La famiglia Sarano

Una storia di Giusti: il diario segreto di Alfredo Sarano e il convento di padre Sante Raffaelli

di Cristina Uguccioni
Per il Giorno della Memoria, Vatican Insider de La Stampa racconta una storia di Giusti, che vede protagonista l’ebreo Sarano, che nel 1943 nascose i registri con i nomi degli ebrei milanesi e si salvò, insieme alla famiglia, grazie al padre Sante Raffaelli, ad alcuni contadini e a un tedesco.

(Nella foto, Alfredo e Diana Sarano con le figlie Matilde, Vittoria e Miriam. Fonte: archivio privato della famiglia Sarano)

Tutto comincia in Turchia, ad Aydin – riporta l’articolo – quando nel 1906 nasce Alfredo Sarano: i genitori, Mosè e Allegra, sono ebrei sefarditi. Nel 1911, a causa della guerra tra Italia e Turchia, la famiglia viene esiliata a Napoli e l’anno successivo si trasferisce a Rodi. Trascorrono gli anni e nel 1926 Alfredo decide di venire in Italia per iscriversi alla Facoltà di Economia e Commercio dell’Università Bocconi. Il giovane si impegna con passione negli studi e frequenta la comunità ebraica milanese. Dopo la laurea, nel 1931, inizia a lavorare come impiegato nella Comunità e viene raggiunto dai genitori e dal fratello Arturo.

In quello stesso anno Mussolini vara una legge che dispone per le piccole Comunità ebraiche di essere assorbite dalle grandi e per gli ebrei di iscriversi alla Comunità di residenza e non più a quella di nascita. Alfredo riceve dalla Comunità l’incarico di addetto ai tributi: il suo compito è quello di redigere un elenco dettagliato e aggiornato degli ebrei che vivono nel capoluogo lombardo, un numero che va crescendo poiché in città giungono moltissimi ebrei in fuga dall’Europa nazista.

Le leggi razziali  

Il 1938 è l’anno della promulgazione delle leggi razziali, del “Manifesto sulla razza”, l’anno durante il quale l’Ufficio demografico centrale diventa Direzione generale per la demografia e razza (Demorazza) che ha quale primo compito il censimento di tutti gli ebrei residenti in Italia. Per Alfredo il 1938 è l’anno delle nozze con Diana Hajes, una giovane ragazza anch’essa originaria di Aydin. La coppia avrà tre figlie: Matilde, Vittoria e Miriam. «Papà era un uomo di grande rettitudine e onestà, molto modesto, umile, anche timido. Aveva un cuore limpido, era un giusto», dice a Vatican Insider la figlia Vittoria, che è sposata, ha due figli e vive in Israele, a Tel Aviv. «Papà fece tutto il possibile non solo per mettere in salvo la propria famiglia, ma anche per proteggere gli ebrei. Fu lui, infatti, a nascondere i registri con l’elenco dettagliato degli ebrei di Milano, dei quali si sentiva responsabile. Noi non ne sapevamo nulla. Scoprimmo questo gesto soltanto dopo la guerra leggendo il suo Diario, che ci aveva voluto donare».

Il Diario inedito  

Questo Diario, rimasto sconosciuto per decenni, è stato pubblicato di recente dalla San Paolo con il titolo “Siamo vivi siamo qui”. Il volume, con prefazione di Liliana Segre, è stato curato dal giornalista Roberto Mazzoli, che aveva letto un libretto, scritto da un francescano, nel quale si narrava di un giovane allievo ufficiale tedesco della Wehrmacht di 21 anni, Erich Eder, cattolico, il quale, nel 1944, si fermò a Mombaroccio e si rifugiò con i suoi uomini presso il convento del Beato Sante, dove trovavano riparo anche molti abitanti della zona in occasione dei bombardamenti. Erich sapeva che alcuni di loro erano ebrei ma non li denunciò, né li fece deportare. Mazzoli ha voluto cercare questi ebrei e – dopo una lunga e paziente ricerca – ha rintracciato le figlie di Alfredo e il Diario.

