Festival / Il faticoso viaggio verso Medinat Israel

di Jonathan Misrachi

war2part20_037«Il cammino verso la libertà del popolo ebraico è stato molto più faticoso e difficile di quello che hanno conosciuto Paesi come l’Italia, che pure di difficoltà ne ha incontrate tante. Il fatto è che Israele e il suo popolo non hanno mai potuto vivere in pace, ed è in questo senso che la costruzione della libertà è stata sempre un’impresa ardua».Così parla Stefano Rodotà a proposito del tema della seconda edizione di Jewish and the city, incentrato sulla liberazione dalla schiavitù, sulla libertà e sui diritti civili, tematiche centrali della sua attività politica e di pensiero. Giurista, accademico, politico e mancato Presidente della Repubblica, per un soffio, durante le elezioni del 2013, Rodotà racconta che quand’era componente dell’Assemblea parlamentare del consiglio d’Europa, andò in Israele dove conobbe Shimon Peres e Ariel Sharon. Di quell’incontro conserva il ricordo di un dettaglio impalpabile: il senso di tragedia che emanava da entrambi gli statisti e la tumultuosa storia che avevano alle spalle.
Quando gli si chiede un paragone fra il cammino per la libertà seguito dal popolo italiano e da quello ebraico, Rodotà risponde che «l’Italia, dalla sua nascita, ha avuto un percorso meno complicato, nonostante il periodo fascista abbia pesato enormemente in termini di perdita di libertà e di diritti sociali, periodo nel quale erano impensabili libertà di stampa, manifestazione libera del proprio pensiero e costituzione di sindacati. Il recupero di questi valori nell’immediato dopoguerra, fu veloce; l’esperienza fascista stimolò una rapida apertura nei confronti della libertà, com’è possibile vedere nella prima parte della Costituzione: qui si legge che la libertà non è negoziabile e non può essere limitata, e questo principio diverrà una colonna portante e vitale dello Stato Italiano, cosa che gli consentirà di guardare al futuro in modo totalmente nuovo rispetto al passato». Per quanto riguarda Israele, Rodotà sostiene che «la storia del popolo ebraico si sviluppa sulla scorta di una forte esigenza di libertà, figlia di una condizione di esclusione e di discriminazione costante che sfociò nell’eliminazione». Non si può parlare del cammino della libertà del popolo ebraico senza nominare la Shoah, «seppure io usi questa parola con molta prudenza, poiché il riferimento alla Shoah va sempre maneggiato con molta cura; sullo sfondo della storia dello Stato d’Israele vi è questa vicenda storica unica, senza paragoni, e la sopravvivenza a questa tragedia ha illuminato il cammino della ricerca della libertà così come oggi la concepiamo»
Rodotà cita il kibbutz come «esperienza determinante per la creazione di un riconoscimento reciproco delle parti sociali e delle varie componenti di un Paese, se si pensa di voler arrivare alla costruzione di uno Stato»; Rodotà ricorda che «alla sua nascita, Israele, era composta da persone che venivano da mondi ed esperienze differenti tra loro, e il kibbutz ha rappresentato una straordinaria occasione di amalgama di queste culture così antipodiche». Seppur coi propri pregi e difetti, «anche il kibbutz fu apparentemente un luogo di limitazione della libertà per quanto riguarda la proprietà privata e la pianificazione della propria vita. Tuttavia era un modo, nel momento in cui si era chiamati a edificare uno Stato, per far assumere a tutti una responsabilità comune, un modo per agire la costruzione di un Paese, sulla scorta di una storia millenaria molto solida ma con un’attualità molto fragile ed esposta alle difficoltà esterne».
A questo punto, spiega il giurista, il problema drammatico del riconoscimento dell’altro si ripresenta con la questione del conflitto israelo-palestinese che «rimane un punto chiave molto difficile e che mantiene aperta all’interno dello Stato una ferita tragica», poiché oggi «Israele si trova a vivere in un contesto in cui le condizioni sono sempre più difficili anche a causa della presa Jihadista e della sua affermazione nella Striscia di Gaza». Sono in tanti ad avere pesanti responsabilità sulla questione mediorientale, sostiene Rodotà: «ad esempio l’Europa che affidò a Tony Blair il compito di occuparsi della questione senza che egli combinasse nulla, se non girare l’Europa a tenere conferenze ben retribuite e consulenze milionarie». Mentre la mossa (squisitamente politica, specifica Rodotà), compiuta da Papa Bergoglio invitando Peres e Abu Mazen al Vaticano «è stata un importante tentativo di dialogo, subito interrotto e rimesso in discussione da parte di chi non riteneva fosse una strada praticabile quella del negoziato, del compromesso e l’arrivo ai due popoli, due Stati che potessero godere di propria autonomia e di reciproco riconoscimento. Oggi, Israele e il suo popolo, devono fare i conti con questa realtà, che ne insidia il millenario cammino verso la libertà». Parafrasando Dante viene da dire, “libertà va cercando che è sì cara come sa chi per lei, vita… sta ancora pagando”.