Pionieri e visionari nel mondo dei videogames

Tecnologia

di Nathan Greppi

Innovazioni e mondi digitali che entrano nell’immaginario collettivo. Dalla Brown Box ideata da Ralph Baer, nato in Germania e fuggito dal nazismo, alle magie digitali di oggi, ideatori, sceneggiatori, programmatori e creativi …

All’inizio degli anni ’50, Josef Kates era un ingegnere con un passato doloroso alle spalle: nato a Vienna nel 1921, con l’avvento del nazismo fuggì prima in Italia e poi in Inghilterra. Purtroppo, venne arrestato dagli inglesi come potenziale spia e deportato in Canada, dove venne internato in un campo di prigionia per quasi due anni. Nel 1950 presentò a una fiera di Toronto una sua invenzione, Bertie The Brain, il primo gioco elettronico dotato di un’intelligenza artificiale in grado di compiere delle mosse per tentare di battere il giocatore umano, oltre ad avere vari livelli di difficoltà. Ma il suo creatore non si rese conto del potenziale di questa invenzione, e la smantellò subito dopo la fiera.
Rispetto ai tempi di Kates, numerosi sono stati i passi avanti: se il primo videogioco della storia era un computer alto 4 metri, oggi chiunque può scaricare sul proprio cellulare o computer innumerevoli giochi, con strutture ben più complesse di Bertie The Brain. E non mancano gli ebrei che si sono fatti un nome in un settore divenuto, negli ultimi decenni, sempre più importante sia sul piano economico sia nel plasmare l’immaginario comune.

Tutto inizia con la Brown Box…
Non tutti sanno che prima della Playstation e del Xbox, i cui primi modelli vennero messi in commercio rispettivamente nel 1994 e nel 2001, era già stata presentata nel 1968 una console collegabile al televisore per giocare: la Brown Box ideata da Ralph Baer, nato in Germania nel 1922 e fuggito anch’egli dal nazismo, per poi rifugiarsi a New York. Ci vollero quattro anni prima che una società, la Magnavox, ne acquistasse i diritti. Fu così che nel 1972 venne messa in commercio la Magnavox Odissey, prima console della storia, che però rimase sugli scaffali solo tre anni.

Nei decenni a venire, non furono pochi coloro che, essendo nati in tempi più maturi, si sono cimentati con maggiore successo di Kates e Baer in un mercato sempre più redditizio: uno di questi è Jason Rubin, che nel 1985 fondò, all’età di soli 15 anni, la società Naughty Dog assieme al suo amico Andy Gavin. Insieme sono noti soprattutto per essere gli autori della celebre saga di Crash Bandicoot, sulle avventure di un marsupiale antropomorfo. Rubin si è dimesso dalla Naughty Dog nel 2004, e dal 2012 lavora per Oculus VR, società legata a Facebook che si occupa di realtà virtuale.
Un altro imprenditore è Ken Levine, che nel 1997 ha fondato la società Irrational Games, che ha chiuso i battenti nel 2014. La sua serie di maggior successo è Bioshock, trilogia di giochi d’azione uscita tra il 2007 e il 2013. Levine ha inserito in Bioshock diversi personaggi di origini ebraiche e la città di Rapture, dov’è ambientato, è ispirata al quartiere ebraico di New York dove Levine è nato e cresciuto. Inoltre, la saga si ispira ai romanzi di un’autrice ebrea, la scrittrice russo-americana Ayn Rand.
Non sono pochi gli sceneggiatori che hanno scritto le storie per giochi di successo: si va da Jeffrey Yohalem, che ha sceneggiato parte dei titoli della serie Assassin’s Creed, a David Jaffe, creatore di God of War, passando per Jordan Mechner, che ha curato il design della saga Prince of Persia, e Austin Grossman, co-sceneggiatore dei due titoli di Dishonored.

