Storia di un sindaco ebreo che salvò Giotto e i suoi affreschi

di Michael Soncin

L’incredibile vicenda di Giacomo Levi-Civita che riuscì a salvare la Cappella degli Scrovegni a Padova dalla distruzione. E di come Giotto inventò l’immagine del “bacio di Giuda”, paradigma iconografico medievale dell’antigiudaismo cristiano

Appena si entra si rimane abbagliati dall’incredibile turbinio di colori. Una vera e propria meraviglia, dove il primo sguardo si orienta immediatamente verso l’alto, dentro un tuffo nel preziosissimo cielo blu di lapislazzuli, disseminato di stelle dorate. Stiamo parlando della Cappella degli Scrovegni di Padova, i cui affreschi dipinti dal padre della pittura moderna, Giotto (1267-1337), sono considerati uno dei capolavori dell’arte occidentale, entrati a far parte, solo nel 2021, dei patrimoni dell’umanità dell’Unesco. Ma quali relazioni con il mondo ebraico può avere un’opera dell’arte cristiana? Più di una, da una pittura che è anche sismografo del grado di antigiudaismo del tempo, alla preservazione dell’edificio stesso, grazie ad un ebreo di nome Giacomo Levi-Civita (1846-1922).

 PERSONALITÀ MULTITASKING
«Giacomo Levi-Civita nacque a Rovigo e successivamente si trasferì con la famiglia a Padova, città di cui fu sindaco dal 1904 al 1910. Una personalità che si può considerare “multitasking”: è stato un avvocato, un politico, un garibaldino, ma alla fine, può considerarsi passato alla storia per l’importantissimo ruolo che ha avuto nella mancata distruzione della Cappella degli Scrovegni». A spiegarlo è Gianfranco Ferlisi, esperto e critico d’arte, autore di un corso sul pregiudizio ebraico nell’arte a cura dell’associazione culturale Nodedim. Nato dal commerciante Abramo Levi e Rachele Civita, Giacomo studia a Pavia, dove giovanissimo si laurea in Giurisprudenza. Dopo aver combattuto poco più che ventenne sull’Aspromonte, rientra a Padova dedicandosi all’attività di avvocato.

«Lo sappiamo, gli Scrovegni erano dei ricchi nobili e quello non era altro che il loro palazzo famigliare. Era il Trecento, i secoli passano arrivando poi nell’Ottocento, quando l’ormai antica costruzione appartenente alla famiglia Gradenigo è in rovina, addirittura il portico della cappella nel 1817 era crollato. Si comprende che lo stato di salute si trovava in precarie condizioni. A questo punto i Gradenigo, nobili decaduti, pensano di venderla, incaricando dei mediatori per cederla all’estero. Si ipotizza, secondo quanto riportato anche da Chiara Frugoni, nell’importante libro L’affare migliore di Enrico (Einaudi), che anche il Victoria & Albert Museum di Londra fosse interessato all’acquisto. Ma a questo stato di trascuratezza la città si ribella». Come racconta Ferlisi, è tutto un susseguirsi di vicende e vari personaggi. Dopo circa 30 anni la città di Padova tenta di acquistarla, ma questo non è possibile poichè i Gradenigo non riescono a dimostrare di avere la totale proprietà della cappella. Così, dopo litigi e un gran caos sarà proprio Levi-Civita a trovare una soluzione, visto che tra gli attori della partita in atto, c’erano gli Eremitani che vantavano dei diritti d’uso della cappella.

UN MEDIATORE VINCENTE
«Levi-Civita fa da mediatore, con una causa che non rappresenterà il Comune di cui è consigliere, ma la fabbriceria degli Eremitani, che era adiacente alla cappella. Come? Portando una grande mole di documenti, testimonianze anche orali, in cui dimostra concretamente che dal 1306, anno in cui la cappella era stata completata, ogni 25 marzo, nel giorno dell’Annunciata, la gente andava in chiesa, faceva una processione, con tutta una ritualità complicata. Questi elementi dimostrano che la chiesa era stata sì costruita da Enrico Scrovegni, ma con un diritto d’uso pubblico nei confronti dei padovani. Con grande abilità e diplomazia Giacomo Levi-Civita, nel rappresentare la fabbriceria vince la causa, di fatto i Gradenigo erano i proprietari ma la fabbriceria ne aveva il diritto d’uso. Una storia dal lieto fine conclusasi attorno al 1880, che ha permesso finalmente al Comune di potere acquistare la proprietà, mettendo in salvezza il capolavoro». Giacomo Levi-Civita, era ben voluto dai suoi cittadini. È stato definito dal giornale Il veneto “il Sindaco più benemerito, più geniale, più intraprendente di questa vecchia città”. Nel ruolo di primo cittadino «si occuperà del piano regolatore urbanistico che faticava ad andare avanti e in questo contesto è a lui che si deve la realizzazione dei Giardini dell’Arena». Inoltre, è conosciuto per essersi battuto per la laicità nella scuola e per l’attenzione data all’istruzione femminile.

