Quando l’identità va dal parrucchiere

Opinioni

Scusi, profes- soressa, ma lei per i capelli che prodotti preferisce utilizzare? Presumi- bilmente fiera della sua fluente chioma, ma ancora di più della brillante relazione appena conclusa e dedicata al problema dell’identità ebraica nel pensiero di Scholem, Rosenzweig e Deridda, Donatella Di Cesare questa proprio non se l’aspettava. Eppure il candido interrogativo rivolto alla sbalordita oratrice veniva dalla stessa signora che aveva ascoltato attenta uno dei passaggi salienti del Moked di Milano Marittima, lo straordinario appuntamento di primavera degli ebrei italiani organizzato dal Dipartimento Educazione e cultura dell’Unione delle comunità. La studiosa, che partecipava per la prima volta all’incontro, è uno dei più stimati nomi della filosofia nelle università italiane. Vive fra Roma e Heidelberg (è stata l’ultima allieva del pensatore tedesco Hans-Georg Gadamer), insegna Filosofia del linguaggio all’Università di Roma La sapienza e filosofia ebraica al Corso di laurea dell’Ucei, è autrice di libri dedicati a temi complessi come L’utopia del comprendere e L’ermeneutica della finitezza.
La disinvoltura per affrontare il pubblico degli studenti e degli esperti, insomma, non le manca. Eppure quella domanda, così semplice, così spontanea, così umana, ha finito per conquistarsi in un attimo la propria legittimità, per raccontare la nostra identità meglio di tanti trattati. E per spiegare, con la sua spontaneità, qualcosa che forse era sfuggita anche a tanti grandi pensatori ebrei contemporanei.
Certo, da Rosenzweig al parrucchiere il salto non è brevissimo. Eppure noi siamo fatti a questo modo. Siamo capaci di essere profondi e sofisticati visionari (lo ha per esempio dimostrato lo spessore di straordinari interventi tenuti da studiosi fuori dal comune, come il sociologo e filosofo francese Shmuel Trigano e lo storico e giornalista israeliano Vittorio Dan Segre, che non ha mai interrotto i suoi rapporti con la realtà italiana).
Brillanti studiosi (come ha dimostrato la lezione talmudica di Amos Luzzatto sullo scottante ed estremamente attuale problema del lashon harà, un concetto che con una grossolana semplificazione potrebbe essere tradotto con quello di maldicenza).
Ricchi di insegnamenti, di idee, di spunti, di domande (come hanno fatto vedere i numerosi interventi, tutti di grande valore, dei partecipanti e gli insegnamenti di molti esponenti del rabbinato italiano, a cominciare dalla ricostruzione dell’itinerario di un grande cabalista livornese, il rav Yosef David Azulai, il Chida, tenuta dal rav Giuseppe Laras e all’intervento su come è mutata la concezione dell’ebraismo attraverso le generazioni del rabbino capo di Milano rav Alfonso Arbib, con gli interventi da diverse angolature di Enzo Campelli e Saul Meghnagi.
Fino alle domande del pubblico in un dibattito disinibito ed aperto a tutti, che chiude secondo le migliori tradizioni ogni passaggio significativo del nostro itinerario.

