Kasher-gourmet: la cucina ebraico-romanesca dal balcone al web

di David Zebuloni

Ruben Bondì, food blogger da milioni di follower

Ha conquistato il web con il suo sorriso smagliante e quella parlata romana che fa venire fame solo ad ascoltarla. Cucina in balcone e interagisce con i passanti gridando loro “Aò, che te voi magnà?”. Stiamo parlando di Ruben Bondì, tra i più amati, seguiti, apprezzati e affermati Chef e Food Blogger (guai chiamarlo influencer) d’Italia, talentuosissimo, simpaticissimo e popolarissimo in rete: tutti superlativi meritati e avallati dai milioni di utenti che lo seguono sui social. Su Instagram “Cucina con Ruben” conta ad oggi 1,5 milioni di follower, mentre su TikTok arriva a 2,4 milioni, ed è presente su molte altre piattaforme. Ruben fa riferimento alla cucina delle nonne, delle zie, delle mamme, quella giudaico-romanesca rivisitata e attualizzata oggi in tutte le loro ricette. La sua passione per la scorza di limone è nota ormai a tutti, così come alcune espressioni diventate parte di quel lessico famigliare che è poi la Rete. Una tra le tante, indimenticabile: “Il prezzemolo, più lo triti fine e più rimorchi”. A soli ventisei anni, il giovane cuoco ha pubblicato il suo primo libro di ricette: Cucina con Ruben, edito da Cairo e disponibile in tutte le librerie. Poco dopo, è approdato per la prima volta in tv su Food Network con Cucina in balcone con Ruben. Ci siamo incontrati per la grande occasione, rigorosamente online, e abbiamo parlato del suo cassetto ingombro e zeppo di sogni. Quelli già realizzati e quelli ancora da realizzare.

 

 

Ruben, un tempo cucinavano le nonne, oggi invece cucinano i nipoti. Perché?
Non credo che le dinamiche siano cambiate. Le nonne hanno sempre cucinato e i nipoti hanno sempre imparato da loro guardandole. Semplicemente adesso lo notiamo di più, perché siamo esposti ai social. Io ho due nonne e una mamma che cucinano benissimo, loro mi hanno trasmesso questa passione, ma la cosa bella è che oggi possiamo celebrare la cucina autentica, tradizionale e famigliare attraverso i video che postiamo in rete.
Tu come hai cominciato?
Ho frequentato la scuola scientifica, ma non mi è mai piaciuta. Il primo anno, infatti, mi hanno bocciato. In quel periodo mi sono appassionato alla cucina: guardavo sempre programmi di cucina e leggevo libri di cucina. Così, l’anno successivo, mi sono iscritto all’alberghiero, ma la pratica a scuola non mi bastava e ho cominciato a lavorare a quindici anni in un ristorante sotto casa, gratis.
Un’esperienza emozionante o frustrante?
Lì ho iniziato a vivere la cucina vera. Infatti dico sempre, e ogni volta mi vengono i brividi, che in quel periodo avevo sempre il terrore che la giornata giungesse al termine e lo Chef mi dicesse la frase “abbiamo finito, ci vediamo domani”. Io, se avessi potuto, avrei anche dormito in quella cucina. Mi sento molto fortunato ancora oggi, perché faccio il lavoro che amo. Mi sveglio la mattina e sono felice. Per questo motivo lavoro tutto il giorno, tutti i giorni, e non sento la fatica.
La cosa che più ti caratterizza è la modernizzazione della cucina tradizionale. Nel tuo caso, quella giudaico romanesca. Ecco, come si aggiornano le ricette delle nonne senza violarle?
Rispettandole. Per aggiornare una cucina, infatti, devi conoscerla bene. Non si può partire dal moderno per poi scoprire la tradizione. Solo se conosci a fondo la tradizione, puoi permetterti di modernizzarla.
Le tue nonne come reagiscono ai tuoi esperimenti?
Nel mio caso bene. Alla fine sono dieci anni che cucino per loro. Un tempo, erano proprio le mie cavie. Oggi, un po’ meno. Però devo dire che sono sempre ben disposte.
Una domanda non politically correct: cucini meglio tu o cucinano meglio loro?
Guarda, io ho la nonna Emma che è molto brava, ma la nonna Mimmi è completamente a un altro livello rispetto al nostro. Lei ha proprio inventato delle tecniche tutte sue. Fa delle cose che mi chiedo sempre dove le ha imparate, ma capisco che lei agisce d’intuito.
Tu, invece, ti definisci più un tradizionalista o un innovatore in cucina?
Nessuno dei due in realtà, dipende piuttosto da ciò che devo fare. Io amo la cucina tradizionale. Il fatto che apporto qualche piccola modifica, non fa di me un visionario.
Qualche domanda a bruciapelo, ci stai?
Daje, vai.
Il tuo piatto preferito da mangiare?
L’arrabbiata col pecorino.
Quello preferito da preparare?
Il tonno alla cacciatora.
Se fossi una verdura, quale saresti?
Le puntarelle.
Perché sono amare?
No, al contrario. Perché so’ bone. E poi perché da piccolo non mi piacevano, e adesso mi piacciono da morire. Questa è la prova che i sapori vanno esplorati.
Appartieni al team dolce o al team salato?
Salato, salatissimo.
Il tuo Chef di riferimento? Il tuo mito in cucina? La tua fonte d’ispirazione?
Non ho un mito, ma mi piace molto Cannavacciuolo.
Ti senti più Chef o più influencer?
Sicuramente non mi sento un influencer, ma non mi sento neanche Chef in realtà. Mi sento una persona che fa ciò che ama. Io porto sui social la mia passione, non credo di influenzare nessuno. Certo non ci provo.
Ho la perenne percezione che tutto sui social risulti un po’ più piatto e artificiale della realtà. Pensi che anche la cucina sia vittima di questo fenomeno?
No, credo piuttosto che la cucina oggi sia diventata di tutti. Per mangiare un buon piatto non devi andare necessariamente al ristorante, te lo puoi fare pure da solo. Questa è una cosa bella. Il brutto, invece, è che i social sono sempre un’arma a doppio taglio. Voglio dire, la cucina bisognerebbe farla fare a chi la sa fare.
Di ragazzi appassionati di cucina come te, la rete è piena. Oltre al talento, come spieghi questo successo cosmico?
Credo che sia un intreccio di fattori diversi. Tutte cose capitate per caso, e sulle quali ho riflettuto dopo. Innanzitutto, penso che le persone apprezzino il fatto che cucino in balcone utilizzando solo un fornelletto e un tagliere. Sporcando poco e impiegandoci dieci minuti, creo dei piatti semplici e buoni. Questa è una cosa che piace alla gente, perché non tutti hanno il tempo di trascorrere ore e ore in cucina. Poi c’è la questione della convivialità riscoperta. Quando ho cominciato a coinvolgere i passanti e i vicini di casa, domandando loro cosa volessero mangiare e scendendo poi in strada con il piatto finito, i feedback sono stati sorprendenti. Dopo due anni di Covid e di distanziamento, le persone desideravano questo incontro umano, oltre che culinario. E poi ancora c’è la parlata romana, che è inclusiva e piace sempre.
Ruben, il mercato è saturo di libri di cucina e tu ne hai appena pubblicato uno. Quale credi sia il suo valore aggiunto?
Credo che nessuno abbia mai accostato la cucina kasher a quella gourmet. Questo, quindi, è il primo libro di ricette kasher che ha anche degli elementi gourmet. In molti credono che la cucina kasher sia limitativa, fatta di privazioni, ma si sbagliano. Si tratta di una cucina che può darti tantissimo se la conosci bene.


