Bialik, uno dei più grandi poeti di lingua ebraica, nasceva 150 anni fa; Israele lo ricorda con un grande concerto

di Roberto Zadik

Uno dei maggiori esponenti della poesia ebraica contemporanea è stato sicuramente il poeta, letterato e traduttore ebreo ucraino Chaim Nachman Bialik, che scrisse struggenti componimenti in ebraico e in yiddish diventando, assieme a Eliezer Ben Yehuda “padre dell’ebraico moderno”, uno dei massimi promotori del rilancio di questa lingua in Diaspora.

Questo autore sensibile, sobrio e sintetico nei suoi componimenti nacque centocinquant’anni fa, il 9 gennaio 1873 da famiglia ortodossa, come Ben Yehuda e, dopo gli studi religiosi in Yeshivà in Bielorussia a Volozhin, centro dei Mitnagdim, fieri oppositori della corrente mistica e gioiosa del chassidismo, decise di dedicarsi a discipline “secolari”. Spinto dall’ideologia “ribelle” dell’haskalà, illuminismo ebraico fonte di svariati problemi per il mondo religioso ashkenazita, si trasferì a Odessa città in cui intraprese lo studio del russo, del tedesco e della letteratura scegliendo i lavori più disparati per mantenersi, dall’insegnante di ebraico al commerciante di carbone.

Una vita turbolenta e breve, Bialik si spense a 61 anni il 4 luglio 1934, in cui egli non smise mai di costituire un ponte fra mondo religioso e cultura laica pubblicando un testo interessante come il Sefer Ha haggadah, libro di racconti tratti dalle storie contenute nel Talmud, in cui rivela doti di realismo e penetrante senso dello humor.

Bialik non fu solo sommo poeta ma si distinse come narratore e traduttore di alto livello. Egli tradusse in ebraico importanti opere letterarie, dalle poesie del grande poeta ebreo tedesco Heinrich Heine, ai capolavori shakespeariani come il Giulio Cesare fino al Don Chisciotte di Cervantes.

Estremamente dinamico e attivo in campo culturale, nel 1921 fondò una delle prime case editrici di pubblicazioni in lingua ebraica, la Dvir editore, trasferendosi da Berlino a Tel Aviv che, per tre anni, divenne la sua nuova patria. Vista la sua importanza fondamentale sia a livello letterario sia identitario come fervente sionista, punto di riferimento della nascente letteratura del futuro Stato di Israele e promotore dell’uso quotidiano della lingua ebraica, lo scorso 14 dicembre, secondo la notizia uscita sul Times of Israel, nella sua città d’adozione, Tel Aviv si è tenuto un grande concerto per festeggiare il suo centocinquantesimo compleanno.

L’evento, svoltosi presso il Bronfman Auditorium ed inserito nel prestigioso festival Nigunim B Tzedek, ha riunito una serie di grandi popstar come il cantautore rock Berry Sacharov, la cantante di origine persiana Rita e la vocalist jazz di origini etiopi Ester Rada. Un’iniziativa che, come ha sottolineato l’articolo firmato da Jessica Steinberg, uscito lo scorso 11 dicembre come presentazione della serata, ha riunito influenze musicali orientali ed occidentali, con brani eseguiti dall’Andalusian Orchestra che ha messo in musica le parole suggestive del poeta ebreo ucraino. Come ha ribadito il violinista Elad Levi, “questo autore rappresenta una parte fondamentale della cultura ebraica e israeliana. Nonostante egli sia nato in un’epoca totalmente diversa da quella in cui viviamo noi, ho lungamente riflettuto sul significato delle sue parole e mi sono identificato in una serie di emozioni da lui espresse”. Un misto di influenze e di stili per un autore definito, anche dal Jerusalem Post nel testo del giornalista Hagay Cohen, “un genio poetico di immensa importanza capace di coniare una serie di parole diventate poi di uso comune in Israele come il termine onomatopeico rishroosh, fruscio o matos che significa aeroplano. Fortemente carismatico ed intenso, l’articolo ricorda come egli attraesse folle di persone nei suoi concitati reading poetici, appartenenti alla raccolta Oneg Shabbat (Delizia dello Shabbat), e che essi vennero eseguiti anche negli Stati Uniti da grandi cantanti come la star anni ’60 Joan Baez musa ispiratrice del grande Bob Dylan.