E siamo fortunatamente capaci, contemporaneamente, di continuare a ragionare con semplicità e spontaneità sulle cose della vita quotidiana. Vogliamo nutrirci del pensiero del Talmud. E ci addentriamo con passione nel pensiero di Scholem e Rosenzweig nell’arco di poche ore, poi con una domandina a sorpresa a questi pensatori siamo a quanto sembra anche capaci di fare uno sciampo.
Diversità, scambio, arricchimento reciproco. Non solo nelle idee, ma anche nelle inflessioni, nei toni, nelle maniere di esprimersi, nell’intensità delle preghiere. Un patrimonio vivo che è emerso durante lo Shabbat trascorso in comune, che tradizionalmente fa da baricentro alla manifestazione. Sulla giornata, ha ricordato il rav Roberto Della Rocca, direttore del Dec e responsabile dell’organizzazione, aleggiava lo spirito del rav Yehuda Kahlon z.l., che ci ha lasciati negli scorsi mesi e ha rappresentato una delle anime insostituibili che hanno crescere il Moked negli anni. Fuori dalle sale dove si svolgeva l’intensa quattro giorni di incontri spirava, intanto, un’aria fin troppo fresca, non ancora primaverile. L’Adriatico si infrangeva ancora minaccioso sulle immense spiagge romagnole dove nella bella stagione si accampano intere tribù, entrava agitato anche nel canale che dopo aver diviso Cervia da Milano Marittima si getta nel mare dividendo le sabbie. Ma all’interno delle sale dove si è svolto l’incontro, la temperatura determinata dal grado di partecipazione, dalla voglia di dire la propria e talvolta anche di confrontarsi aspramente, ha raggiunto spesso picchi significativi, minacciando di superare in qualche caso anche i livelli di guardia.

Acceso interesse, forte desiderio di informazione e di confronto hanno caratterizzato per esempio la relazione del nuovo presidente dell’Ucei Claudio Morpurgo, che nelle scorse settimane ha assunto l’incarico lasciato dallo stesso prof. Luzzatto per motivi di salute. Si è trattato di un’occasione importante per fare un quadro sulle attività svolte alla vigilia del congresso dell’organo politico di rappresentanza degli ebrei in Italia e per tracciare un bilancio delle sfide che attendono l’istituzione nei prossimi mesi.
Intervenendo fra gli altri in questa occasione, anche il portavoce della Comunità di Roma Riccardo Pacifici ha ricordato l’esigenza di profonde riforme organizzative e strategiche dell’ente, mentre l’attuale assessore Ucei alla cultura Saul Meghnagi ha sottolineato quanto sia importante che il Dipartimento educazione e cultura continui ad operare in piena autonomia per realizzare progetti nazionali quali questo del Moked.

Anche Cobi Benatoff aveva avuto modo precedentemente di completare il quadro dei rapporti internazionali raccontando la sua esperienza ai vertici di alcune delle istituzioni rappresentative dell’ebraismo europeo.
A giudicare dal valore di tutti gli interventi e dall’interesse suscitato fra i partecipanti anche nel dibattito, bisognerebbe forse domandarsi se non sia un peccato che le istituzioni ebraiche italiane si ricordino di fare informazione solo nelle occasioni in cui sono chiamate a reagire con sdegno ed inquietudine ai gravi fatti di antisemitismo o sono invitate a svolgere il loro ruolo alle manifestazioni istituzionali, ma non si curino di trasmettere ai grandi organi di stampa e alle televisioni le informazioni che potrebbero consentire alla società italiana di apprezzare il significato di iniziative creative e propositive come il Moked. Un vecchio vizio, quello di agire prevalentemente di rimando, per reazione, di non assumere l’iniziativa per affermare i propri valori e la propria identità, che secondo numerosi partecipanti al Moked in passato ha rischiato di danneggiare gli interessi e di limitare le prospettive degli ebrei italiani.

Rispettando una tradizione ormai consolidata, l’incontro primaverile di quest’anno ha in ogni caso riaffermato con forza la complessità e la vitalità della più antica comunità della Diaspora. Oltre alle centinaia di partecipanti alla manifestazione centrale ha richiamato in una sede separata, ma vicina, molti altri giovani che hanno seguito uno specifico programma di attività. Ha costituito, come ha rilevato il direttore del Dec e il responsabile della stessa manifestazione rav Roberto Della Rocca, un’occasione insostituibile di incontro soprattutto per gli appartenenti alle piccole comunità che soffrono maggiormente dell’isolamento.
E una significativa occasione di incontro per tutti gli ebrei italiani che vogliano continuare a sentire viva la propria motivazione, la propria identità e le responsabilità che l’appartenenza a questo popolo ci chiama a prendere in carico.