Il libro in mano ai nazisti  

Torniamo al 1938 e al censimento della Demorazza: a Milano la Comunità ebraica deve collaborare con l’ufficio dell’anagrafe comunale fornendo l’elenco degli ebrei, ma, racconta Mazzoli, «Alfredo intuisce il pericolo di collaborare per quel censimento e lucidamente ne rallenta il lavoro arrivando persino a boicottarlo. (…) Il censimento giunge al termine in tutta Italia nell’autunno del 1938. A Milano viene realizzato un libro che sul finire del 1943 cade in mano ai nazisti, senza tuttavia che riescano a utilizzarlo e ciò per due motivi. Anzitutto dopo l’8 settembre molti milanesi sono sfollati a seguito dei pesanti bombardamenti alleati. In secondo luogo l’elenco dei nominativi di quel libro è rimasto pressoché fermo al censimento del 1938 ed è in gran parte confuso grazie all’ostruzionismo di Sarano». I registri più corposi e chiari, che Sarano pazientemente tiene aggiornati, sono custoditi negli uffici della Comunità ebraica.

I registri nascosti  

La famiglia Sarano, nell’estate del 1943, parte per le Marche: Alfredo, rimasto a Milano, assiste ai massicci bombardamenti sulla città. Il 12 settembre annota nel Diario che «un imponentissimo numero di carri armati prese posizione lungo i bastioni di porta Venezia, Porta Vittoria, Porta Lodovica, Porta Ticinese ecc». E prosegue: «Quando arrivai in ufficio dissi al ragionier D’Angeli che, visto che i tedeschi erano già giunti a Milano, bisognava abbandonare gli uffici e disperdere i registri affinché non cadessero nelle mani dei tedeschi in modo da non consentire loro di reperire facilmente gli ebrei. Aggiunsi che dovevamo abbandonare corso Italia 6 (sede degli uffici della Comunità, ndr) e non farci più vedere al fine di non essere arrestati dai tedeschi e costretti a denunciare gli ebrei di Milano, dato che conoscevamo una gran parte di loro». Perciò – scrive – «vuotammo gli uffici e nascondemmo nelle varie cantine tutti i registri e tutti gli schedari della Comunità perché non vi era modo e tempo di bruciarli». I tedeschi non li troveranno mai.

A Mombaroccio 

Alfredo decide di raggiungere la famiglia nelle Marche, a Pesaro, che è appena stata occupata dai tedeschi. Il pericolo è grande. E così, racconta la figlia Matilde, «appena mio padre arrivò da Milano, con suo fratello Arturo, prese un biroccio con un asino e ci caricò sopra quel poco che avevamo: poi ci mettemmo in viaggio verso Mombaroccio». Lì Alfredo «riuscì a prendere in affitto presso il Passo del Beato Sante una casa di campagna molto malandata, che era in realtà una stalla, da un contadino di nome Gino Ciaffoni, il quale scoprì che eravamo ebrei». Anche «un contadino di nome Dante Perazzini e padre Sante Raffaelli, del convento del Beato Sante, sapevano che eravamo ebrei: non lo rivelarono mai».

Nel 1944 a Mombaroccio inizia il passaggio delle truppe tedesche in ritirata e per la famiglia Sarano, che vive ai piedi del Santuario del Beato Sante, comincia un tempo di grande paura. In primavera 150 paracadutisti tedeschi provenienti da Montecassino si stabiliscono in paese dove cominciano anche i rastrellamenti dei fascisti che sono in cerca di partigiani. Padre Sante Raffaelli, che è guardiano del convento, si prodiga in ogni modo per assicurare protezione a ebrei, disertori e partigiani nascosti nei dintorni. Molti ebrei di passaggio a Pesaro vengono condotti al convento dal clero diocesano. Nell’estate del 1944 sono decine le famiglie che possono contare sull’accoglienza dei frati e gli sfollati che vivono nei dintorni sono sempre in contatto con padre Sante.

I tedeschi in casa  

Una mattina di quell’estate del 1944 entrano in casa dei Sarano due soldati tedeschi con due galline morte in mano e ordinano alla moglie di Alfredo di cucinarle. Qualche ora dopo tornano per mangiarle. Raccontava Diana: «Eravamo lì seduti con la morte nel cuore perché temevamo che scoprissero che eravamo ebrei, cosa che poteva uscire dalla bocca delle bambine che loro presero sulle ginocchia mettendosi a giocare con i loro boccoli». Vittoria ha pochi ricordi del tempo trascorso a Mombaroccio ma, dice, «ne conservo uno di papà che mi fa sempre sorridere: d’inverno, al mattino, si alzava e apriva la porta di casa: la neve gli arrivava al petto. Allora ne raccoglieva un po’, la metteva in un bicchiere e, dopo averla ricoperta di marmellata, la mangiava».