LE STELLE DI DAVID
«Gli interventi di restauro agli affreschi erano stati eseguiti subito dopo il 1880, quando vi era necessità di mettere in salute e in sicurezza l’intero ciclo pittorico. Quando Levi-Civita è sindaco si attiva per sistemare anche il pavimento. Questo piano di calpestio fa da contrappunto alla volta dove ci sono 700 stelle. Tutte le stelle hanno otto punte, non sono molto stilizzate, sono abbastanza allungate e semplici. Mentre sul pavimento c’è un intreccio di Maghen David che forma una tarsia marmorea». Tutti quelli che hanno visitato o visiteranno il complesso noteranno però che questo pavimento con le stelle di Davide è coperto da un tappeto. «Non parlerei proprio di antisemitismo. Il motivo per cui è coperto sembra non sappia rispondere nessuno. È però un pavimento del Novecento in contrasto stilistico con la pittura gotica; perciò, l’espediente di una moquette anonima potrebbe anche essere ragionevole».

IL FIGLIO ECCELSO MATEMATICO
«Suo figlio, Tullio Levi-Civita (1873-1941) è stato un grande matematico, docente alla Sapienza di Roma, che finì per essere dimenticato da tutti. Erano gli anni del fascismo. Nel 1938 perde la cattedra divenendo oggetto di persecuzione». Poi venne nominato da Pio XI membro dell’Accademia Pontificia della scienza, cosa che gli permise di avere una retribuzione e di continuare gli studi. Quando scomparve nel bel mezzo degli anni più bui nel Novecento italiano, tutto il mondo scientifico si scordò di lui. Un silenzio assordante, perché non fu un matematico qualunque, ma come riporta anche l’enciclopedia Treccani fu “tra i più grandi matematici del Novecento”, conosciuto, per citarne una, per lo studio del calcolo differenziale applicato alla Teoria della Relatività di Einstein.

QUEL NEFASTO BACIO DI GIUDA
«Vorrei far notare un concetto sul quale non si riflette abbastanza: la Cappella degli Scrovegni si deve ad una persona che era notoriamente un “usuraio”. È infatti risaputo che il padre di Enrico Scrovegni viene messo da Dante all’Inferno nel girone degli usurai, ma lo stereotipo dell’usuraio non c’è ancora quando Giotto realizza i vari scomparti, c’è però il Bacio di Giuda. È il bacio del tradimento, del tradimento dell’amico. È un bacio nefando che è alla base dell’accusa plateale e brutale di deicidio. Osservando la pittura, si può notare l’immagine avvitarsi in questo abbraccio mortale, con il manto giallo, colore simbolo del tradimento stesso. E proprio qui si riversa tutto l’odio possibile, perché Giuda diventa simbolo di tutti i giudei». Lo storico Ferlisi sottolinea che l’oscurità che predomina nell’affresco, rimanda al peccato che avvolge ogni cosa, a partire dal peccato dato dal tradimento.

«Proprio da qui nasce un nuovo modo di teorizzare e di spiegare per immagini e di comunicare, poiché il pezzo di Giotto sarà replicato, imitato, preso come modello di riferimento, da generazioni e generazioni di pittori. Abbiamo di fronte a noi un nuovo modo di parlare del disprezzo verso l’ebreo, attraverso un linguaggio moderno. Avere inserito un’immagine nuova con il bacio, in cui l’insegnamento del disprezzo può essere funzionale, è qualcosa di terribile pur parlando di un personaggio che ha qualità straordinarie. Se non possiamo discutere su Giotto come artista, possiamo discutere intorno ai committenti che gli chiedono di farlo, di rendere spregevole, ad arte, la figura dell’ebreo».

LA PADOVA EBRAICA

Dal 1998, anno in cui la Comunità Ebraica di Padova iniziò a pubblicare il primo di due volumi, intitolato Hatikwà. Il cammino della speranza. Gli ebrei e Padova, abbiamo dovuto aspettare oltre vent’anni per vedere alle stampe un testo nuovo e aggiornato, che è frutto di un convegno, organizzato nel 2022. Tra i presenti nel Comitato scientifico che hanno coordinato la pubblicazione ci sono: Gadi Luzzatto Voghera, direttore del CDEC; Adolfo Locci, rabbino capo della Comunità Ebraica di Padova; Maddalena Del Bianco Cotrozzi, ordinaria di Storia dell’ebraismo nell’Università di Udine. Una ventina di saggi scritti, come quello a firma di Antonio Spagnuolo, I cimiteri ebraici del Padovano e del Polesine. Spazi di confine identitario tra tolleranza e ostilità; Pier Cesare Ioly Zorattini, Gli ebrei nell’Accademia Galileiana di Scienze; Giuliano Tamani, Libri ebraici stampati a Padova nella seconda metà dell’Ottocento. Insomma, dei saggi, uno più interessante dell’altro, tutti rigorosamente documentati, che raccontano la storia degli ebrei padovani, una storia di una comunità, come scrive Luzzatto Voghera, nel saggio finale Essere ebrei a Padova nel secondo Dopoguerra, la cui “emorragia demografica prodotta dalle persecuzioni” fu particolarmente grave. 

Gli ebrei a Padova dal Medioevo ai giorni nostri. Il valore di una presenza, A cura di Pier Cesare Ioly Zorattini, Adolfo Locci, Stefano Zaggia, pp. 305, Giuntina, euro 30,00

 

 

Per visitare il Museo Ebraico di Padova e la Sinagoga Askenazita consulta il sito: museopadovaebraica.it

Maggiori informazioni per visitare la Cappella degli Scrovegni su: cappelladegliscrovegni.it

Segnaliamo inoltre, sempre a Padova, al Museo Eremitani, la mostra dal titolo Lo scatto di Giotto. La Cappella degli Scrovegni nella fotografia fra ‘800 e ‘900, visitabile fino al 7 aprile 2024.