La famiglia Sarano

Alfredo Sarano, “salvatore” dei milanesi, “salvato” nelle Marche

di Ester Moscati

Boicotta il censimento fascista degli ebrei nel 1938, nasconde ai tedeschi gli archivi della Comunità di Milano, limitando i rastrellamenti nazisti in città. Poi la fuga nelle campagne marchigiane, protetto dai contadini, da Padre Raffaelli e dal tedesco Erich Eder. Oggi dalla sua storia è nato un docu-film

Forse non sono molti gli ebrei milanesi consapevoli di dovere la propria vita alla lungimiranza e al coraggio di un uomo che ha protetto i loro nomi fin dal 1938, data del censimento degli appartenenti alla “razza ebraica” voluto dai fascisti. Ad Alfredo Sarano, segretario della Comunità ebraica milanese in quegli anni drammatici, viene ufficialmente richiesto di collaborare fornendo all’Anagrafe comunale i dati delle famiglie ebraiche; ma, intuendo il rischio insito in quella schedatura, Sarano riesce a ritardare, confondere, boicottare in buona sostanza il piano fascista. Così, quando nel 1943 i nazisti cercano di trovare in quei dati le tracce degli ebrei da deportare, si trovano di fronte a un quadro confuso e sostanzialmente inutile. Gli archivi completi e corretti dei 14.000 ebrei milanesi dell’epoca, che erano conservati negli uffici della Comunità, vengono fatti sparire dallo stesso Sarano, non appena le forze dell’Asse occupano Milano.

“Un imponentissimo numero di carri armati – scrive nel suo Diario – prese posizione lungo i bastioni di porta Venezia, Porta Vittoria, Porta Lodovica, Porta Ticinese. Quando arrivai in ufficio, dissi al ragionier D’Angeli che, visto che i tedeschi erano già giunti a Milano, bisognava abbandonare gli uffici e disperdere i registri affinché non cadessero nelle mani dei tedeschi, in modo da non consentire loro di reperire facilmente gli ebrei. Aggiunsi che dovevamo abbandonare corso Italia 6 (dove avevano allora sede gli uffici della Comunità) e non farci più vedere al fine di non essere arrestati dai tedeschi e costretti a denunciare gli ebrei di Milano, dato che conoscevamo una gran parte di loro. Vuotammo gli uffici e nascondemmo nelle varie cantine tutti i registri e tutti gli schedari della Comunità perché non vi era modo e tempo di bruciarli”. In questo modo, Alfredo Sarano protesse le identità e le case degli ebrei della Comunità di Milano, anche se, dopo l’8 settembre 1943, molti di loro erano già in fuga o sfollati fuori città.
Anche la famiglia Sarano, la moglie Diana Hajes e le tre figlie Vittoria, Matilde e Miriam, aveva trovato rifugio altrove, in provincia di Pesaro-Urbino. Alfredo le raggiunge nel paesino di Mombaroccio, dove, protetti dalla popolazione e, incredibilmente, anche da un giovane comandante tedesco, si salvarono.
La storia della famiglia, raccontata nel Diario di Alfredo Sarano, è stata pubblicata nel 2017 dalla San Paolo nel volume Siamo qui siamo vivi. Il diario inedito di Alfredo Sarano e della famiglia, scampati alla Shoah, con prefazione di Liliana Segre, curato dal giornalista Roberto Mazzoli.

Dal libro al film
Oggi la storia è diventata un film-documentario, che conserva il titolo del libro, Siamo qui, siamo vivi, per la regia di Daniele Ceccarini, prodotto dalla Arman Julian Production insieme all’imprenditore Manuele Malenotti. La ricostruzione della vicenda dei Sarano è nata dal fatto che Roberto Mazzoli aveva letto un libretto, scritto da un francescano, nel quale si narrava di un giovane allievo ufficiale tedesco della Wehrmacht, di 21 anni, Erich Eder, cattolico, il quale, nel 1944, si era fermato a Mombaroccio e rifugiato con i suoi uomini presso il convento del Beato Sante, dove trovavano riparo anche molti abitanti della zona in occasione dei bombardamenti. Erich sapeva che alcuni di loro erano ebrei ma non li denunciò, né li fece deportare. Mazzoli ha voluto cercare questi ebrei ed è riuscito a rintracciare le figlie di Alfredo Sarano e il suo Diario.

Le origini turche
Alfredo Sarano era nato in Turchia, ad Aydin, nel 1906, da Mosè e Allegra. Nel 1911, a causa della guerra tra Italia e Turchia, la famiglia viene esiliata a Napoli e l’anno successivo si trasferisce a Rodi. Trascorrono gli anni e nel 1926 Alfredo decide di venire in Italia per iscriversi alla Facoltà di Economia e Commercio dell’Università Bocconi. A Milano frequenta la comunità ebraica; dopo la laurea, nel 1931, inizia a lavorare come impiegato nella Comunità e viene raggiunto dai genitori e dal fratello Arturo. Nel 1938 si sposa con una giovane originaria della sua stessa città natale, Diana Hajes.
Poi la persecuzione razziale, la guerra, la fuga da Milano verso le Marche.
La famiglia Sarano prende in affitto, presso il Passo del Beato Sante, una casa di campagna, poco più di una stalla, da un contadino di nome Gino Ciaffoni che scoprì presto che si trattava di ebrei. Anche un altro contadino, Dante Perazzini, e Padre Sante Raffaelli, del convento del Beato Sante, sapevano che i Sarano erano ebrei ma non lo rivelarono mai. Così come fecero tante altre famiglie contadine della zona che protessero gli ebrei marchigiani.

