Incontro con la Psicosintesi

Spettacolo

La sala della Nuova Residenza Anziani di Milano si è animata poco a poco, la sera del 18 febbraio: ingressi timidi, per lo più solitari e quasi timorosi andavano silenzio- samente a colmare i tanti posti vuoti che le presenze degli anziani della Residenza non potevano né volevano esaurire. Una sala, come sempre, aperta a tutti. Una sala, come sempre, in attesa… anche dei ritardatari.
“Diamo tempo…” sussurra in un sorriso colmo di fiduciosa dolcezza il relatore, Enzo Liguori psicologo e psicoterapeuta, direttore del Centro di Psicosintesi di Milano, rassicurando Ginette Cohen, che questa conferenza l’ha fortemente voluta e organizzata, a testimonianza di un suo percorso costellato di “Distacchi, perdite, sensi di colpa” che l’ha portata oggi al desiderio di condividerlo. Ed è vero: ci vuole tempo per entrare nel tema proposto questa sera. Tempo ed anche coraggio soprattutto per chi queste parole, che certamente hanno a che fare con stati d’animo pesanti, sono state un vero macigno, un ostacolo insormontabile, un’emozione troppo dolorosa appena affiorata e subito soffocata, disertando quei posti che aspettavano anche e soprattutto loro. Ma siamo tutti un po’ così, siamo un po’… come le lucertole: se una parte è minacciata la tagliamo via. Distaccandoci da noi stessi e dagli altri.

Distacchi, perdite, sensi di colpa… quale esistenza non vive piccole e grandi perdite, piccoli e grandi distacchi? Da persone amate, da oggetti cari, dal paese di nascita, dalla casa a cui eravamo affezionati… sono eventi abbastanza comuni. E c’è di più: il distacco non è solo perdere qualcuno o qualcosa, è anche perdere un proprio modo di essere. L’esperienza del crescere, ma anche quella d’invecchiare: il corpo che si trasforma… non è forse un distacco da un modo d’essere, da un’immagine di sé?
Sono emozioni ed esperienze comuni a tutti noi che ci riportano al più vasto tema del cambiamento, della trasformazione, che è poi il tema della vita: luoghi, relazioni, rapporti, ruoli sociali mutano, come cambiamo noi stessi insieme al nostro corpo e al nostro modo di pensare, di percepire, di sentire. La vita è tutta sostanzialmente un processo di cambiamento, un percorso del divenire, un aggiustamento consapevole di come siamo fatti: creare armonia dentro di sé, tikkun per il pensiero ebraico, sintesi nella definizione di Roberto Assagioli, psichiatra ebreo e fondatore nel primo ‘900 della psicosintesi. E questo cambiamento comporta tanto la speranza della trasformazione quanto il timore della perdita. Dobbiamo allora evitare i distacchi? Impossibile. Neutralizzarli in modo da anestetizzarci e non sentire più nulla, né nell’animo né nel corpo? Oppure ancora cristallizzarci, immobilizzarci nella sofferenza, solo per il fatto che la continuità, persino se dolorosa, ci dà un senso d’identità?

La psicosintesi propone esattamente il contrario: nessuna anestesia, nessuna chiusura ai sentimenti, tanto meno a quelli pesanti. Queste emozioni purtroppo non sono rare, ma sono emozioni da condividere: solo così, pur essendo dolorose, non sono distruttive. Non è il dolore che ci distrugge dentro, ma l’isolamento, la chiusura.
Il dolore allora si può, si deve condividere e prima di tutto con noi stessi: come? Semplicemente permettendoci di provarlo. Fermiamoci, concediamoci tempo, lasciamolo parlare questo nostro dolore… e se le parole si esprimeranno in pianto, ascoltiamolo ma facciamolo con affetto: questo di oggi forse richiamerà lacrime più antiche che non ci eravamo permessi di provare, alle quali non avevamo concesso sfogo, espressione perché non potevamo concedercela. “Simile a pianta che non ha più fiori, ormai tronco, posso contorcermi. Salice piangente.” E’ il sentimento doloroso di una poetessa giapponese del ‘600, scritto dopo la scomparsa di tutti i suoi familiari… ma lei ha potuto permetterselo, ha potuto contorcersi, sostare nel suo dolore! Il dolore espresso, anche poeticamente, non distrugge, non lacera.
Scrivere, parlare, raccontare… raccontarci agli altri: a qualcuno che ci ascolti, che ci stringa una mano, che ci accompagni nella sofferenza, che condivida i nostri sentimenti. E’ la chiusura, il non parlare a “scavare un abisso tra sè e se stessi, tra sè e l’Altro, per il credente tra sè e Dio o qualsiasi forma di trascendenza. Parlare, al contrario, fa rientrare nel relativo”. E quello che era un dolore assoluto, che c’invadeva totalmente, diventa relativo proprio perché, raccontandoci all’Altro, entrando in relazione scopriamo che accanto all’emozione dolorosa c’è il conforto, la simpatia, la tenerezza, l’empatia, la comprensione, la commozione. E con la commozione riemerge il ricordo delle persone amate, dei momenti belli. L’animo si solleva, si eleva.

