Cremona, con le braccia aperte

Viaggi

di Angelo Garioni Sabadini

Passano gli anni e le generazioni, le vicende umane si intrecciano, divengono fatti, accadimenti, e poi senza accorgercene, Storia. Eppure bastano poche tracce per rammentare ai posteri una vicenda straordinaria di accoglienza e umanità. Queste tracce a Cremona si travestono con le lettere dell’antico alfabeto ebraico. Sono dipinte sui bianchi muri, laceri di polvere, di un antico monastero, già caserma, con un blu brillante. Oppure sono stampate su quei fogli incollati sui muri in posizioni strategiche e poi ingialliti dal tempo. Tenacemente, come le epigrafi classiche scolpite nel marmo, resistono alle intemperie, all’abbandono dei luoghi, ai vandalismi umani più o meno consapevoli. E lì, in questi luoghi dove da decenni giacciono dimentiche dalla coscienza dei cittadini, dalle commemorazioni solenni e pubbliche, ci ricordano una piccola storia: i Displaced Persons del Campo di Cremona, in gergo burocratico “I.R.O Ita 82”.

Siamo all’inizio della seconda metà del 1945, la Seconda Guerra Mondiale è terminata ufficialmente da poche decine di giorni, l’Europa è invasa da truppe e centinaia di migliaia di profughi, spesso apolidi, per la maggioranza minorenni o giovani adulti. Tra i mille problemi che affliggono le nazioni belligeranti, le società europee sono scosse dalla drammatica e profonda questione relativa al destino dei profughi ebrei. In primis dei sopravvissuti ai campi nazi-fascisti di sterminio, ma anche degli ebrei che, grazie a mille rocambolesche vicissitudini, solidali coperture, veri e propri colpi di fortuna, sono riusciti a sfuggire alla Soluzione Finale. Un rivolo umano, che come un fiume, si sposta dalla sorgente, l’est Europa posto sotto occupazione sovietica, alla foce, i porti mediterranei dell’Italia e della Francia. Sono soprattutto giovanissimi che, a piedi o con mezzi di fortuna, arrivano ai valichi alpini austriaci, al confine con l’Italia. Dove, il più delle volte sotto la protezione della Brigata ebraica a Tarvisio, oppure sotto lo sguardo attento degli Alleati, nella Val Aurina, penetrano in Italia, e si dirigono verso Milano. Sono accolti dalla Comunità ebraica milanese, che con grande generosità, organizza il primo campo in via Torino. Sono sostenuti materialmente dai fondi dalle associazioni ebraiche americane come l’Yivo, il Joint, ma anche dall’Unrra, agenzia delle Nazioni Unite, senza dimenticare il supporto di  privati cittadini. Non si tratta solo di aiutare delle persone, ma di ricostruirne la vita, dallo stato di salute alle relazioni sociali, dallo spirito religioso alle professionalità. Prepararli ad una nuova vita in Eretz Israel oppure oltreoceano, spesso negli Stati Uniti. Tra il 1945 e il 1948, circa 55.000 individui. Per meglio gestire la situazione vengono fondate varie decine di campi in Italia, definiti di transito, da nord a sud. Per la sua estrema vicinanza a Milano, Cremona viene scelta come sede di un D. P. Camp, nominato Ita 82, accolto negli edifici delle Caserma Paolini (ex Monastero di San Benedetto) e della Caserma Sagramoso (ex Monastero del Corpus Domini).
Gli edifici esistenti sono riadattati ad un uso plurifunzionale: accanto ai dormitori, ricavati nelle stanze delle caserme, abbiamo un insieme di locali adibiti a scuole elementari, palestra, laboratori, mensa e depositi. C’era anche un Tempio.

Le condizioni dei locali non sono ottimali, ma non vi sono problemi di cibo e vestiario, sempre abbondante. Nel campo circola una moneta locale, che può essere utilizzata nello spaccio. Gli accessi sono liberi e i profughi possono uscire e passeggiare nelle vie cittadine senza restrizioni di sorta. Anzi, dai ricordi di Pietro Nespoli, un anziano cremonese, abbiamo conoscenza di episodi d’estrema generosità. Una famiglia ebraica regalava beni di prima necessità alla famiglia di Nespoli, all’epoca tra le più povere del rione di Sant’Ilario. Nel campo, le lingue ufficiali erano l’inglese, il polacco, l’yiddish e l’italiano, specchio del cosmopolitismo degli ospiti e delle loro culture d’origine. Ebrei polacchi, lituani, ucraini, si ritrovarono spesso nelle strade e nelle osterie di Cremona, per festeggiare matrimoni o Bar Mitzvah, ma anche per protestare contro la politica inglese sulla Palestina o esultare per la nascita dello Stato di Israele. Sono cortei pacifici che vogliono coinvolgere la cittadinanza, per sensibilizzarla sulle vicende del mondo israelita.

I rapporti con le istituzioni, prefettura, questura e comune di Cremona, nonché con la comunità locale erano intrattenuti da un comandante del campo. Dalle carte d’archivio emergono vari nomi, come quello del comandante del campo, Joe Marciano, oppure del “signor Fridman”, definito direttore, il capo del comitato del campo, Bilezyz, e il rabbino Frischman, presente per far risorgere lo spirito religioso ebraico. Nel campo sono ospitate fino a 900 persone, divise nelle tre caserme.
La fine del D. P. Camp Ita 82 di Cremona ha una data certa, ovvero, il 10 settembre 1948. Vi è la notizia sul quotidiano locale, La Provincia, della cerimonia di chiusura, durante la quale il rappresentante dei profughi ringrazia le autorità italiane, quelle cremonesi e rammenta la gioia per la nascita dello Stato di Israele.
Pochi mesi dopo, gli antichi monasteri ospiteranno gli sfollati italiani, ma questa è un’altra storia da scrivere.