Il Contesto israeliano
Anche in Israele esistono varie start-up del settore: nel 2019 il sito NoCamels ne elencava sette, specializzate perlopiù nei giochi mobile: Playtika, Plarium, TabTale, Overwolf, Simplay, Quarterback e FTX Games.
Ci sono poi casi di israeliani che hanno fatto fortuna andando a lavorare all’estero: il più celebre è senza dubbio Neil Druckmann, co-presidente della già citata azienda americana Naughty Dog, noto per aver sviluppato e co-scritto la serie di videogiochi d’avventura Uncharted, uscita tra il 2007 e il 2016. Nel 2013 e nel 2020 Druckmann è stato anche autore e direttore creativo dei due titoli di The Last of Us, ambientato in un’America post-apocalittica infestata da esseri simili a zombi. Altro caso importante è quello del compositore israelo-americano Inon Zur che, dopo aver composto colonne sonore per serie televisive di successo come quelle dei Power Rangers (ideate da un israeliano, Haim Saban), ha lavorato alle musiche di numerosi videogiochi, come Prince of Persia o giochi tratti da Star Trek e Il Signore degli Anelli.

Nel frattempo, in Italia…
Anche in Italia c’è chi si è fatto un nome nell’industria videoludica: è il caso dei fratelli Abramo “Rami” e Raffaele “Raffi” Galante, fondatori nel 1989 della Digital Bros, la società che ha distribuito in Italia grandi classici del settore come Tomb Raider e Resident Evil.

Un’altra figura fondamentale nell’ambito della distribuzione è Ricardo Cones, direttore generale della sede di Milano della multinazionale francese Ubisoft (che ha prodotto i già citati Assassin’s Creed e Prince of Persia): «Ho iniziato a lavorare nel campo dei videogiochi nel 1992, – spiega Cones a Bet Magazine/Mosaico, – quando andai alla Fiera dell’informatica di Las Vegas, dove c’era una piccola parte dedicata ai videogiochi. Nel 1992 ho aperto un negozio di videogiochi con mia moglie e un altro socio, e dal 1997 davamo un servizio esclusivo ai publisher che non avevano un distributore in Italia, tra cui la Ubisoft. Quest’ultima nel 2001 mi ha proposto un posto da dirigente, e così rinunciammo a rappresentare altre società per concentrarci solo su di essa».

Un altro milanese che da marzo lavora alla Ubisoft, e che da ragazzo frequentava la Scuola della Comunità Ebraica, è Sergio Osimo, che nell’azienda ricopre il ruolo di technical designer, «colui che stabilisce il set di regole per un gioco, a metà tra il designer e il programmatore – spiega a Bet Magazine. – Ho iniziato a occuparmene all’università, dove ho imparato a programmare. In seguito, ho vinto una borsa di studio alla Digital Bros Game Academy, gestita dai fratelli Galante. Ho iniziato lavorando per Art Stories, che faceva giochi mobile per bambini, gestita tra l’altro da un’ebrea di Torino, Giovanna Hirsch. Poi sono andato prima alla Milestone, che produce giochi di gare motociclistiche, e poi da Ovosonico, legata alla Digital Bros e in seguito ribattezzata AvantGarden, dove ho lavorato per un totale di due anni». L’ultimo gioco a cui ha lavorato è Mario + Rabbids Sparks of Hope, la cui uscita è prevista per il 2022.

I Personaggi ebrei nei videogames
Come spiegava a giugno la rivista Alma non mancano, a parte Bioshock, giochi aventi personaggi ebrei: c’è “B. J.” Blazkowizc, protagonista nel 1992 di Wolfenstein, un sergente americano durante la Seconda Guerra Mondiale figlio di immigrati polacchi, la cui ragione di vita è salvare il mondo dalla minaccia nazista; c’è Hal Emmerich, scienziato prodigio che compare nel 1998 in Metal Gear Solid; e, tornando al secondo conflitto mondiale, c’è il soldato Robert Zussman, che nel titolo del 2017 Call of Duty: WWII è il braccio destro del protagonista Red. Questo è stato uno dei primi videogiochi di rilievo a trattare la Shoah e l’antisemitismo, provato da Zussman sia da parte dei suoi commilitoni che quando viene catturato dalle SS.

