Quell’irascibile di Jackson Pollok

di Daniele Liberanome

In Pollock e gli Irascibili, aperta a Palazzo Reale fino a febbraio, non sono esposti dei semplici quadri, ma vere e proprie  tracce. Tracce per capire come il miracolo economico del dopoguerra si sia riflesso nell’arte, come la comunità ebraica americana sia diventata un baricentro del mondo culturale americano, perfino come l’Occidente abbia combattuto la Guerra Fredda sul fronte dell’arte e come oggi rifletta su quegli anni.

Già, perché la mostra propone una carrellata di tele (e una scultura) di tutti i membri del movimento degli “Espressionisti Astratti” che, a partire dal 1950, contribuirono in modo decisivo a fare di New York la capitale dell’arte mondiale soppiantando Parigi. Operazione scontata, si dirà: l’Europa era distrutta dalla guerra, mentre gli Stati Uniti erano diventati leader politici occidentali. Vero; però, dopo la Prima Guerra Mondiale la Francia era economicamente ben più in ginocchio e anche allora era assai più debole del Regno Unito.

In effetti, fu grazie alla creatività di Pollock e soci, che mezzo mondo tornò a privilegiare l’arte l’astratta che veniva da New York, dopo che nell’Europa degli anni ’30 erano tornate di moda le opere figurative. L’astrattismo di quegli artisti non aveva niente a che fare con quello di un Kandinsky, era istintivo, non basato su teorie (sul significato dei vari colori, su come andassero stesi sulla tela), e contrapposte all’arte ufficiale dell’Ottocento con i suoi bei ritratti di borghesi o all’Impressionismo.

Pollock e gli altri erano tutti proiettati nel secondo Novecento, a ritrarre il mondo che li circondava dipingendo le proprie emozioni, senza pensarci su. Pollock, ad esempio, aveva studiato le opere degli indiani d’America e il surrealismo europeo, ma creava le sue opere, schizzando il colore a ritmo di danza, ogni giro con un colore diverso, fino a creare sovrapposizione di mondi distinti, ma componendo un unico tessuto. Con Pollock, è come se guardaste dall’alto di un grattacielo, il viavai negli uffici e sui marciapiedi: apparentemente è un turbinio insensato, una corsa forsennata avanti e indietro, a destra e a sinistra, senza alcuna meta ben comprensibile. Tutto insieme, però, questo moto è la vita di una metropoli, è il cuore della nostra attività quotidiana. Pollock è innamorato del movimento non meno dei Futuristi, ma non lo analizza scientificamente, in modo distaccato; lo incarna lui stesso.

Se Pollock non era ebreo, quasi tutti gli altri espressionisti astratti lo erano, da Gottlieb a Motherwell, da Kline alla Frankenthaler, da Guston a Rothko – e tutti sono ancora oggi delle star del mercato. La loro matrice ebraica è ben meno evidente di quella di Chagall, sia perché non rappresentano niente di immediatamente comprensibile, sia perché provenivano in buona parte da un ebraismo già ampiamente assimilato, chiaramente Reform. Resta però il fatto, che in molti di loro si ritrova la tipica modalità di dibattito talmudico fra idee forti, ben definite, che si scontrano fra loro e, così facendo, comprendono meglio la realtà che li circonda; crescono attraverso la disarmonia, non con l’armonizzazione forzata di idee diverse, che ha un sapore molto più cristiano. Guardate allora le grandi tele di Rothko, esposte nell’ultima sala della mostra, formate da losanghe di colori ben distinti e contrapposti fra loro, ossia personalità, posizioni apparentemente inconciliabili. Non esiste alcuna sfumatura di colore nel passaggio fra una losanga e l’altra, cioè nessuna posizione si svilisce pur di andare d’accordo con l’altra. Ma è proprio la presenza contemporanea di questi colori diversi che crea un impatto visivo forte, un mondo molto ben più interessante di quello proiettato da una monocromia omogenea.

Certo il successo di questi artisti è dovuto anche all’attivismo della grande macchina organizzativa USA, attraverso l’acquisizione in massa delle loro opere da parte di musei come il MOMA o la lauta sponsorizzazione di mostre mandate poi in giro per l’Europa. Del resto l’Espressionismo Astratto si contrapponeva, come più non si può, al realismo comunista con i quadri degli operai muscolosi o le parate dei notabili di partito (avete presente Guttuso di quegli anni?). La mostra, fin dalla sua prima sala, ci vuole invece dire che Pollock e soci erano degli “irascibili”, non inquadrati e non inquadrabili in alcun programma comunicativo mondiale. Puri alfieri della libertà.

Pollock e gli Irascibili. La scuola di New York, Palazzo Reale, fino a 16 febbraio 2014