Saul Bellow, lo scrittore ribelle che rifiutava l’etichetta di “autore ebreo americano”

Personaggi e Storie
di Roberto Zadik
Vent’anni fa se ne andava Saul Bellow. Omaggio al grande scrittore de “Il dono di Humboldt”, canadese naturalizzato americano,  scomparso il 5 aprile 2005. Il 10 giugno avrebbe compiuto 110 anni.
Una vita romanzesca, paradossale e turbolenta, degna di una delle sue migliori trame, è stata quella vissuta dal grande scrittore ebreo canadese, naturalizzato americano, Solomon Bellows, noto come Saul Bellow, che è passato alla storia con opere come Herzog, L’uomo in bilico e il dono di Humboldt con cui si  aggiudicò il Premio Nobel per la Letteratura nel 1976.
Temperamento brillante ma assai irascibile, autore fortemente psicologico e corrosivo, verso la società americana e riguardo alla propria identità ebraica, fu amico di un altro gigante dissacrante come Philip Roth. Bellow è scomparso vent’anni fa, il 5 aprile 2005, poco prima del suo novantesimo compleanno, che sarebbe stato, circa due mesi dopo, il 10 giugno.
Contraddittorio e “sradicato”  fin dalla nascita,  nella parte francofona del Canada, a Lachine, non lontano da Montreal, il 10 giugno 1915 , da famiglia ebraica lituana, prima di trasferirsi, a 9 anni, a Chicago e diventare cittadino americano.  Vista la sua forte vocazione spirituale e introspettiva, sua madre, come racconta un interessante articolo del Times of Israel,  quando il futuro scrittore aveva solo 17 anni voleva che diventasse rabbino. Visse una vita lunga ma costellata da crisi e complicazioni, dalla morte dell’adorata madre ai cinque matrimoni e, nonostante trattasse spesso e volentieri di tematiche ebraiche, come nel romanzo La vittima, respinse costantemente la definizione di “autore ebreo americano” perché  la trovava troppo limitante rispetto al suo modo di essere. Così come, malgrado avesse vissuto a stretto contatto con la comunità ebraica, rifiutò quella “soffocante ortodossia”, come la definì in una intervista, che, a suo parere, caratterizzava la vita religiosa.
Personalità difficile e stimolante, come evidenzia la biografia La vita di Saul Bellow: Amore e scontro 1965-2005. Firmata da Zachary Leader, autorevole professore di Letteratura Americana, il voluminoso resoconto, quasi 800 pagine,  parte da quando l’autore ebbe la sua consacrazione con Herzog che racconta la crisi esistenziale di un ebreo americano, Moses Herzog, che scrive lettere, molte delle quali mai spedite, a svariati destinatari, parenti ed amici sfogando la sua frustrazione e il proprio senso di fallimento.
Da quel romanzo che, per alcuni  versi, è fortemente autobiografico, viste le sostanziali affinità fra il protagonista e l’autore, iniziò il grande successo di Bellow che, fra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta, visse il suo periodo migliore. La biografia, scritta da Leader, è piena di curiosità e aneddoti interessanti sulla sua figura. Intervistato dal Times of Israel egli racconta del gelido incontro con Bellow, nel 1972, in una cittadina del Massachussets, quando, durante una presentazione,  lo scrittore sembrava annoiato e di pessimo umore e che quando gli si avvicinò, mentre era circondato da un pubblico di ammiratori e amici, Bellow, senza dire una parola, si limitò a stringergli la mano andandosene via con la moglie.
Descrivendolo come un personaggio pungente e suscettibile, egli attribuì parte di questo suo carattere al difficile contesto famigliare in cui crebbe, povero e segnato dalle persecuzioni antisemite, vissute dai genitori in Russia, che gli trasmisero la loro durezza e aggressività disprezzandone il talento letterario e le inclinazioni intellettuali. Per questo motivo, secondo questa tesi, egli si gettò a capofitto nella letteratura definendola “il paradiso dei perseguitati” cercando libertà e realizzazione, pur restando un personaggio schivo e refrattario alle eccessive mondanità e alla tentazioni materialistiche del successo, che ottenne soprattutto nella seconda parte della sua vita. Leader sottolinea, inoltre, come Bellow sentisse fortemente la sua nuova identità americana volendo “insegnarla” anche ai suoi lettori narrando le vicende di protagonisti ebrei americani, nonostante le sue idee progressiste e fortemente critiche verso la società americana.
Fu contestatore e critico rispetto alla Guerra del Vietnam, moderatamente Democratico e di sinistra, anche riguardo a Israele,  sostenendo la necessità di “due popoli e due stati”. Come ha ricordato un altro articolo uscito nell’aprile dell’anno scorso su Tablet Magazine, Bellow divenne uno dei più celebrati scrittori americani della seconda metà del Novecento, nonostante suo padre e i fratelli si opponessero tenacemente alla sua vocazione creando in lui una tale insicurezza che arrivò a definirsi, stando alla biografia di Gerald Sorin,  uno “shmuck,” parola Yiddish che significa “stupido, con una penna”.
Lo scrittore fu tuttavia sempre orgoglioso delle proprie radici ebraiche ricordando come “esse sono una grande fortuna che non bisognerebbe mettere in discussione”. Sempre in bilico fra il proprio retroterra ebraico lituano, di lingua Yiddish, e la nuova identità americana, egli, nelle sue opere, si ispirò sia alla grande narrativa ebraica russa e a autori come Sholem Aleichem, famoso per opere come Teiwe il lattivendolo, così come a Kafka, mischiando ironia e amarezza, esuberante fantasia, aspro spirito critico e cinismo a volte divertente e altre molto irritante; contrario alle ipocrisie e fanatismi della società odierna creò un universo letterario ed ebraico di rara lucidità, unicità e modernità pervaso dal suo inconfondibile ed elegante anticonformismo.