L’arte dà i numeri

Spettacolo

L’arte dà i numeri.

In questi giorni si sta tenendo nel Museo delle Macchine Tessili di Valdagno, presso l’ITIS “V.E. Marzotto”, la mostra “Tre e quattordici” con le opere dell’artista veneziano Tobia Ravà.
La mostra, inaugurata il 13 marzo, è dedicata al pi greco, perché negli USA il 14 marzo è il Pi day, l’ “onomastico” di questo numero! Infatti, anteponendo il numero del mese a quello del giorno, come nella grafia anglosassone, si ottiene proprio 3.14, l’approssimazione al centesimo del pi greco.

La scelta di esporre alcune opere di Ravà deriva, invece, dall’interesse che egli stesso ha dimostrato nei confronti di questo numero così affascinante. L’artista, che utilizza numeri e formule matematiche nella costruzione delle sue complesse opere, ha rivolto al pi greco delle originali riflessioni trascritte in maniera cifrata all’interno di dipinti e sculture, scaturite dalle sue indagini in ambito cabalistico sulla parola ebraica Shaddai, che significa Onnipotente e che in base alla ghematria equivale proprio a 314.

Ma chi è Tobia Ravà?

Nato a Padova nel 1959, cresce in un ambiente familiare profondamente influenzato sia dall’amore per l’arte e la letteratura che dalla cultura ebraica. Infatti la madre, di origine tedesca, perse tutti e quattro i nonni in campo di concentramento e trascorse il periodo di guerra nascosta ai piedi del Monte Grappa; la famiglia del padre, invece, riuscì a salvarsi nascondendosi a Fermo, nelle Marche. Entrambi furono profondamente segnati da queste esperienze.

La sua ricerca artista, intimamente collegata all’ebraismo, prosegue a Venezia, dove già negli anni Settanta rimane colpito dal ciclo di lezioni ai giovani della comunità tenuto dall’allora giovanissimo Benedetto Carucci su Gershom Scholem e le correnti mistiche dell’ebraismo.

In seguito frequenta la Scuola internazionale di Grafica di Venezia e Urbino e si iscrive al DAMS di Bologna, dove frequenta le lezioni del rabbino Kopciowsky e poi del giovane rabbino Alberto Someck.

Contemporaneamente e soprattutto durante lo studio di tesi, che sceglie di fare in semiologia delle arti sull’interdizione visiva nell’arte ebraica, frequenta il rabbino veneziano Raffaele Grassini e le metafisiche lezioni bolognesi del rabbino lubavich Borenstein. A Bologna fu allievo di Umberto Eco, Renato Barilli, Omar Calabrese, Flavio Caroli.

Lo stesso Ravà, in un’intervista, ha curiosamente dichiarato «E’ buffo, ma uno degli stimoli più forti a farmi poi intraprendere studi che avessero a che fare con la cabala non venne dall’ambiente ebraico, ma da quello universitario, da Piero Camporesi e da Umberto Eco. Con Camporesi feci una ricerca sull’iconografia delle Haggadot (testo rituale della Pasqua ebraica). Eco, invece, durante un esame di semiotica, durato alcune ore, mi chiese, per sua curiosità personale, quali fossero le mie conoscenze sulla cabala luriana, ossia sul filosofo ebreo medievale Isaac Luria. Purtroppo non avevo ancora approfondito a sufficienza il suo pensiero, quindi non seppi rispondere. Però questa cosa mi rimase dentro e mi spinse alcuni anni dopo a studiare Luria ed ora questo famoso cabalista di Safed è un cardine della mia ricerca.»1
Dal 1977 Ravà ha iniziato ad esporre in mostre personali e collettive in quasi tutto il mondo, dall’Europa agli Stati Uniti, dall’America Latina fino all’Estremo Oriente.

Le sue opere d’arte si fondano sugli insegnamenti pitagorici, secondo cui ogni elemento del mondo è riconducibile ad un numero, e sulla ghematria, un metodo di analisi utilizzato nella cabala in base al quale si associa ad ogni lettera ebraica un valore numerico e quindi ogni parola è la somma dei valori delle lettere che la compongono.
Partendo da queste osservazioni l’artista decostruisce la realtà, che si compone di parole, analizzandola attraverso il numero corrispondente.
Se l’insistenza ossessiva dei numeri, che crea movimenti ipercinetici, piroette, avvicinamenti e allontanamenti, può provocare un senso di vertigine, in realtà superando il piano conoscitivo dell’apparenza si scopre un linguaggio cifrato denso di sublimi messaggi dove “ogni cosa illuminata” e allora il caos diventa ordine e comprensione.

Infatti l’impatto avviene per mezzo dell’immagine, fatta di figuratività realistica e surreale al tempo stesso, ma questo è solo il punto di partenza in quanto la forza del segno con la quale le immagini sono costruite non può che suscitare nuove domande che ci inducono ad approfondire la lettura.
Si tratta di un metodo conoscitivo della Natura e dell’Universo, basato su permutazioni,combinazioni, elevazioni, radici quadrate, corrispondenze ed analogie con le quali Ravà compone la sostanza delle cose.

Le immagini fatte di questa materia “diversa” e sublime giocano sul costante equilibrio tra simbolo, simbologia, realtà e metafisica. Da questo incredibile connubio nascono prospettive architettoniche allargate come inquadrate da un grandangolo, filari di alberi piantumati dall’uomo a distanze costanti gli uni dagli altri che assumono la valenza di “creazione” umana, o ancora vedute e spirali dove lo spettatore è invitato a perdersi in questo universo surreale.
Secondo la cabala “l’uomo sa tutto ancora prima di venire al mondo in quanto nel momento della nascita un angelo arriva e riempie il nostro subconscio di comprensioni. Lo scopo della vita è attingere a queste intuizioni e arricchire il mondo con le loro espressioni. Il cosmo suscita queste verità interne offrendoci le sfide tramite le quali si può crescere in saggezza.”
Sorretto proprio da una profonda conoscenza del pensiero filosofico ebraico, sembra dirci che la mistica fusione tra matematica e logica letterale creano un terzo linguaggio, il linguaggio della natura: ogni cosa esistente può essere indagata, ricostruita e manifestata con i numeri, per intuire il mistero dell’Universo.

Esiste nel pensiero ebraico un invisibile legame tra le cose: quello che è successo in passato, attraverso la memoria, viene rivissuto dal singolo nel presente. Da qui l’importanza della storia e l’alto valore della memoria per l’avvenire. Questo intreccio affascinante tra presente, passato e futuro, tra natura e cultura, viene non solo intuito e riconosciuto dall’artista, ma anche visualizzato attraverso immagini fatte di forme, colori, lettere e numeri, che costituiscono quella foresta di simboli che si cela dietro il reale.

La mostra, per chi fosse interessato, sarà visitabile fino al 25 aprile 2010, con i seguenti orari: dal lunedì al venerdì dalle 17 alle 19; sabato e domenica dalle 10 alle 12 e dalle 16 alle 19.

1. CONVERSAZIONE CON TOBIA RAVÀ, 8 febbraio 2006, Maria Luisa Trevisan