Per Assagioli come per Buber noi siamo esseri di relazione, non siamo esseri soli: non esiste l’io se non esiste il tu. Solo se siamo in relazione siamo noi stessi, siamo sulla strada dell’essere umano, siamo nella direzione del cuore, la kavvanà: quell’intenzione profonda, quella consapevolezza nel vivere per cui ogni azione, ogni gesto, ogni incontro, ogni cosa che ci circonda racchiude e imprigiona in sé preziose scintille che noi siamo in grado di liberare.
Basta aprire lo sguardo e alzare gli occhi al cielo, soffermarsi sui volti delle persone, ammirare le cose stesse, persino gli oggetti ma farlo con affetto, con consapevolezza: basta provarci e ascoltare le emozioni di piacere che si sentono nell’animo come nel corpo! Quel sentire che il mondo è vivo, è dappertutto, è con noi. A volte immaginiamo che la felicità abiti nelle grandi cose, nei grandi avvenimenti: una felicità rimandata… invece la felicità abita qui, adesso, nelle piccole cose, dentro di noi, nel quotidiano come tante “storielle” chassidiche sanno raccontarci così bene. Altre volte crediamo invece che capiti… ai fortunati, ma in realtà la felicità, la gioia noi possiamo cercarla e trattenerla, possiamo svilupparla coltivando un senso di gratitudine verso tutto ciò che ci circonda: è un nostro orientamento e sta a noi allenarci a percepirla.
Sì, è la gioia, conclude Enzo Liguori, uno dei valori più importanti e non è incompatibile con il dolore. Lo conferma un ospite d’eccezione arrivato da Roma e seduto tra il pubblico: Yoav Dattilo, psicologo psicoterapeuta e vice presidente della Società Italiana di Psicosintesi Terapeutica che cita un racconto chassidico. “Cos’è la gioia? La gioia è ciò che prova colui al quale hanno bruciato la casa, comincia a ricostruirla e prova gioia per ogni mattone, per ogni pietra che pone”. La gioia anche di ricostruire, di trasformare: quest’esperienza di gioia che può seguire il dolore. Può trasformare l’oscurità in luce.

Sono trascorse serenamente più due ore, confermate da un caloroso applauso. La sala, che nel frattempo si è riempita, si anima: gli ospiti sorridono, si avvicinano ad Enzo e a Ginette per avere informazioni sui prossimi incontri, per chiedere un appuntamento al Centro o per scrivere il titolo di uno dei tanti libri citati durante la conferenza. Si formano piccoli gruppi spontanei che si scambiano pareri e sensazioni, che condividono pensieri ed emozioni. E organizzano il ritorno a casa insieme, unendo i loro percorsi. Ecco, questa è la psicosintesi.

Roberto Assagioli (1888-1974)
Uomo di vastissima cultura e grande umanista, Roberto Assagioli, nacque a Venezia da genitori ebrei e si laureò giovanissimo in medicina all’Università di Firenze, presentando una tesi sulla psicoanalisi preparata all’ospedale psichiatrico zurighese Burghölzli, dove conobbe C. G. Jung, con il quale strinse un’amicizia e una fraternità spirituale che durarono tutta la vita. Specializzatosi in Psichiatria, iniziò a dedicarsi alla pratica psicoterapeutica; entrò in contatto con S. Freud e divenne il “rappresentante” della Psicanalisi in Italia dalla quale, però, ben presto prese le distanze per elaborare e sviluppare, attraverso ricerche e sperimentazioni, quello che doveva essere il suo sistema: un approccio multidimensionale alla psiche umana, a cui diede il nome di Psicosintesi, termine da lui usato ufficialmente dal 1926, anno in cui venne fondata a Roma la prima sede dell’Istituto di Psicosintesi.
Viaggiò molto, ebbe contatti con personalità eminenti dei vari campi della cultura, dell’arte, della filosofia, della religione: incontrò Einstein, il poeta Tagore, lo scrittore James Joyce, il filosofo Buber, il maestro zen Suzuki, il Lama Govinda.
Imprigionato e poi esiliato dal regime fascista, visse a lungo negli Stati Uniti dove ebbe modo di far conoscere ed apprezzare la psicosintesi e dove, ancor oggi, la sua fama personale e il suo approccio terapeutico sono molto noti e apprezzati.
Tornato in Italia si dedicò ai pazienti e alla crescita, sia in Italia sia in Europa, degli Istituti di Psicosintesi che hanno il compito di comunicare la visione globale e positiva dell’uomo e delle sue straordinarie possibilità, applicabili ai campi della autoformazione, dell’educazione, dei rapporti interpersonali e della terapia. “La psicosintesi è un metodo di sviluppo psicologico e di autorealizzazione per chi rifiuta di rimanere schiavo dei suoi fantasmi interiori o di influenze esterne ed è intenzionato ad acquistare il dominio sulla propria vita.” Roberto Assagioli

Info: www.psicosintesi.it