Tzvia Peres: «Shimon: un padre, uno statista, un uomo»

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di Roberto Zadik

È nei valori della società israeliana che la figlia dell’ex presidente vede il lascito del padre. Non nella politica, però, dove Israele deve osare di più per ottenere risultati concreti, per raggiungere l’unica scelta possibile, la pace

In visita straordinaria in Italia, martedì 14 maggio, la figlia di Shimon Peres, Tzvia Walden Peres, è stata la protagonista dell’importante incontro Questo è Israele, 70 anni. Le grandi visioni, insieme a David Meghnagi, assessore alla Cultura Ucei, e a Monsignor Pierfrancesco Fumagalli, presidente dell’Associazione Italia Israele di Milano, che ha organizzato l’evento a Palazzo Reale. Bollettino-Bet Magazine l’ha intervistata.

Cosa vede dell’eredità di suo padre nell’Israele di oggi?
Mio padre ha lasciato una grande eredità in diversi valori della società israeliana odierna, come la combattività per il riconoscimento internazionale, la laboriosità cercando l’eccellenza in tutti i campi e la capacità di non arrendersi mai dando il meglio di sé. Politicamente, invece, sento meno questa sua influenza: attualmente la democrazia è a rischio e la nostra società sta diventando sempre più polarizzata socialmente, religiosamente, spiritualmente ed economicamente. Mio padre diceva sempre che Israele dovrebbe osare di più per ottenere maggiori risultati, dal momento che non intende essere un Paese dominante.

Per il futuro prevale ottimismo o pessimismo?
Dipende tutto da come vediamo la realtà. Per decidere il futuro è molto importante analizzare il passato. Ripensiamo, ad esempio, agli accordi con l’Egitto, dove Begin incontrò Sadat per siglare la pace, con due terzi degli israeliani che si opponevano a questa decisione. Ma una volta firmati, tutti ne furono contenti. Si può quindi essere pessimisti e poi diventare ottimisti. Lo stesso accadde con la pace con la Giordania: la gente si era arresa al peggio, ma poi tutto si risolse nella firma di un accordo con questo Stato. È normale avere paura prima di compiere una scelta, ma se si è coraggiosi ci si assume dei rischi, e una volta raggiunto un traguardo, si diventa più pragmatici. L’ottimismo è un approccio pratico, non utopistico o ingenuo. Quando mio padre arrivò dalla Bielorussia in cui era nato non si sarebbe mai immaginato che un giorno sarebbe esistito uno Stato ebraico. Ma egli non solo l’ha visto nascere, seguendolo nel suo cammino come un padre: ha partecipato in prima persona alla sua costruzione. Ora questa nazione ha 70 anni e prendere decisioni certamente non è facile: si devono sempre cercare compromessi e discutere con chi non è d’accordo, confrontandosi in una continua makhloket, come nel Talmud. La visione delle cose dipende dal tuo punto di vista e da quale prospettiva scegli di adottare per osservare la situazione.

Nonostante la situazione con i palestinesi e l’Iran alle porte, ci sono speranze per riprendere il cammino della Pace?
La pace dovrebbe essere considerata l’unica scelta possibile, la situazione normale del mondo, nonostante spesso venga minacciata e messa in pericolo. Credo che l’Iran rappresenti una antica tradizione e a modo suo, a parte la politica, sia un Paese sviluppato nel campo accademico e nella ricerca scientifica. Non dobbiamo lasciare che il potere sommerga tutto il resto e distrugga ogni elemento positivo.

Come vede gli spiragli che si aprono sul fronte dei Paesi arabi ostili all’Iran?
Il mondo non si divide fra religioni e popoli, fra ebrei e arabi, ma fra chi vuole vivere pacificamente e in modo tollerante e chi, dall’altra parte, è fanatico e intollerante e vuole prevalere sugli altri. Non contano le nazioni e le fedi, ma la natura caratteriale dei singoli. E così ci sono ebrei e musulmani tolleranti e gli estremisti da entrambe le parti, che vanno educati.

Un ricordo di suo padre a due anni dalla sua scomparsa?
Come dice lo Shulchan Aruch di Rabbi Yosef Caro – un ebreo dovrebbe alzarsi come un leone per servire Dio -, egli affrontava la vita, sempre pronto a dare il massimo e a mettersi in gioco. Non si arrendeva mai, non si dava mai per vinto: era un lottatore che combatteva per un mondo migliore e aveva nobili ideali e alti valori umani. È forse un caso che il suo ultimo libro si chiami No room for small dreams (Non c’è spazio per piccoli sogni)?