sinagoga di Praga

Kesher: fra ebraismo, leggenda e apertura culturale, il Maharal di Praga raccontato da Rav Della Rocca

di Roberto Zadik
Sospeso fra storia e leggenda, uno dei pilastri dell’ebraismo internazionale, passato alla storia per aver creato il “suo” Golem, Rabbi Yehuda Loew detto il Maharal di Praga, è una figura di riferimento fra i commentatori della Torah. Ma chi era e come mai è stato così importante?

Il suo pensiero, la sua energica personalità e il tormentato contesto storico in cui visse sono state approfondite da Rav Roberto Della Rocca durante l’interessante approfondimento tenutosi su Zoom, giovedì 8 febbraio e inserito nel ciclo dei grandi Maestri dell’ebraismo. Organizzato da Kesher e da Paola Boccia, l’approfondimento è cominciato con la premessa in cui il Rav ha ricostruito l’incerto percorso biografico del “padre” del Golem”.

“Non si sa bene – ha detto – quando sia nato, se nel 1512 o nel 1525, e se la sua nascita sia avvenuta a Poznan nell’odierna Polonia o come qualcuno afferma invece in Germania nella cittadina di Worms e non è chiaro nemmeno che giorno sia venuto al mondo, visto che sono stati i suoi discendenti a fornire queste informazioni”. Proseguendo il Rav ha messo in luce che il suo soprannome Maharal di Praga deriva dal fatto che “il Maestro abbia trascorso la propria giovinezza a Praga e che successivamente sia tornato nella città natale sposandosi con una donna ebrea praghese”.

Sempre più turbato dalla situazione ebraica di quel periodo, “dopo essere stato nominato  Rabbino Regionale della Moravia – ha continuato Rav Della Rocca – si dedica assiduamente allo studio della Torah e alle questioni legate all’antisemitismo”. Coraggioso, energico ma anche impaziente e dal carattere forte e idealista, nel 1563 “molto alterato dalle condizioni critiche degli ebrei in Boemia si trasferisce a Praga e assume la direzione della Yeshivà in cui introduce un importante rinnovamento pedagogico fondato sulla valorizzazione della Mishnà e del corpo giuridico e normativo della Giurisprudenza rabbinica”.

Successivamente prima di addentrarsi nella parte concettuale e nel pensiero fascinoso e complesso del Maestro Rinascimentale, il Rav ha concluso così la parte biografica “Nei suoi ultimi anni, il Maharal tornò nella sua città natale di Poznan per recarsi a Praga convocato in udienza dall’Imperatore Rodolfo II che lo chiamò probabilmente per sviluppare interessi esoterici comuni. Svolse gli incarichi di Grande Rabbino di Poznan e dopo cinque anni divenne Grande Rabbino di Praga mantenendo quel ruolo fino alla sua scomparsa, avvenuta nell’agosto del 1609. Subito dopo egli è stato sepolto a Praga nel Vecchio cimitero ebraico e la sua tomba ancora oggi è meta di pellegrinaggio di molti che vanno lì a pregare”.

 

Il pensiero originale del Maharal e la creazione del Golem

Il Maharal visse varie problematiche, prima fra tutte la profonda contraddizione, tipica del fermento culturale rinascimentale fra la rivalutazione culturale biblica e classica, scatenata dai cambiamenti radicali storici e politici come l’avvento della stampa e il conflitto fra cattolici e protestanti, e  il rinnovato interesse per la Cabalà e la messa al bando del Talmud”.

In quel tormentato periodo dilaga l’antisemitismo e “a metà del sedicesimo secolo nascono i primi Ghetti, cresce la persecuzione e il Talmud viene censurato, il suo studio viene vietato e i suoi volumi bruciati sul rogo”. In tutto questo, ha puntualizzato Rav Della Rocca,  “sempre più ebrei si spostano verso Est e più si va avanti e più le masse ebraiche confluiscono verso l’Impero Ottomano, così come in Polonia e nell’Impero Russo”. Un’epoca di fermento e di tormento, il Rinascimento, segnato da stravolgimenti epocali come “la rivoluzione copernicana che stimola grande curiosità anche fra gli ebrei”.

Il mondo ebraico si spacca fra chi “come il Maharal intende valorizzare lo studio del Talmud e chi ne propone una lettura innovativa”. Citando un intervento di Rav Benedetto Carucci, Rav Della Rocca ricorda le dispute del Maharal con lo studioso mantovano Azariah De Rossi che, citando il filosofo Filone di Alessandria, rileggeva in modo critico il Talmud e il midrash. “Egli influì in maniera determinante sulla nascita dell’Illuminismo ebraico (Haskalà) analizzando in chiave storica i testi ebraici, mentre il Maharal valorizzò al massimo il Midrash influendo grandemente sulle correnti mistiche del Chassidismo”. Un pensiero innovativo, mistico e cabalistico, quello del Maharal, stimolato da una vasta gamma di interessi, dall’etica, alla scienza, dalla matematica alle teorie copernicane, insistendo sull’importanza dell’interpretazione e della filosofia rabbinica normativa e omiletica”.

