Appunti di Parashà a cura di Lidia Calò
Cherut è la libertà che nasce in una società in cui le persone non solo conoscono la legge, ma la studiano fino a inciderla nel proprio cuore, come i Comandamenti furono incisi sulla pietra. Questo è il contributo unico del popolo ebraico: essere una nazione di giuristi, perché solo quando la legge è incisa nelle anime si può realizzare la libertà collettiva senza sacrificare quella individuale.
Assistere alla nascita di una nuova idea è un po’ come osservare la nascita di una galassia attraverso il telescopio spaziale Hubble. Possiamo assistere proprio a un evento del genere in un famoso commento rabbinico su un versetto chiave della Parashà di questa settimana.
Per comprenderlo, poniamoci questa domanda: qual è la parola ebraica per “libertà”? Istintivamente rispondiamo cherut. Dopo tutto, diciamo che Dio ci ha portato me-avdut le-cherut, “dalla schiavitù alla libertà”. Chiamiamo Pesach, la Festa della Libertà, Zeman Cheruteinu.
Perciò sorprende scoprire che né la Torà né l’intero Tanach usano mai la parola cherut nel senso di libertà. L’unico caso in cui appare questa radice è con un termine simile, charut, in un contesto completamente diverso.
Esistono invece due parole bibliche per libertà.
1. Chofshi/Chofesh, utilizzata in relazione alla liberazione degli schiavi (Esodo 21:2). È anche la parola presente nell’inno nazionale israeliano, Hatikvah, che parla della “speranza di duemila anni di essere un popolo libero (am chofshi) nella nostra terra”.
2. Dror, usata in riferimento all’anno del Giubileo e incisa sulla Campana della Libertà a Filadelfia: “Proclamerete la libertà (dror) in tutto il paese per tutti i suoi abitanti.” (Levitico 25:10) Lo stesso termine compare nelle parole profetiche di Isaia: “…per fasciare i cuori spezzati, per proclamare la libertà (dror) ai prigionieri.” (Isaia 61:1)
Tuttavia, i Saggi coniarono un nuovo termine. Ecco il passo in cui appare: “Le Tavole erano opera di Dio, e la scrittura era scrittura divina, incisa (charut) sulle Tavole” (Esodo 32:16).
I Maestri interpretano: “Non leggere charut (incisa), ma cherut (libertà), perché l’unico veramente libero è colui che si occupa dello studio della Torà.” (Pirkei Avot 6:2)
Il riferimento è alle prime Tavole date da Dio a Mosè prima del peccato del Vitello d’Oro. Questa è l’unica occorrenza della radice ch-r-t (con la lettera tav) nel Tanach, mentre una parola simile con la lettera tet, cheret, appare nel racconto del Vitello d’Oro, quando la Torà dice che Aronne lo modellò con un “strumento da incisione”. Anche i maghi egiziani sono chiamati chartumim, probabilmente perché incidevano geroglifici.
Come ha fatto una parola che significa “inciso” a diventare sinonimo di “libertà”?
Perché era necessario un nuovo termine per libertà? Se la lingua ebraica ne aveva già due, perché introdurne un terzo? E perché proprio da una parola che significa “incidere”?
Per rispondere, dobbiamo fare un po’ di “archeologia concettuale”.
* Chofesh/Chofshi descrive lo stato di uno schiavo liberato: è libero di fare ciò che vuole, senza padroni. Questa parola è legata a chafetz (“desiderio”) e chapess (“cercare”). Chofesh è la libertà di inseguire i propri desideri, ciò che i filosofi chiamano “libertà negativa” – assenza di costrizioni.
* Ma questa libertà non è sufficiente per una società. Un mondo in cui ognuno fa ciò che vuole non è una società libera, bensì un’anarchia. Sarebbe paragonabile ai disordini nelle strade di Londra e Manchester nell’estate del 2011, con saccheggi e violenze. Oppure assomiglierebbe agli Stati falliti di oggi: paesi senza legge, senza un governo efficace, senza una polizia onesta o tribunali indipendenti. Sarebbe ciò che Hobbes chiamava “la guerra di tutti contro tutti”, in cui la vita è “solitaria, povera, brutale e breve”.
Per questo una società libera ha bisogno di leggi. Ma la legge è una restrizione della libertà: vieta di fare certe cose. Come possiamo allora conciliare legge e libertà? Per rispondere, i Saggi compirono un salto concettuale straordinario.
Immaginiamo due modi di scrivere nell’antichità:
1. Inchiostro su pergamena: l’inchiostro è un elemento separato, applicato sulla pergamena, e può essere cancellato.
2. Incisione su pietra: il testo è scolpito nella pietra stessa, diventando parte di essa, e non può essere facilmente rimosso.
Ora applichiamo questa metafora alla legge:
* Se la legge è imposta dall’esterno, la si rispetta solo per paura della punizione. Se non c’è il rischio di essere scoperti, si può violarla. Questa è una limitazione della libertà.
* Ma in una società dove le persone rispettano la legge perché la conoscono, la studiano, la comprendono e l’hanno interiorizzata, la legge diventa parte della loro identità. Non hanno più desiderio di trasgredirla perché sanno che è sbagliato. Questo è un sistema senza bisogno di polizia, basato non sulla coercizione esterna, ma sulla trasformazione interiore attraverso l’educazione. Questa è la libertà che deriva da una legge incisa nei cuori.
Immaginiamo una società del genere:
* Le persone camminano per strada senza paura.
* Non servono mura alte o allarmi per proteggere le case.
* Si può lasciare l’auto aperta senza timore di furti.
* La gente rispetta la legge perché si preoccupa del bene comune.
Ora immaginiamo una società opposta:
* Ha bisogno di una forte presenza di polizia, telecamere di sorveglianza, sistemi di sicurezza.
* Eppure le persone hanno paura di uscire di notte.
* Pensano di essere libere, perché credono che “tutta la moralità sia relativa”, ma vivono costantemente nel timore.
Nessuno può considerare davvero libera una società simile. Gli individui possono essere liberi, ma la società nel suo insieme è in uno stato di allerta permanente.
Ecco perché i Maestri hanno introdotto il concetto rivoluzionario di cherut: la libertà che nasce in una società in cui le persone non solo conoscono la legge, ma la studiano fino a inciderla nel proprio cuore, come i Comandamenti furono incisi sulla pietra.
Dove hanno trovato questa idea i Saggi? Probabilmente nella profezia di Geremia sul rinnovamento del patto dopo l’esilio babilonese: “Metterò la Mia legge nelle loro menti e la scriverò nei loro cuori.” (Geremia 31:31-33)
Molti secoli dopo, Giuseppe Flavio scrisse che questa visione era diventata realtà: “Chiunque tra noi venga interrogato sulle nostre leggi, le reciterà con la stessa facilità con cui dice il proprio nome. La nostra educazione ci ha resi tali che le leggi sono come incise nelle nostre anime.”
Ancora oggi, molte persone non comprendono questa idea rivoluzionaria. Pensano che una società libera nasca semplicemente con elezioni democratiche. Ma la democrazia può diventare “la tirannia della maggioranza”.
La vera libertà nasce nelle scuole e nelle case di studio. Questo è il contributo unico del popolo ebraico: essere una nazione di giuristi, perché solo quando la legge è incisa nelle anime si può realizzare la libertà collettiva senza sacrificare quella individuale.
Questa è cherut – il grande dono dell’ebraismo all’idea e alla pratica della libertà.
Scritto dal Rabbino Sacks nel 2012