Nella casa degli anziani una sinagoga per gli tzaddikim

di Nathan Greppi

▶ Viaggio nelle sinagoghe di Milano 6a puntata
il Bet Hakenesset della residenza Arzaga

Un salone luminoso. Un ruach haKodesh, uno spirito di santità, che vibra accanto all’Aron e che s’insinua dal giardino adiacente. Una dolcezza diffusa quella che anima il tempio dell’RSA. E che ogni Shabbat e nei chaghim accoglie i residenti e gli affezionati per le preghiere in rito italiano

Un vasto salone luminoso. Un senso di tempo sospeso e di insondabile mistero. Un ruach haKodesh, uno spirito di santità che vibra intorno all’Aron e che sembra muovere il parochet insinuandosi dal giardino adiacente quando in primavera c’è la porta a vetri spalancata. Siamo nella Residenza per anziani della Comunità ebraica di Milano a Shabbat. Intorno all’Aron HaKodesh un gruppo di uomini, perlopiù anziani – a eccezione di uno o due giovani di 20-30 anni – stanno pregando. Subito dietro sbuca un matroneo, con circa dieci posti. Al termine della funzione, il kiddush, con roschette e bevande. Questo è il Tempio degli anziani, situato nella Residenza di Via Arzaga e che ospita coloro che non possono recarsi in altre sinagoghe per motivi di età o di salute. Di rito italiano, viene tenuto in vita da cinque volontari, che ogni settimana e per ogni chag allestiscomo la sinagoga e formano il minian per le preghiere.

Ma qual è la storia che sta dietro a questo tempio? A raccontarla a Bet Magazine è Roberto Attas, volontario della sinagoga: «Il tempio nasce con la casa di riposo: la prima a Milano è stata in Via Jommelli, vicino a Piazzale Loreto. La seconda è stata in Via Leone XIII, e la terza è quella di oggi. Le ultime due sedi le ho frequentate perché c’era mia madre, che è andata in cielo sei anni fa, ed è così che sono diventato uno dei volontari, tanto che per me la casa di riposo è diventata una seconda famiglia. Tutte le Case hanno avuto la stessa caratteristica: il tempio è “a scomparsa”, viene montato solamente per le festività e per Shabbat, o per le occasioni straordinarie», dice riferendosi alla recente Shivà per un signore anziano deceduto da poco. Dopo la fine delle preghiere «nel giro di cinque minuti il tempio, a parte l’Aron HaKodesh, torna a essere un salone della casa di riposo, che può essere usato anche per un concerto di pianoforte o per la proiezione di un film». Per quanto riguarda l’età e il sesso delle persone che vengono in questo tempio, Rav Michi Nazrolai spiega: «in generale nella casa di riposo ci sono più donne che uomini; gli uomini che vengono a pregare sono 5 o 6. Tutte le carrozzine con uomini che hanno malattie gravi, quali l’Alzheimer, vengono portate qui. Poi c’è un forte contributo di persone che vengono dall’esterno, soprattutto di Shabbat e per le feste: parenti dei residenti o persone affezionate a questo tempio pur non avendo parenti qui».

Oltre a Rav Nazrolai e Roberto Attas gli altri volontari sono Giacomo Sassun, Baal korè, che da sette anni legge la Parashà a ogni Shabbat, Ettore Scandiani e Maurizio Camerini che è anche Hazan da oltre 15 anni.
Ma come è cambiato il numero di persone che vengono qui nel corso degli anni? «Non abbiamo mai avuto problemi nel formare il minian di Shabbat mattina, nemmeno a Ferragosto – spiega Attas -. Invece facciamo fatica alla vigilia di Shabbat, specialmente in estate, perché se non arrivano persone esterne, i pochi residenti non possono avere la funzione». Attas ha voluto inoltre condividere una riflessione molto personale sulla situazione attuale: «Noi siamo un tempio molto particolare, per persone che non possono uscire dalla Residenza per motivi di età o di malattia. Siamo al centro della comunità, e intorno a noi ci sono altre cinque sinagoghe: due nella Scuola, due in Via Soderini e il Noam, il tempio dei persiani. Non riusciamo a capire per quale ragione, nonostante io stesso abbia scritto in passato diversi appelli, non arrivino anche solo tre o quattro persone dalle altre sinagoghe per aiutarci a fare il minian, dal momento che le persone in carrozzina non possono certo cambiare sinagoga. Se le altre sinagoghe sono piene – e spesso lo sono – potrebbero aiutarci, rispettando uno dei principi cardine della Torà: aiutare sempre il prossimo».

Nella foto, da sinistra: Roberto Attas, Rav Nazrolai, Ettore Scandiani