La mancata epurazione nella magistratura italiana dopo il fascismo

Kesher

 di Michael Soncin
«Molte persone danno per scontato che dopo il 25 aprile del 1945 tutto ritorni come prima. Non è stato così. Il libro di cui parliamo oggi cerca dopo 80 anni, di fare i conti col passato. Lo sappiamo, un paese ha bisogno di tempo per rielaborare la propria memoria, non è cosa facile, ancora meno se in quel paese ci sono stati così tanti magistrati alla fine del fascismo, che si sono riciclati senza molti problemi all’interno dello Stato italiano».

L’argomento introdotto dal giornalista Davide Riccardo Romano, che riguarda la situazione italiana nell’immediato dopoguerra, è risaputo essere uno dei temi fino ad oggi, meno approfonditi e di conseguenza meno affrontati nei dibattiti. L’occasione per parlarne durante la conferenza organizzata da Kesher sotto la guida di Paola Hazan Boccia è stata la presentazione del saggio L’epurazione mancata. La magistratura tra fascismo e Repubblica a cura di Antonella Meniconi e Guido Neppi Modona.

Le radici del fascismo valicano il 1945

Romano ricorda la figura di Gaetano Azzariti (1881-1961) che da presidente del Tribunale della razza, arriverà pochi anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale, ai vertici della Corte costituzionale. Tra le altre assurdità di quel periodo una fra tutti forse riguarda gli ebrei italiani che furono multati dal fisco, per non avere pagato le tasse tra il 1940 e il 1945.

«Basta conoscere un minimo di storia per comprendere che è imbarazzante chiedere le tasse a chi è stato perseguitato. Ma questa è solo la punta dell’iceberg. Gli ebrei cacciati dal posto di lavoro nel 1938 non vennero automaticamente integrati. Ci furono docenti universitari a cui fu negata la reintegra. Alcuni fecero causa, ma la riammissione non avveniva in base al curriculum, bensì secondo criteri geografici: al tribunale di Torino riuscivano a ritornare alle cattedre fino al 90%, la sconfitta riguardava invece il Lazio, con un successo del 10-15%».

Continuità e discontinuità

«Il tema dell’epurazione mancata non è soltanto il problema di ciò che è venuto a difettare, a mancare dopo che un regime si è consumato, ma rilancia una questione di fondo che è trasversale a istituzioni e alla stessa società italiana: quella della continuità e discontinuità rispetto all’esperienza fascista in quanto tale», ha spiegato il professore Claudio Vercelli.

«È un volume prezioso, scritto con rigore scientifico, che affronta ampie e complesse questioni, che interessano le pubbliche amministrazioni e gli ordinamenti pubblici e civili. Sono qui raccolti otto saggi corposi per la varietà di fonti e di riferimenti. Una letteratura che aiuta a capire, quali sono i punti fondamentali della vicenda, evitando i luoghi comuni che siamo abituati ad incontrare».

L’inattuazione dei valori costituzionali

La curatrice Antonella Meniconi, docente di Storia delle Istituzioni Politiche presso l’Università la Sapienza di Roma, spiega che il tema dell’inattuazione dei valori costituzionali, che ha assillato giuristi e persone illustri come Piero Calamandrei, ha comportato che fino agli anni ‘70 i valori democratici proposti nella nostra carta costituzionale stentassero ad affermarsi. Lo stesso vale per la tarda istituzione della Corte costituzionale nel 1956, o del Consiglio superiore della magistratura nel 1958.

«Nel nostro studio iniziato nel 2017 – aggiunge Meniconi – abbiamo cercato di capire come la magistratura, che non era solo interprete, ma anche attuatrice delle leggi (e in qualche modo legislatore occulto durante il fascismo), avesse reagito al processo democratico. Dalla nostra tesi abbiamo trovato la conferma che era resistente all’innovazione, per una formazione culturale avvenuta nell’esperienza fascista e anche per un meccanismo gerarchico piramidale che connotava il sistema giudiziario».

«Siamo partiti dal saggio di Pietro Saraceno, che abbiamo riportato all’inizio del libro, perché ci sembrava fosse la base più importante. È un saggio del 1999 e prefigura un po’ alle conclusioni cui siamo arrivati. Saraceno era uno studioso della magistratura, figlio anch’esso di un magistrato, Pasquale, ucciso da un cecchino nazifascista nel 1944, sulla porta del tribunale di Firenze».

«Lo studio compiuto da Saverio Gentile sul Tribunale della razza, mette in risalto come l’avere scritto le leggi antiebraiche non fu pensato come una colpa, come attestano dei documenti che sono stati trovati. Sarebbe troppo semplicistico ridurre la questione solo ai nomi. Era la tendenza dei nuovi governanti ad avere bisogno di queste persone, che avevano una grande expertise nel campo giuridico. Così facendo però, è stata messa da parte questa partecipazione, nonostante una grande mole di documenti che acclarava il ruolo da loro svolto nel Tribunale della razza, conclude Meniconi».

Il tema delle generazioni

 «Chi sono questi magistrati e perché studiarli?». È la domanda lanciata da Francesco Campobello ricercatore del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino, autore di uno dei saggi del volume.

Campobello afferma che possiamo parlare di tre generazioni di magistrati: quelli nati a metà Ottocento, i liberali che sono ai vertici quando il fascismo arriva; quelli che si formano nel Ventennio e sono alle soglie dei vertici della magistratura, o hanno fatto una carriera veloce alla fine del regime; ed infine i giovanissimi, che entrano in magistratura negli anni in cui c’è la disillusione, la fine della guerra, la fine dell’illusione del regime, che saranno il 70% dei magistrati di primo grado formatosi al di fuori del regime.

Va ricordato, come sottolinea Caterina Arfè, autrice dell’ultimo saggio del libro dal titolo Il contributo delle fonti dell’Archivio centrale dello Stato per la storia dell’epurazione, «che l’epurazione mancata è mancata in un po’ tutte le amministrazioni, non solo nella giustizia, è mancata anche a livello di opinione pubblica, anche per quanto riguarda semplicemente la parità di genere. Le donne in magistratura non entrano subito, entrano tardi, nella prefettura la stessa cosa».

«Noi dovremmo imparare a ragionare sulle dittature trascorse e anche presenti tenendo in considerazione, che sono due facce della stessa medaglia. Le dittature non annullano quello che preesiste, lo neutralizzano o lo annacquano», conclude Vercelli.

A cura di Antonella Meniconi, Guido Neppi Modona, L’epurazone mancata. La magistratura tra fascismo e Repubblica, il Mulino, Studi e Ricerche, pp. 334, 32,00 euro