Rav Roberto Della Rocca

Yom HaTorà, un bilancio

Ebraismo

di Ester Moscati

Rav Roberto Della Rocca
Rav Roberto Della Rocca

La Torà va studiata ogni giorno della vita, non è una cosa facoltativa, una cosa da un solo giorno. È uno dei valori fondanti dell’ebraismo. È un dovere, per ogni ebreo, fin dalla più tenera età, fin dal momento che si acquisisce la capacità di comprendere. Tuttavia l’Unione, così come organizza il Giorno della Memoria e la giornata della Cultura ebraica, che sono eventi destinati soprattutto ad un pubblico esterno alle Comunità, ha ritenuto di istituire un giorno per studiare Torà tutti insieme, per avvicinare a questa mitzvà coloro che abitualmente non la seguono”. Così spiega rav Roberto Della Rocca, direttore del Dec-Ucei e promotore della prima edizione di Yom HaTorà. L’evento è stato dedicato a rav Elia Samuele Artom z’l’, Maestro e punto di riferimento di tanti rabbini che operano oggi in Italia, scomparso a metà degli anni Sessanta. I suoi discepoli ricordano che lo studio della Torà per lui era un impegno costante, ne aveva fatto il perno della propria vita. Ogni momento della sua esistenza era dedicato allo studio e all’insegnamento della Tradizione. In tutte le comunità italiane, in contemporanea, è stato recitato il Kaddish in suo onore.

“Questa giornata nasce dunque per dare una sollecitazione ad ogni ebreo, attraverso il confronto con i Maestri, con gli esperti della materia. E si è scelto di dedicare le lezioni e i dibattiti al tema dell’ammonimento”. Il convegno pomeridiano, in particolare, aveva un titolo assai esplicito e forse anche difficile da digerire: “Si ammoniscono i fratelli: il divieto ebraico di farsi gli affari propri. Quale rapporto tra osservanti e non osservanti nell’ambito dell’Halachà?”.

È un tema difficile da affrontare in una società dove l’individualismo e l’egoismo dilagano. Come ammonire qualcuno senza offenderlo, ma facendo in modo che recepisca l’ammonimento? “Nell’ottica ebraica la capacità di ammonire, e quella -speculare – di accogliere l’ammonimento, sono valori aggiunti”, spiega ancora rav Della Rocca “Non si cresce senza ammonimenti”.

“Una efficace metafora dell’ebraismo è quella della barca. Tutti siedono l’uno accanto all’altro sulla panca lungo lo scafo. Ad un certo punto uno inizia a fare un buco sotto il proprio sedile e quando gli altri cercano di fermarlo risponde ‘che vi importa, lo faccio sotto il mio posto’. Naturalmente tutta la barca affonda. La Torà dice ‘Non odiare il tuo prossimo nel tuo cuore’. Non dice solo di non odiare, ma di non farlo ‘dentro di sé’. Se il nostro prossimo, il nostro fratello, ci suscita rabbia, rancore, dobbiamo dirglielo, non tenercelo per noi”.

Naturalmente il motivo per cui si ammonisce il prossimo è rilevante: “non per ripicca o per tirare fuori qualcosa di irrisolto, ma per amore e solidarietà. Serve anche la psicologia, avere molto tatto e sensibilità”. È l’essenza della Comunità. A ciascuno deve “importare” degli altri, di ciò che fanno, di come si comportano.

“I Maestri rappresentano l’autorità della Torà e la tradizione orale ha la stessa dignità della Parola scritta. Il Maestro è una autorità, anche se oggi, con un Sinedrio mancante, non c’è un’autorità centrale, ma ogni Rabbino nella sua comunità è un riferimento, che peraltro si confronta con gli altri Maestri della sua generazione e delle generazioni passate. Il pluralismo è comunque all’interno di un sistema”. Quello su cui l’ebraismo insiste molto è il concetto di responsabilità. Chi sceglie di non seguire le regole deve assumersene le responsabilità e le conseguenze.

Che valutazione dare di questa giornata? “Mi aspettavo una partecipazione maggiore, soprattutto al convegno che ha visto la presenza di cinque autorevoli rabbini e rappresentanti delle Edòt di Milano. Ma ci sono stati tanti giovani alla serata Rashi-sushi in via Guastalla. Il bilancio è nel complesso positivo. È stata la prima occasione, bisognerà far meglio per la prossima. Incrementando anche la presenza femminile, fondamentale per la trasmissione della Torà”.