La teshuvà a Rosha Hashanà. Disegno di Emanuele Luzzati

La Teshuvà è crescita individuale e ritorno a noi stessi, secondo Rav Kook

di Daniele Cohenca
Siamo entrati in un periodo molto particolare del calendario Ebraico, quello che precede Rosh Hashanà, seguito dai cosiddetti “yamìm noraìm – giorni terribili”, quindi Yom Kippùr.

Per questa seconda puntata del ciclo su Rav Kook, ci sembra quindi opportuno affrontare assieme alcuni aspetti della Teshuvà (Lett. “il ritorno”, meglio conosciuta col termine – parzialmente corretto – di “pentimento”), nel pensiero del Maestro.
Come in tutti gli aspetti dell’approccio di Rav Kook alla Torà ed alle Mizvòt, troviamo anche in questo campo un modo di vedere le cose da un’angolazione particolare che ci pare probabilmente originale e che riflette la profondità della sua filosofia.

“L’unico modo per guarire davvero una persona è quello di fargli scoprire le sorgenti di forza e benessere che sono nascosti nel suo essere”; con queste parole, Rav Kook anticipa il tema della Teshuvà, trattato molto in dettaglio nella sua opera “Oròt HaTeshuvà”, da cui molti degli spunti che studieremo.

In ogni individuo risiede un inconscio che possiede qualità straordinarie, coraggio infinito e una forza che non viene quasi mai sfruttata; dalla profondità di queste potenzialità, l’Ebreo può trarre tutti gli strumenti per influenzare positivamente il suo modo di essere, di vivere e di confrontarsi col mondo che lo circonda. La parte di noi stessi che conosciamo e ci è rivelata è invece quella superficiale, esterna, che di per sé è corrotta dai nostri errori ed inquinata dalla manifestazione fisica dei nostri malesseri spirituali, ma non solo: la maggior parte del propellente che spinge la nostra materialità ad emergere è dovuta ad interventi esterni che muovono le nostre azioni ed anche i nostri pensieri. Questo fa sì che il nostro inconscio spirituale sia soffocato, non possa esprimersi e ciò impedisce alle nostre forze positive e spirituali di intervenire per il nostro benessere., provocandoci un malessere talmente persistente da non essere più riconosciuto come tale.

La Teshuvà, il ritorno, è possibile solamente attraverso una crescita individuale. L’obiettivo della crescita -qualsiasi essa sia – è quello di posizionare e sfruttare correttamente tutte le nostre facoltà ed i nostri poteri, nonché il nostro talento e le nostre ambizioni, senza farci confondere da elementi esterni erroneamente definiti come “naturali”, ossia inevitabili, imprescindibili.
Dio ha creato sia il mondo che l’uomo dando ad entrambi tutti gli strumenti per crescere, sia materialmente che spiritualmente; quando questo ordine viene sovvertito, quando l’apparente normalità prende il posto di ciò che il Signore ha ordinatamente sistemato, il risultato può essere solo danno e catastrofe.

Sotto questo punto di vista non si parla più solo di “ritorno verso Dio”, ma di “ritorno a noi stessi”.
Trattandosi di crescita e non di cambiamento repentino, questo deve avvenire per gradi e ci sono dei passaggi che non possono essere saltati: pensare di trasformarsi in “zadik” non porta alla crescita, ma probabilmente al fallimento.
Gli step necessari al nostro sviluppo passano per una conoscenza graduale della Santità e rappresentano un percorso che non ha mai fine; la ricerca del proprio benessere non si può fermare perché i misteri della vita ci pongono di fronte a continue scelte che possono radicalmente cambiare il nostro Io.

Il primo passo consiste nel conoscere i propri limiti e nel tentare di riparare ciò che siamo in grado di riparare; a volte è più facile aspirare a ciò cui non arriveremo mai, evitando così di concentrarci su ciò che oggi saremmo invece in grado di affrontare e di cambiare!

Scendendo nel pratico, Rav Kook afferma che esistono due tipologie di Teshuvà: una specifica, una più generica. Quella specifica intende cercare di espiare una precisa colpa che ci assilla, contro la quale la nostra anima combatte e soffre ogni giorno fino a liberarci dal suo peso.
La Teshuvà più generica non si riferisce ad una precisa colpa, ma è scaturita da un senso articolato di malessere che ci fa sentire come impotenti di fronte al peso dei nostri innumerevoli errori. La conseguenza di questo stato d’animo è l’allontanamento dalla Divinità e la mancanza di autostima: da qui può iniziare il vero processo di Teshuvà.
Il primo step consiste nell’individuare chiaramente ciò che è bene e ciò che è male, quindi usare le nostre forze per allontanarci da ciò che è sbagliato e per avvicinarsi a ciò che è giusto. Il rischio di questo processo è tuttavia quello di disperarsi e perdere speranza di fronte alla presa di coscienza dei propri errori; quando si decide di intraprendere questo percorso di miglioramento delle proprie emozioni, dei propri pensieri e delle proprie azioni, viene risvegliata quella parte nascosta del nostro inconscio che ci illuminerà la strada mostrandoci un cammino chiaro e definito. Questa decisione va presa individualmente ed è molto raro che siano elementi esterni a convincerci di cambiare le nostre attitudini.
Nel prossimo appuntamento, vedremo alcune modalità pratiche per intraprendere questo cammino personale.

(Foto: Emanuele Luzzati, Le celebrazioni di Rosh ha Shanà)