Ben Harper, ebreo cherokee: energia e intensità in concerto

Taccuino

di Roberto Zadik

 

Ben Harper è un tipo particolare, versatile e riservato e anche il suo look e la sua espressione dimessa, umile ma al tempo stesso intensa e grintosa lo confermano. Avete mai visto un cantautore che fa un disco con sua madre intitolandolo “Childhood home” (Casa d’infanzia) e che è di origine afromericana, cherokee e ebraica? Come mix ricorda un po’ un altro bravo artista come quel rockettaro donnaiolo di Lenny Kravitz, ma il californiano Harper, Scorpione, 45 anni, è più un cantautore che un divo del rock e ha uno stile completamente diverso da Kravitz. Melodico ma anche molto energico, trasformista e imprevedibile, Harper, arriverà a Milano, il prossimo 22 luglio con un live al Forum d’Assago assieme alla sua storica band, gli “Innocent Criminals” (Criminali innocenti). Ebbene, con due matrimoni alle spalle, uno con l’attrice Laura Dern, famosa negli anni ’80 per aver lavorato col regista David Lynch nei film “Velluto blu” e “Cuore selvaggio” e cinque figli, Ben Harper non ha perso la sua creatività. Molto schivo sulla sua vita privata, nella sua lunga carriera, cominciata agli inizi degli anni Novanta, è passato disinvoltamente da un genere all’altro, disorientando pubblico e critica e riuscendo sempre ad attirare l’attenzione.

 

Ma come mai parlo di Harper in questo mio blog di cultura ebraica? Perché sua mamma, la signora Ellen Chase Vendries viene da una famiglia ebraica lituana e Ben, legatissimo a lei, ha vissuto con la famiglia materna da sempre, da quando aveva cinque anni. I suoi genitori divorziarono e suo padre, un nero americano con origini indiane cherokee, le stesse del grande chitarrista Jimi Hendrix, se ne andò di casa. Il suo unico punto di riferimento fu la musica che, fin da piccolo, ascoltava in grande quantità, grazie al negozio di musica gestito dalla sua famiglia materna e agli incontri con artisti del calibro di Taj Mahal, blues man duro e puro, che era un cliente regolare. Un passato turbolento come per tanti artisti e scrittori che però è stato seguito da una luminosa carriera musicale, caratterizzata anche da un certo impegno politico, come il tributo a John Lennon in cui Harper ha suonato per la raccolta fondi verso le vittime delle guerre nel Darfur.

Nei suoi tanti album, il musicista ha continuato ad alternare vibrazioni e stili musicali agli antipodi fra di loro. Dal reggae – come nel caso del brano “With my hands” – al pop sornione di “Steal my kisses” alla ipnotica “Better way” per arrivare a brani struggenti come “Another lonely day” e la romantica “She’s only happy in the sun”, cantata con quella sua voce sottile, acuta e penetrante. Poi però ci scuote con scatenati brani rock come la bellissima “Shimmer and shine” pezzo capace di  far ballare anche gli oggetti inanimati,  e ci esalta con uno dei suoi capolavori “Diamonds on the inside”.

 

Allegria, malinconia, rabbia, tutte le emozioni vengono esplorate nelle sue canzoni che non sono mai uguali o simili fra loro e non sembrano nemmeno dello stesso artista. Harper ha continuato a esibirsi anche con altri suoi illustri colleghi e il suo curriculum vanta numerose collaborazioni e duetti. Egli infatti ha lavorato con grandi nomi come il cantautore Jack Johnson, la vocalist brasiliana Vanessa De Mata, con cui ha registrato una delle sue canzoni più belle, il lento coinvolgente e ipnotico “Boa Sorte”. Tantissime sono state le sue “cover” rifacimenti di brani famosi del passato, come “Strawberry fields” dei Beatles o “Redemption song” classico dell’indimenticabile Bob Marley, per arrivare a cover di canzoni più recenti come “The drugs don’t work” struggente e splendida melodia firmata dai Verve, anche se onestamente preferisco l’originale alla cover di Harper.

Ora non resta che attendere il prossimo 22 luglio e immergerci nelle atmosfere intense di questo suggestivo artista.