1944: arrivano gli Alleati
“Sul finire dell’estate 1944 – scrive Mazzoli – la Quinta armata americana e l’Ottava armata britannica sono pronte per iniziare l’attacco agli avamposti della Linea Gotica. Per capire l’importanza di queste operazioni belliche basti pensare che il 24 agosto giunge ai piedi di Mombaroccio, dal quartier generale di Siena, il premier inglese Wiston Churchill insieme al generale Harold Alexander. Nella notte tra il 25 e il 26 agosto (…) l’artiglieria comincia a colpire incessantemente la sommità del colle Santa Maria di Scotaneto prendendo di mira proprio il convento del Beato Sante dove si trovano centinaia di rifugiati nonché il comando tedesco guidato da Erich Eder”. Questo giovane soldato da alcune settimane è infatti in paese con i suoi uomini.
Alla vigilia della battaglia finale sceglie come alloggio personale proprio la casa di Alfredo, che si vede costretto ad accoglierlo.
Quella notte hanno inizio i bombardamenti e la famiglia Sarano corre al convento. Scrive Alfredo: “Entrammo nel rifugio che era costituito dalle cantine del convento, e cioè un tunnel lungo una trentina di metri, scavato nella roccia a due o tre metri di profondità sotto il livello del caseggiato. Trovammo tutti gli amici rifugiati in questo asilo”. Nel corso della notte giungono anche una ventina di soldati tedeschi che entrano nel rifugio. Il loro arrivo, scrive Alfredo Sarano nel suo Diario, “provocò nella nostra famiglia una grande ansietà perché temevamo che inavvertitamente qualcuno denunciasse la nostra identità, oppure che i tedeschi, per una arcana intuizione, comprendessero che eravamo ebrei e ci prelevassero per inviarci nei campi di sterminio”.

Il 26 agosto 1944 l’esercito alleato guidato dal primo Ministro inglese Churchill, giunge ai piedi di Mombaroccio e inizia lo sfondamento della Linea Gotica con un pesante bombardamento sul convento del Beato Sante dove erano rifugiati, insieme alla famiglia Sarano, anche 300 civili. Il comandante tedesco Eder, cattolico della Baviera, fa un voto davanti all’urna del Beato Sante per avere salva la vita di tutti e, per evitare che il convento fosse raso al suolo, decide di ritirarsi. In questo modo si salvano tutti i civili nascosti nelle grotte del convento. Di quella tragica sera, così Alfredo Sarano scrive nel suo Diario: “Versammo tutti calde lacrime pensando che fosse giunta la nostra ultima ora. Il maresciallo della pattuglia (Erich Eder) chiese a padre Sante di impartirgli la benedizione perché non sapeva se sarebbe uscito vivo. Per un momento dimenticammo la tragica situazione nella quale ci trovavamo e ci commovemmo alla vista di quel militare che, da credente, invocava, per mezzo del sacerdote, la salvezza divina”. Per il suo gesto, il comandante della Wehrmacht Erich Eder, è ricordato nella Foresta dei Giusti Gariwo.
Nel 1945 la famiglia Sarano torna a Milano e Alfredo riprende a lavorare nella Comunità ebraica. In quello stesso anno, nasce grazie a Gualtiero Morpurgo e Raffaele Cantoni il Bollettino della Comunità israelitica di Milano. Alfredo Sarano, in quanto Segretario Generale della Comunità, è il primo Direttore della nostra testata.

Il dopoguerra, ritorni e ricordi
Nel 1953 Erich Eder tornerà a Mombaroccio a sciogliere il voto in bicicletta e qualche anno più tardi anche i suoi figli torneranno a visitare il Convento del Beato Sante.
Anche le figlie di Alfredo Sarano tornano diverse volte nelle Marche da Israele, dove si sono trasferite con i genitori nel 1969 e dove Alfredo è morto nel 1990. Visitano i luoghi della loro infanzia “clandestina”, della paura e della salvezza, incontrano le famiglie dei contadini che le avevano protette e addirittura, in una cerimonia organizzata dal Comune di Mombaroccio nel 2016, i discendenti del comandante tedesco Eder.
La più piccola, Vittoria, che all’epoca aveva solo 4 anni, è morta in Israele nel 2020. Ma quest’anno 2022, il pronipote di Alfredo Sarano, Baruch, ha passato diversi mesi in Urbino per studiare e con la madre, figlia di Matilde Sarano, è stato in “pellegrinaggio” nelle campagne che nascosero i suoi parenti con generosità e coraggio. La storia continua.