Tra le grandi saghe, quella che forse ne presenta il maggior numero è Grand Theft Auto: si parte da Ken Rosenberg, avvocato legato alla mafia italoamericana che compare nei titoli Vice City del 2002 e San Andreas del 2004. Mentre in Grand Theft Auto IV del 2008 troviamo Johnny Klebitz, motociclista e protagonista di un’espansione del gioco intitolata The Lost and Damned. Sempre in GTA IV troviamo i trafficanti di diamanti Isaac Roth e Mori Green, capi di un’organizzazione mafiosa di chassidim.
Un’altra figura importante è Rav Russell Stone, rabbino protagonista nel 2006 del gioco The Shivah, dove indaga sull’omicidio di un ex-membro della sua comunità. Infine, nel 2020 ha riscosso un certo successo il personaggio di Dina, che in The Last of Us Parte II è l’amante lesbica della protagonista Ellie, con la quale in una scena esplora una vecchia sinagoga abbandonata. A un certo punto, Dina racconta di quando la sorella le offriva mele intinte nel miele per Rosh Hashanà.

Lost Bride, la squadra per videogiocatori ebrei

Nonostante siano ancora in molti a non riconoscerli come vere discipline sportive gli esport, ossia le competizioni nei videogiochi, sono un mercato che sta crescendo a vista d’occhio: secondo un rapporto pubblicato il 26 maggio dall’IIDEA, associazione che rappresenta le aziende di videogiochi in Italia, sono 1.620.000 le persone nel nostro paese che seguono queste competizioni, e di questi ben 475.000 li seguono tutti i giorni o quasi. Queste gare generano un fatturato annuo di 160 miliardi di dollari, e dall’ottobre 2017 il Comitato Olimpico Internazionale li riconosce come un’attività sportiva a tutti gli effetti.

Non tutti sanno che esiste anche una squadra di videogiocatori, nata negli Stati Uniti, composta da soli ebrei: Lost Tribe, che durante la pandemia ha permesso a molti adolescenti di conoscersi e tenersi in contatto (seppur solo virtualmente).

Il gruppo è stato fondato nel 2016 da Lenny Silberman, che in precedenza era uno dei responsabili per le Maccabiadi in Nord America. In un’intervista del 2020, spiegò che sperava di creare legami tra giovani ebrei esattamente come facevano le competizioni sportive delle Maccabiadi. Durante i lockdown, sono almeno 4.000 i ragazzi che hanno preso parte ai loro tornei da casa, mentre dalla nascita ad oggi il numero totale è di circa 20.000.

La squadra dei Lost Tribe

 

I partecipanti alle loro gare sono di età compresa tra i 13 e i 17 anni, che si devono registrare senza che si renda pubblico il loro vero nome. Partecipano tutti con pseudonimi, al fine di tutelarne la privacy. I giochi nei quali vengono organizzate la maggior parte delle competizioni sono: Rocket League, Fortnite, NBA 2K20 e Super Smash Bros. Una parte dei tornei vengono proiettati in streaming sulla piattaforma Twitch, che sta avendo un crescente seguito soprattutto grazie agli esport.

Attualmente, dei loro giocatori il 90% vivono in Nord America e il 10% in Israele, ma hanno organizzato eventi con comunità di giocatori inglesi, tedeschi e argentini. Quando finirà la pandemia, sperano di organizzare dei viaggi in Israele per i membri americani. Inoltre, hanno avviato una partnership con l’associazione ebraica ADL per insegnare agli adolescenti ebrei come comportarsi difronte ad atti di antisemitismo sui social.

 

Immagine in alto: God of War e Uncharted, creati rispettivamente da David Jaffe e Neil Druckmann