L'ufficiale tedesco Erich Eder
L’ufficiale tedesco Erich Eder (Fonte: archivio privato Famiglia Sarano)

Erich Eder  

«Sul finire dell’estate 1944 – scrive Mazzoli – la Quinta armata americana e l’Ottava armata britannica sono pronte per iniziare l’attacco agli avanposti della Linea Gotica. Per capire l’importanza di queste operazioni belliche basti pensare che il 24 agosto giunge ai piedi di Mombaroccio, dal quartier generale di Siena, il premier inglese Wiston Churchill insieme al generale Harold Alexander. Nella notte tra il 25 e il 26 agosto (…) l’artiglieria comincia a colpire incessantemente la sommità del colle Santa Maria di Scotaneto prendendo di mira proprio il convento del Beato Sante dove si trovano centinaia di rifugiati nonché il comando tedesco guidato da Erich Eder». Questo giovane soldato da alcune settimane è infatti in paese con i suoi uomini. Alla vigilia della battaglia finale sceglie come alloggio personale proprio la casa di Alfredo, che si vede costretto ad accoglierlo.

Il tunnel  

Quella notte hanno inizio i bombardamenti e la famiglia Sarano corre al convento. Scrive Alfredo: «Entrammo nel rifugio che era costituito dalle cantine del convento, e cioè un tunnel lungo una trentina di metri, scavato nella roccia a due o tre metri di profondità sotto il livello del caseggiato. Trovammo tutti gli amici rifugiati in questo asilo». Nel corso della notte giungono anche una ventina di soldati tedeschi che entrano nel rifugio. Il loro arrivo, annota Alfredo, «provocò nella nostra famiglia una grande ansietà perché temevamo che inavvertitamente qualcuno denunciasse la nostra identità, oppure che i tedeschi, per una arcana intuizione, comprendessero che eravamo ebrei e ci prelevassero per inviarci nei campi di sterminio».

Già da settimane Erich Eder sa che i Sarano sono ebrei ma decide di non arrestarli né di farli deportare. A padre Raffaelli confida: «Non abbiamo notificato a nessuno la presenza degli ebrei quando ne siamo venuti a conoscenza. Per noi sono rifugiati come gli altri in questo convento». Alfredo non saprà mai di dovere la salvezza anche alla decisione di Eder.

La liberazione  

Nel rifugio le ore trascorrono nella paura mentre la battaglia continua e per l’intera giornata di sabato 26 agosto il cannoneggiamento infuria. «Quella sera versammo tutti calde lacrime pensando che fosse giunta la nostra ultima ora», scrive Alfredo. Poi racconta che, prima di lasciare il rifugio per cercare di ricongiungersi con il grosso dell’esercito, «il maresciallo della pattuglia (era Erich Eder, ndr) chiese a padre Sante di impartirgli la benedizione perché non sapeva se sarebbe uscito vivo. (…) Per un momento dimenticammo la tragica situazione nella quale ci trovavamo e ci commovemmo alla vista di quel militare che, da credente, invocava, per mezzo del sacerdote, la salvezza divina». Dopo ore di silenzio assoluto giungono i soldati canadesi. La mattina del 27 agosto i rifugiati escono dal tunnel e rivedono la luce. Sono salvi.

Nel 1945 i Sarano fanno ritorno a Milano e Alfredo riprende a lavorare con grande dedizione nella Comunità ebraica come segretario. Padre Sante Raffaelli, scomparso nel 1980, ricopre per trent’anni l’incarico di Commissario di Terrasanta per le Marche e va anche in Israele a visitare la famiglia Sarano, un incontro che Vittoria descrive come «molto commovente». Erich Eder torna al convento del Beato Sante, al quale si sente legato, in più occasioni; muore nel 1998.

Nel 1969 Alfredo si trasferisce con tutta la famiglia in Israele dove si spegne il 2 aprile 1990. Le figlie, che continuano a vivere in Israele, sono venute in Italia, a Mombaroccio, per rivedere le famiglie Ciaffano e Perazzini che durante la guerra avevano dato loro protezione. E nel 2016 hanno incontrato per la prima volta i figli di Erich Eder durante una cerimonia svoltasi nel teatro comunale di Mombaroccio.