La serie tivù saudita 'Umm Haroun'

Le serie tivù che infiammano il Medioriente

di Marina Gersony
Si intitola El-Nehaya (in italiano, La fine), è una serie tivù egiziana e ha profondamente irritato Israele. Ambientata in un lontano 2120, descrive un mondo futuro tra il distopico e il fantascientifico in cui Israele è stato distrutto da «una guerra per liberare Gerusalemme» e in cui gli Stati Uniti, definiti «grandi sostenitori dello Stato sionista», si sono divisi. Immediate le critiche del ministro degli Esteri israeliano, Yisrael Katz, che ha definito la serie «infelice e inaccettabile», soprattutto in considerazione del «trattato di pace che i due Paesi hanno da 41 anni». (Trailer).

Il primo episodio del fanto-dramma, ambientato in un futuro desolato tra robot clonati e scene di violenza non stop, arriva subito al punto: un docente scolastico – interpretato dal popolare attore egiziano Youssef el Sherif – si rivolge agli studenti parlando di una «guerra per liberare Gerusalemme» e da lì si sviluppa l’intera storia. Come scrive un articolo di Haaretz, l’insegnante afferma che gli ebrei in Israele «scapparono e tornarono nei loro Paesi di origine in Europa», senza tuttavia menzionare quanto accaduto agli ebrei in Israele, le cui famiglie provenivano da altri Paesi del Medio Oriente, circa la metà della popolazione ebraica. Viene inoltre mostrata una mappa olografica degli Usa divisi, con l’insegnante che afferma che «l’America era il sostenitore centrale dello stato sionista». (Video).

El-Nehaya è uno dei tanti drammi e soap opera lanciati durante il mese sacro di Ramadan, quando i fedeli musulmani restano a casa e guardano la tivù durante il digiuno, quest’anno maggiormente a causa del coronavirus che ha avuto un forte impatto sulle popolazioni anche da queste parti. (Le serie tivù sono comunque molto cresciute negli ultimi anni con produzioni milionarie).

Come riporta il Guardian, la serie di 30 episodi è realizzata da Synergy, che ha legami con il governo del presidente Abdel-Fattah al-Sisi e va in onda sulla rete televisiva ON, di proprietà di una società pro-governativa. «Programmi come questi non potevano essere trasmessi senza almeno una strizzatina d’occhio dal Cairo», ha commentato a sua volta il Jerusalem Post.

Lo sceneggiatore, Amr Samir Atif, ha riferito all’Associated Press che la distruzione di Israele «è un possibile futuro in assenza di vera pace e vera stabilità nella regione. La pace dovrebbe essere basata sulla giustizia». Insomma, il dibattito è a dir poco acceso. Non ci sono stati per ora commenti da parte del governo egiziano.

La serie saudita che parla di ebrei

A onor di cronaca, altri spettacoli quest’anno hanno spianato la strada per un messaggio opposto a quello della serie El-Nehaya, evidenziando la normalizzazione delle relazioni di alcuni Paesi del Medio Oriente con Israele. Come riporta un articolo di Haaretz, diversi produttori tivù arabi immaginano infatti il futuro di Israele non solo in prospettiva di una distruzione completa, bensì anche in prospettiva di una possibile distensione fra le parti.

In questa direzione va la serie tivù Umm Haroun (in arabo, La madre di Aaron), una fiction di produzione saudita a sua volta trasmessa durante il Ramadan dal canale privato satellitare MBC; una serie che ha sorpreso e suscitato accese polemiche tra i telespettatori per aver rappresentato positivamente una comunità ebraica ambientata in un Paese del Golfo senza nome nel 1948, quando Israele dichiarò la sua indipendenza. La serie racconta la storia di un’ostetrica ebrea kuwaitiana che, a causa delle vessazioni subite, sceglierà di trasferirsi nel neonato Stato di Israele: fanno da sfondo le relazioni tra musulmani e la comunità ebraica in Kuwait in quegli anni, quando ebrei e musulmani vivevano in una realtà di pace e di armonia.

«I creatori della serie difendono le serie saudite, dicendo che la rappresentazione positiva riguarda gli ebrei, non gli israeliani», titola un articolo del Times of Israel che commenta: «le relazioni tra Israele e gli stati del Golfo Arabo sono leggermente migliorate negli ultimi anni, poiché hanno visto l’Iran come una minaccia condivisa e mentre i leader arabi hanno cercato di ottenere il favore dell’amministrazione Trump. La maggior parte dei programmi televisivi nel mondo arabo sono realizzati da società private, ma i produttori devono seguire le linee rosse stabilite dai sovrani autocratici della regione».

Se per molti Umm Haroun è una «falsificazione della storia», per altri è un tentativo di mostrare «come gli ebrei nel mondo arabo siano stati vittime così come lo sono stati i profughi palestinesi cacciati o fuggiti dalla loro terra prima e durante la nascita dello Stato ebraico».

Ira nel mondo arabo e numerose le chiamate online per boicottare il canale MBC. L’Unione dei produttori televisivi arabi, con sede al Cairo, ha affermato che tali serie dovrebbero essere cancellate definendole «opere economiche», mirate a «fare il lavaggio del cervello» al popolo arabo. I creatori di Umm Haroun insistono dal canto loro che non hanno un’agenda politica. «Volevo scrivere questo dramma per diffondere il messaggio che le nostre società erano molto più tolleranti di quanto lo siano oggi e che la gente dovrebbe tornare agli stessi valori – ha dichiarato all’Associated Press lo sceneggiatore Ali Shams –. Distinguiamo tra ebrei e Israele. Israele ha occupato la Palestina e ha commesso atrocità contro il popolo palestinese». Per la serie, il dibattito è aperto.