In tutto questo quadro complesso e articolato, il Rav ha inserito la creazione del suo Golem “per proteggere gli ebrei del Ghetto dall’antisemitismo” in cui egli utilizzò le sue doti di alchimista. “Il suo carattere difficile, orgoglioso ed intransigente gli creò varie tensioni con i suoi contemporanei” ha ricordato Rav Della Rocca e pur avendo vissuto una vita lunga, ottantacinque anni e essendo stato autore di opere fondamentali, la sua fama è legata al Golem. Nella sua analisi egli ha approfondito la figura del leggendario Golem “questo termine compare nei Salmi del Re Davide, Tehillim, e definisce l’ammasso di creta e argilla che formava Adamo e si chiamava così prima che il Soffio Divino gli desse vita rendendolo il Primo Uomo.” Ma come e quando agiva il Golem? “Nei momenti difficili per il popolo ebraico della città, il Maharal metteva in bocca alla sua ‘creatura’ una tavoletta col Nome Divino e per interromperne l’azione egli cancellava la Aleph della parola Emet (Verità) su quella tavoletta che diventava “Met” (che significa “Morto”) ed egli si fermava. Secondo la leggenda – ha raccontato il Rav – il Maharal fabbricò il Golem perché lo aiutasse nelle faccende comunitarie e per difendere gli ebrei, plasmandolo col fango della Moldavia e fondendo acqua e terracotta”.

Una volta però successe qualcosa di molto grave. La leggenda dice che “un venerdì egli si dimenticò di levare la tavoletta dal Golem che cominciò a distruggere tutto, così gli tolse la tavoletta e tornò un ammasso di creta”. Ma quale fu la peculiarità del Maharal? “Egli fu un  uomo del suo tempo che però volle aprire la sua epoca ad altre epoche e dare una visione metastorica alla dimensione ebraica. Egli rivoluzionò una serie di concetti, il suo cavallo di battaglia fu il Midrash, fu contrario alle disquisizioni talmudiche troppo tecniche e a una osservanza automatica ma volle rinnovare l’approccio all’ebraismo radicandolo nei cuori“.

Dopo la cacciata dalla Spagna degli ebrei sefarditi,  Rabbi Yehuda Loew venne molto attratto dal misticismo degli ebrei sefarditi che portarono la loro “fiamma mistica verso l’Olanda e l’Oriente e uno dei suoi discepoli fu il grande Yom Tov Lipman divulgando un approccio mistico che inciderà moltissimo nel Chassidismo”.

Nell’ultima parte del suo approfondimento Rav Della Rocca ha citato un testo molto importante come Il Pozzo dell’esilio del filosofo Andrè Neher in cui viene approfondito “il concetto metafisico del Maharal al di sopra della natura”. In quello scritto vengono enunciati alcuni pensieri davvero originali del grande Saggio rinascimentale. Fra questi l’importanza del numero Otto invece che come si pensa del Sette, associato all’Infinito e alla mistica, che spiega come  esso oltrepassi il mondo fisico e che per questo “sia la circoncisione sia le festività di Channuccà e di Pesach durano otto giorni”. In quel testo vengono esposti altri due concetti molto originali espressi dal Maharal come la riflessione sulla differenza fra Esilio (Golà) e Redenzione (Gheullà) respingendo l’esilio come punizione Divina ma concependolo come “fase dialettica che porta in pectore la redenzione momento di dispersione necessaria per la riunificazione del popolo”.

Rav Della Rocca ha poi concluso il suo approfondimento portando l’interpretazione del Maharal sull’Esilio citando il Talmud e un Midrash contenuto nel trattato di Berachot, pagina 3 che lo paragona alla notte. “L’esilio del popolo” ha detto il Rav secondo questa interpretazione” si divide in tre fasi: Il raglio dell’asino, l’abbaiare dei cani e la conversazione fra lo sposo e la sposa mentre lei allatta il neonato”. “Riguardo all’asino, esso rappresenta la sofferenza del popolo ebraico, dopo il crollo dei due Santuari, viene schiacciato da babilonesi e romani oppresso come l’asino e costretto nella materia, secondo il gioco di parole fra i termini Chamor, asino e Chomer, materia”. “I cani che abbaiano invece rappresentano sia la ferocia delle persecuzioni medievali, delle crociate e dei pogrom, sia la fase attuale di dialogo, anche se oggi è molto difficile, e nel Rinascimento si viveva in tempi di relativa tranquillità”.

L’ultima metafora degli sposi “è la partnership nell’esilio fra il nostro popolo e gli altri, l’emancipazione e il Maharal inserisce il destino di Am Israel in una fase universalistica e non chiusa in se stessa”.

Prossimo incontro, lunedì 12 febbraio in cui Rav Piperno illustrerà la figura di Don Itzhak Abravanel.

 

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