo Israele si deve difendere e deve combattere, ma deve altresì agire dal punto di vista culturale e dell’informazione – conclude – anche perché questo antisemitismo oggi così tornato alla carica va combattuto con argomentazioni”.