Rav Laras, la sua memoria celebrata nella “Rassegna Mensile di Israel” con un evento a Milano

Personaggi e Storie

di Michael Soncin
«Non dimentichiamolo: siamo pochi, viviamo una situazione che sarà sempre più delicata, abbiamo tantissimo da trasmettere». Parole di un’attualità sorprendente, pronunciate da Rav Laras (1935-2017) durante un’intervista a Bet Magazine, oltre dieci anni fa. Lo ha ricordato Fiona Diwan, direttrice dei media della Comunità Ebraica di Milano durante l’evento che ha moderato in ricordo di Laras, domenica 9 marzo al Tempio Centrale di via Guastalla.

«Il tratto ruvido aveva lasciato spazio a una maggiore dolcezza, ma lo humour acuminato, il gusto per la battuta pronta era rimasto lo stesso. Un personaggio insaziabile, fuori dal comune». Così Diwan dipinge la personalità dal grande rabbino che è emersa in seguito ai vari incontri che avuto lungo gli anni: tratti del carattere condivisi all’unanime dagli interventi di tutti gli altri relatori che l’avevano conosciuto.

Le affinità con i grandi pensatori

Si definiva un rabbino italiano per formazione e cultura, molto vicino alla corrente americana Modern Orthodox e alla Yeshivà University di New York, aveva grande stima e simpatia per il Chassidismo, ma non amava gli eccessi e nemmeno gli estremismi. I pensatori verso i quali si sentiva più affine erano diversi e variegati: da Saadia Gaon a Maimonide fino a Yehuda Ha-Levi. E poi Leone da Modena, Rav Leon Asckenazi che ha revitalizzato l’ebraismo francese dopo la Shoah e Rav Kook col sionismo religioso. Così lo ha descritto Diwan, definendolo un ma’yan mitgabber, una sorgente impetuosa.

Uno dei rabbanim italiani più importanti del dopoguerra

«Le mitzvot servono a due cose, al miglioramento del corpo e al miglioramento dell’anima. Noi possiamo migliorare il corpo, creando una società morale più giusta, nei rapporti tra le persone e invece migliorare l’anima, attraverso la preghiera. Questo è soltanto lo scopo intermedio delle mitzvot: l’obiettivo finale è la conoscenza di D-o». Rav Alfonso Arbib, rabbino capo di Milano ha voluto rendere omaggio a Rav Laras attraverso il pensiero di Maimonide, il Rambam, perché, come ha ribadito, sono elementi che bene inquadrano la sua persona. Arbib ha detto che Laras è stato «uno dei Rabbanim più importanti nel parlare all’ebraismo italiano del dopoguerra, un rabbino per vera vocazione che ha svolto la sua funzione con massima coerenza».

La Meghillà me la scrivi tu!

L’ha conosciuto mentre si stava formando presso il Collegio Rabbinico di Roma, ricordando il clima di informalità che vi era in diverse occasioni tra studente e insegnante, eccetto nel momento degli esami: «Quel momento la sua autorevolezza era per noi un momento di tensione», ricorda Rav Amedeo Spagnoletto, sofer, direttore del Meis di Ferrara. «Io vedevo in Rav Laras la vecchia guardia, vedevo in lui una tradizione, che nei giovani rabbini, via via andava sfumando. Stava venendo a mancare un certo atteggiamento nel quale io mi ritrovavo, nel bene e nel male e l’ho individuato in lui. Ero affascinato da questo mondo che pian pianino andava scomparendo. Lui lo rappresentava bene». Ma il momento di maggiore emozione, per Spagnoletto è stato quando Laras l’ha chiamato chiedendogli di scrivergli la Meghillat Ester. «Potete solo immaginare i contatti nazionali e internazionali che poteva avere nell’individuare la persona più prestigiosa per questo compito, invece l’aveva chiesto a me, senza nemmeno aver visto le poche Meghillot Esther che avevo iniziato a scrivere. Ero più contento io di scrivergliela che lui di riceverla! Era un onore, un prestigio enorme, inaspettato».