Com’è strutturato il libro?
In tre parti. La prima, quella basica, la cucina tradizionale che va assolutamente conosciuta. La seconda, quella orientale e tripolina, che anche se non fa parte della mia famiglia, ormai fa parte della mia cultura. E la terza, come ti dicevo, quella gourmet.
Oltre a proporre al lettore delle ricette, il tuo libro funge anche da autobiografia. Perché hai sentito il bisogno di raccontarti?
Sì, è anche una sorta di autobiografia. Ci sono una decina di pagine iniziali, che per me hanno un valore molto profondo. Io questo libro non l’ho scritto solo per farlo leggere alla gente, ma l’ho scritto anche per me stesso. Per rendere fiera la mia famiglia e me stesso. Io non sono mai contento e soddisfatto di ciò che faccio, sono sempre un po’ irrequieto e agitato, mi manca sempre qualcosa. A volte è simbolo di ambizione, a volte invece è sintomo che te devi dà ‘na calmata. Ecco, il secondo, è il mio caso. In questo libro mi sono messo a nudo. Infatti, nella sezione dei ringraziamenti, l’ultimo ringraziamento è rivolto a me stesso. Mi sono ringraziato da solo, ed è una cosa che non ho mai fatto prima.
Perché?
Perché mi sono detto che, magari tra qualche anno, in un momento di sconforto come capita spesso quando mi butto giù, rileggendo quel ringraziamento mi dirò: “Bravo Ru, a 25 anni hai scritto il tuo primo libro di cucina”.
Quest’anno sembra che tu abbia realizzato abbastanza sogni per una vita intera. Ti è rimasto ancora un piccolo sogno nel cassetto da realizzare, o hai fatto il tutto esaurito?
Come ti dicevo, io c’ho l’ansia perenne, quindi nun me ce fa’ pensà. Confesso però di aver realizzato quest’anno uno dei miei sogni più grandi: un programma televisivo tutto mio. Un sogno che coltivo da quando avevo quattordici anni, quando guardavo i programmi degli altri e mi domandavo se un giorno sarebbe toccato a me. È stata dunque una soddisfazione unica, anche perché l’ho fatto a casa mia, con tutta la mia famiglia e tutti i miei amici. Credo soprattutto di essere riuscito a esprimere tutta la mia passione per la cucina. Tra poco registreremo le nuove puntate: spero sia solo l’inizio di una nuova carriera televisiva.