E venne il Giorno

Ebraismo

di Rav Roberto Della Rocca

Nel Talmùd si dedica un intero trattato al giorno di Kippùr che, paradossalmente, non è chiamato “Yom Kippùr” ma “Yomà”: “il Giorno”. Da ciò si può desumere l’importanza di tale giorno, come se i Maestri volessero insegnare che il giorno per antonomasia è quello di 25 ore che viviamo durante Yom Kippùr. Spesso si tende, tuttavia, a soppesare l’aspetto morale – anziché l’aspetto etico – di questa giornata rischiando così di farla diventare statica, un’occasione in cui ognuno ripromette a se stesso di cambiare senza che questa decisione abbia un reale effetto sulla vita quotidiana che si vive durante l’anno. I nostri Maestri si sono ampiamente posti questo problema chiedendosi se “Yom Kippùr mechappèr…” “il giorno del Kippùr espia..”, indipendentemente da alcuna parte attiva umana in questo processo. L’Eterno ci perdona anche in assenza di nostre precise azioni, oppure deve esserci da parte dell’uomo almeno una volontà e una richiesta di perdono? Sembra evincersi dalle discussioni che, se la Teshuvà – il processo di pentimento e di ritorno – ha delle regole ben precise, ci sono situazioni in cui la risposta Divina sembra non dipendere da tutto questo. Nell’episodio narrato nella Torah in cui Moshè intercede presso il Signore affinché conceda il perdono al popolo ebraico dopo la colpa del vitello d’oro, Moshè dice: “perdona questo popolo..…perché dovrebbero dire i popoli che tu lo hai fatto uscire per sterminarlo?…” In seguito il Signore risponderà “Ho perdonato secondo le tue parole, secondo quanto hai detto”. La risposta Divina non è molto chiara in quanto l’Eterno si riferisce alla frase di Moshè definendola come “devarìm” parole e non come preghiera. I Maestri si domandano quali siano queste “parole” secondo le quali il Signore perdona il popolo. Rashì spiega che il Signore perdona affinché non perda credibilità agli occhi degli altri popoli, che potrebbero giungere alla conclusione che Egli abbia deciso di salvare il popolo ebraico dall’Egitto per poi distruggerlo nel deserto. Il Signore, sensibile a questa argomentazione, perdona rispondendo a Moshè “Salachti chidvarecha”, “ho perdonato secondo le tue parole, secondo quanto hai detto”.

Rashì, nel suo commento, vuole sottolineare uno fra i ruoli fondamentali del popolo ebraico: quello di salvaguardare la credibilità dell’Eterno. Questo ruolo è reso spesso difficile dal corso della storia che, a causa delle sofferenze inflitte al popolo ebraico, tende a far perdere credibilità a Israele e quindi al Signore che deve proteggere questo popolo.

Questo ci illumina su un altro precetto della Torà, quello del “Chillul HaShem”. “Non renderete profano il Nome di Dio…”. Rendere profano il Nome di Dio è lasciare che questo Nome venga determinato dalla storia tout court, mentre il “Kiddush HaShem” la santificazione del Nome si costruisce nelle Toledòt, nelle generazioni, nel far nascere e nel far sviluppare l’insegnamento della Torà. La Teshuvà non è una cancellazione automatica di ciò che si è fatto di male e non sempre si può tornare allo stato in cui ci si trovava prima di commettere la colpa. Il Maharàl insegna tuttavia che, attraverso la teshuvà, si ha la possibilità di arrivare molto più in altro rispetto a quello che ci si potrebbe aspettare .

Una fra le parti importanti nella Tefillà del Kippùr comincia proprio con le parole “..uzkor lanu ajom Berit Shelosh esrè…”- “facci ricordare oggi il patto dei tredici”. Questo patto è stipulato tra il popolo ebraico e l’Eterno dopo la colpa del vitello d’oro. Dopo tale episodio Moshè Rabbenu chiede al Signore di mostrare il Suo volto ma, essendo impossibile per l’uomo guardare in faccia la Gloria Divina e rimanere in vita, Dio mostra la Sua parte posteriore mentre vengono pronunciate le 13 middòt, i 13 attributi della Misericordia Divina. Il Signore promette che farà vedere al popolo dei prodigi che nessun altro ha mai visto, ma la Torà non descriverà mai di cosa si tratti realmente. Il Rambàn insegna che questi prodigi sono compresi nella frase che dice: “Eiè Immàch bamuflè uvamechussè” “Sarò con te in modo palese ed in modo nascosto”. Il prodigio consiste nel fatto che il Signore sarà con Israele in modo lampante e nascosto. Nel giorno di Kippùr gli ebrei si riuniscono nei Batè Hakenesset per ricordare questo patto ed è come se implicitamente chiedessero al Signore di fare una teshuvà completa che possibilmente non tenga conto delle colpe commesse che hanno rovinato il livello di kedushah di ognuno, proprio in virtù del patto che dice che l’Eterno sarà con il popolo anche in modo occulto nonostante le evidenti mancanze. In questo giorno le Tefillòt del popolo ebraico sono rivolte a Dio affinché metta in atto la Sua promessa di “salachti chidvarecha” “ho perdonato secondo le tue parole”, e ogni singolo ebreo accetti su di sé il compito fondamentale del “Kiddush HaShem”, di santificare il Nome di Dio in questo mondo.