Colto e saggio: un binomio per nulla scontato 

«Se non fosse per lavoro di Rav Laras, per quello che ha rappresentato nell’ebraismo italiano, capace di unire la profonda conoscenza dottrinale e un impegno attivo nella comunità, forse oggi non saremmo qui. Mi ha colpito la sua determinazione nel dare i consigli. Da sopravvissuto alla Shoah, ha dedicato la sua vita alla ricostruzione dell’ebraismo italiano, proponendo il dialogo interreligioso e la modernizzazione delle scuole rabbiniche». Lo ha ribadito Walker Meghnagi, presidente della Comunità Ebraica di Milano. Nelle varie sezioni che compongono il volume della Rassegna Mensile di Israel, dedicato a Rav Laras, troviamo l’intervista fatta da Spagnoletto a Rav David Elia Sciunnach, amico e assistente di Laras. «A proposito della vocazione di Rav Laras di cui si è accennato, lui mi raccontava sempre che attorno all’età di 17 anni, Rav Dario Disegni lo convinse ad andare alla festa di Purim a sentire la Meghillà  e quella, come diceva lui, fu la sua disgrazia. Ogni volta che ce l’aveva con l’istituzione comunitaria diceva: “Ma chi me l’ha fatto fare di andare a sentire a quel Purim, se me ne stavo a casa oggi non sarei stato qui!”. Probabilmente, è proprio in quel momento che lui ha sentito la sua vocazione. Eppure, devo dire che non è facile ricordarlo perché aveva molte sfaccettature, leggeva di tutto, dagli scrittori dell’antica Roma alle poesie, testi che non riguardavano anche cose ebraiche… in particolare aveva una grande passione per i romanzi thriller! Era dotato di un grande cultura e grande saggezza, un binomio che non è per nulla scontato», ha aggiunto Sciunnach.

Un forte sostenitore del dialogo ebraico-cristiano

«Se oggi sono rabbino è proprio grazie a Rav Laras». Lo dice Rav Eliahu Alexander Meloni, rabbino capo di Trieste, che ha lavorato con lui per tredici anni, dal 1987 al 2000. Meloni l’ha ricordato anche quando l’assunse come shamash: «Ho sempre studiato con lui, per la preparazione di tutti i miei esami. C’era un affetto profondo tra me e lui. Ma in sede d’esame se avessi sbagliato qualcosa non avrebbe fatto eccezioni. Più provava affetto per qualcuno più era rigoroso». Tra i presenti alla conferenza anche monsignor Pierfrancesco Fumagalli, direttore emerito della Biblioteca Ambrosiana e presidente dell’Associazione Italia-Israele, che ha accennato al tema del dialogo ebraico-cristiano, molto caro a Rav Laras. Infatti, come ha evidenziato Diwan, nel volume in omaggio a Laras, Fumagalli, «ripercorre in maniera vivida il cammino delle relazioni tra la Santa Sede e lo Stato di Israele dal 1993 al 2023. Vent’anni di relazioni non sempre facili, compresi i successi, ma anche gli inciampi. Qui si interroga su diverse questioni riguardanti l’identità ebraica e le implicazioni che essa comporta per la concezione dello Stato di Israele con la visione cristiana e anche musulmana della terra israeliana e dello stato italiano». Inoltre, nella Rassegna Mensile, all’intervento di Fumagalli si unisce parallelamente uno scritto di Rav Riccardo Di Segni, che percorre le tappe del dialogo greco-cristiano.

La giacca sì, l’Halachà no 

L’interesse per Maimonide per Laras non solo l’ha portato ad essere coinvolto nelle attività dell’Ambrosiana ma anche a stringere rapporti con Guido Borella, presidente della Fondazione Maimonide. «Avevo partecipato ad un corso che aveva tenuto sulle dispute giudaico-cristiane nel medioevo. Mi era piaciuto il modo di esprimersi, la chiarezza e il suo vivo interesse. Inizialmente mi era apparso come un uomo austero, ma in seguito vivendolo più da vicino ho imparato a conoscere un uomo generoso, acuto e arguto, con una fiducia in Hashem e una speranza della vita che andava oltre la prova tremenda dalla vita che aveva sopportato da bambino: l’esperienza della Shoah», ha detto Borella, il quale ha soprattutto ricordato che era una persona rispettosa della sofferenza altrui, capace di aiutare tutti quelli che ne avevano bisogno. «Nonostante fosse sempre alla ricerca della soluzione in grado di risolvere il problema ricordo che diceva: “Se mi chiedono la mia giacca la do, se mi chiedono di modificare l’halachà, non è possibile, non ne ho il potere”». Alla fine del suo discorso, Borella ha detto che Laras era convinto che fosse necessario interagire con le altre religioni per arrivare alla pace, non perché le religioni siano uno strumento di pace, ma perché i religiosi possano arrivare alla pace: «Per lui Israele era il punto fermo dell’esistenza di ciascuno di noi, perché solo con Israele vivente possiamo sentirci in un qualche modo sicuri».

