Gli Ebrei di Cochin, un popolo dimenticato che lotta per la sopravvivenza

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di Nathan Greppi

cochin5Cochin (oggi nota come Kochi), grande città portuale nel Sudovest dell’India, può vantare non una ma bensì due vie “ebraiche”. C’è la via ebraica nel quartiere turistico di Mattancherry, dove si trova la Sinagoga di Paradesi, la più vecchia sinagoga dell’India tuttora aperta. A nove chilometri dall’affollato centro di Ernakulam, tra i venditori ambulanti di ciabatte e patatine fritte, vi è la seconda via ebraica. Dietro un negozio di fiori vi è un altra sinagoga, molto meno frequentata della prima, la cui congregazione è emigrata in Israele.

Queste sono solo due delle sette sinagoghe presenti nello stato indiano del Kerala. Malgrado i simboli, una cosa che non si trova più molto in questo stato sono gli ebrei. Secondo un recente articolo pubblicato su Haaretz, Oggi sono rimasti solo 26 ebrei a Kochi, e alcuni non si parlano neanche tra di loro.

Stando ad alcuni racconti, i primi ebrei arrivati in Kerala erano mercanti venuti dal Regno di Israele nel XI secolo a.c., che al ritorno portavano avorio, scimmie e pappagalli. Un altra versione afferma che si stanziarono qui più tardi, dopo la distruzione del Secondo Tempio, e si insediarono a Cranganore, antica capitale del paese. Quando l’esploratore ebreo spagnolo Beniamino di Tudela visitò l’India intorno al 1170, scrisse che vivevano circa mille ebrei nel Sud dell’India, “tutti neri”. Venivano chiamati anche Ebrei di Malabar, dal nome della costa settentrionale del Kerala. A partire dal XVI secolo, agli ebrei di Cochin si aggiunsero altri ebrei venuti dall’Europa, e in particolare quelli cacciati dalla Spagna e dal Portogallo. Le varie comunità non si sono mai mischiate del tutto, per razzismo secondo alcuni, per differenze culturali secondo altri.

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Il matrimonio di Sarah Cohen, la decana della comunità di Kochi

Accettate dai sovrani locali e dal resto della popolazione, le comunità hanno prosperato fino agli anni ’40 del novecento, quando sia l’India che Israele ottennero l’indipendenza a pochi mesi di distanza, ed ebbe inizio un esodo di massa verso la Terra Promessa.

Sarah Cohen, 93 anni, è l’ebrea più anziana di Kochi. Quando le si chiede quanti ebrei vivono in città, lei risponde senza esitare: “Sei”, senza contare gli ebrei di Malabar che vivono nel centro.

“Gli ebrei di Mattancherry sono degli idioti” afferma Josephai Elias, detto Babu, 60 anni, il capo non ufficiale degli ebrei di Malabar e proprietario del negozio di fiori davanti alla sinagoga di Ernakulam, che non viene più utilizzata dagli anni ’70.

Macellaio kasher oltre che fioraio, dice che si rifiuta di “tagliare il pollo” per la comunità ebraica bianca, ovvero Sarah Cohen e i suoi vicini. Loro non lo vogliono, e lui non vuole loro. Ma neanche i rapporti con gli altri ebrei di Malabar – di cui molti suoi fratelli – sono perfetti. “Per due volte ho pensato di emigrare in Israele” dice lui. Una volta, sua nonna lo ha pregato di restare. La volta dopo, sua madre gli ha fatto capire che non c’è l’avrebbe fatta senza di lui. Dei suoi nove fratelli e sorelle, quattro hanno fatto l’aliyah, e gli altri sono rimasti in Kerala, ma o si sono sposati con non-ebrei o non sono più interessati alle questioni della comunità.

Babu ha detto di pregare quasi sempre da solo di Shabbat, seduto su una panca di legno della sinagoga, con la stanza illuminata da lampade arancioni, blu e verdi. “Cosa ci posso fare?” chiede. “Almeno prego con il cuore.”

La figlia maggiore di Babu, Avithal, 27 anni, si è innamorata di Israele dopo un viaggio con il programma Taglit ed è rimasta per laurearsi al Technion di Haifa. Lì ha conosciuto un ebreo americano del Maryland con cui si sposerà il mese prossimo. La sua figlia più giovane, la ventiquattrenne Leya, è andata a studiare a Mumbai e li lavora alla comunità ebraica locale. Babu spera che emigri anche lei in Israele e si trovi un marito. “è una brava cuoca” dice lui, “e un eccellente ballerina”.

L’unico motivo per cui Babu vive tuttora a Kochi è la sinagoga. E non è l’unico preoccupato per il futuro dell’ebraismo locale. Gli ottomila ebrei di Cochin che vivono in Israele hanno dedicato all’argomento diversi raduni annuali, e anche altre comunità hanno mostrato il loro interesse.

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Sarah Cohen

Una persona che ha dedicato gran parte della sua vita a cercare di preservare i simboli ebraici nella zona è il Prof. Karmachandran. Docente di storia ormai in pensione, Karmachandran non è ebreo, ma si è molto interessato al cimitero ebraico di Mala, un piccolo paese a 50 chilometri a nord di Mattancherry. E’ il cimitero ebraico più grande di tutta l’India, e secondo lui vi sono sepolti circa 2500-3000 ebrei. “Questo è uno dei più importanti simboli della presenza ebraica a Kerala” dice Karmachandran.

Gli ultimi ebrei di Mala, approssimativamente trecento, sono emigrati in Israele a metà degli anni ’50. Secondo le documentazioni, prima di partire firmarono un accordo ufficiale con il comune locale per far preservare sia il cimitero che la sinagoga. Purtroppo, mentre quest’ultima è stata protetta dalle autorità negli anni, il cimitero sta andando incontro a un destino ben diverso: è prevista la creazione di un campo da calcio che lo rimpiazzerà.

“Il cimitero sta per essere distrutto dalle autorità locali,” dice Karmachandran, “se non li fermiamo non ci sarà niente da preservare per le generazioni future.” Poi ha aggiunto:”La situazione è patetica”. Fortunatamente Karmachandran non sta combattendo da solo. Egli appartiene a un gruppo di attivisti, che include indù, musulmani e cristiani, che si è battuto per tanti anni per preservare il Cimitero di Mala.

La piccola comunità di Kochi ha più volte sostenuto questa campagna, ma non vi ha mai preso parte attivamente, forse perché loro stessi hanno le loro lotte per preservare la loro identità. Karmachandran lo sa, ma spera che le comunità ebraiche indiane prendano coscienza della situazione. Secondo lui, sarebbe utile se i leader israeliani ne parlino con il governo indiano che, sotto la guida di Narendra Modi, è diventato sempre più alleato di Israele.

Karmachandran ammette che dopo anni di negligenza è rimasto poco da conservare. Oggi sono rimaste solo tre lapidi, tutte con incisioni in ebraico. Ma battersi è una questione di principio, secondo lui, ed è un test per capire se l’India può salvaguardare la sua ricca eredità multietnica. “In Kerala abbiamo una tradizione nel proteggere le minoranze. Non sono mai state trattate come cittadini di seconda classe.” Conclude. “ Non sono ebreo, ma la cultura ebraica fa parte della cultura indiana, e ne sono orgoglioso”.