L’attualità del suo pensiero

Roberto Jarach, presidente della Fondazione Memoriale della Shoah di Milano, ha ricordato di avere vissuto tutto il periodo milanese di Rav Laras. «Quando aveva tante persone davanti era freddo, distaccato, non lo sentivo caldo e comunicativo, ma quando era con una, due persone, allora veniva fuori tutta la sua intimità, la sua sensibilità», ha sottolineato Jarach. Anche Roberto Cenati, ex presidente dell’Anpi, non ha mancato di rendere omaggio al grande rabbino, riportando parte di un suo discorso: «“Anch’io come molti di voi ero convinto dal principio che il Giorno della Memoria potesse formare utili anticorpi in relazione al cancro dell’antisemitismo, purtroppo è evidente che così non è stato. Gli ebrei inclusi gli israeliani, nonostante le tante giornate della memoria celebrate in occidente, sono stati lasciati soli per anni in Europa”». La tremenda attualità delle parole di Rav Laras, nel discorso inviato nel 2015 al Binario 21, mentre era già ammalato, dovrebbe scuotere anche le menti più indifferenti. Sempre parlando di dialogo ebraico-cristiano, Don Giuliano Savina ha ricordato la disponibilità di Laras nell’incontrare i credenti cristiani, che da quegli incontri avevano dimostrato un vero interesse. «Sarà venuto almeno dieci volte in parrocchia. Ricordo quando mi disse: “Chiamami e tutte le volte che potrò e io verrò”. È stato un percorso che è iniziato con venti persone ed è culminato nel 2015 con ben quattrocento. Questa è la sfida che noi dobbiamo portare avanti, oltre ai momenti formali occorre un processo pedagogico, le persone vanno accompagnate passo dopo passo. Nel mio mandato da parroco sono riuscito a portare in Israele almeno 500 persone nell’arco di 10 anni a gruppetti di 15. È la dimostrazione che è possibile».

Questo funerale s’ha da fare 

L’evento si è concluso con Rav Gianfranco Di Segni che ha portato alla luce un episodio narrato in prima persona da Rav Laras, mentre era ad un convegno di Moked agli inizi del 2000, in cui i rabbini raccontavano com’era nata la loro vocazione. «Quando fu la volta di Laras, che era il rabbino più illustre presente al seminario, ci raccontò il giorno in cui era stato nominato rabbino, ed era stato mandato da Rav Dario Disegni ad Ancona, giovane poco più che vent’enne, pronto per prendere possesso della cattedra rabbinica. Col sorriso sulle labbra raccontò del presidente della comunità che lo accolse dicendogli: “Laras guardi è appena morta una persona deve subito andare a fare un funerale!”. E lui ci racconta che lui non aveva mai fatto un funerale in vita sua. Aveva certamente studiato la teoria ma non sapeva come fare e poi in qualche modo ci è riuscito. Anche se all’inizio è stato scioccante, le cose sono poi andate per il verso giusto».

La Rassegna Mensile di Israel: un numero speciale nel nome di Rav Laras

«Oltre agli incarichi prettamente rabbinici, Giuseppe Laras si dedicò anche alla docenza universitaria. Fu professore di Storia del Pensiero Ebraico nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Milano. Come studioso di storia ebraica italiana e di filosofia ebraica, fu impegnato in particolare nella diffusione delle opere di Maimonide, aprendo la strada ad altri studiosi dopo di lui, e più in generale si occupò della storia della filosofia ebraica dalle origini all’età contemporanea». Quanto scritto nell’introduzione della Rassegna Mensile di Israel, riassume il portato poliedrico di Rav Laras. Nella rivista fondata da Dante Lattes e Alfonso Pacifici, che quest’anno ha festeggiato i 100 anni dalla sua fondazione, nell’ultimo numero, interamente dedicato a Laras, possiamo apprezzare i vari interventi a lui dedicati. C’è uno scritto intitolato “La lettera del Rambam a Ovadià ha-Gher, … il proselita”, a cura di Iaia Shulamit Vantaggiato e Gianfranco Di Segni, quest’ultimo direttore uscente della rivista; c’è l’intervista a Rav Laras, fatta invece da Liliana Picciotto, che ha assunto la nuova direzione del periodico; ma anche i ricordi dei familiari come quello della figlia Yardena. Ma questi sono solo una piccola parte degli scritti ricchi e variegati riuniti in questo splendido volume. Dall’evento in suo onore si esce con una consapevolezza: se si vuole conoscere una parte importante della storia dell’ebraismo italiano ed in particolare dei suoi rabbini questo volume dovrebbe essere considerato una delle letture imprescindibili.